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di Piero Sanavio
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Luigi Boille, Spazio spirituale, 1966, olio su tela, cm. 300x180
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Scommise tutto,
subito, sulla pittura, lasciando Roma per Parigi giovanissimo (era il 1950), all’indomani della laurea in architettura. Nella
città sulla Senna trovò ciò che già aveva scoperto da sé e sarebbe stato
chiamato “informale.” E tuttavia per la sua arte l’etichetta è, forse,
un’approssimazione anche se è a quel gruppo e alla Jeune Ecole de Paris che
verrà assimilato. Tutt’altre dai contemporanei francesi, comunque, le origini
della sua arte. Apparteneva a una cultura nata dallo stratificarsi di civiltà
nordiche e adriatiche e dove la realtà percepibile tuttora si manifesta come un
conglomerato di allucinazioni, sogni, terrori, ed è quella la sua storia. Non
gli occorrevano stimoli artificiali, o rifarsi alla psicanalisi, per
connettersi con quel vissuto, Johann H. Füssli, emotivamente, uno dei remoti
padri.
La luce – la sue possibilità
cromatiche, le sue implicazioni formali, questa la cifra di Luigi Boille. Se ne
accorse Cesare Vivaldi e nella presentazione di una mostra dell’artista
alla Galleria Giulia di Roma, primavera del 1986, avrebbe parlato di “segnali
luminosi” che “con violento moto
impulsivo” attiravano dentro di sé “tutte le energie interne ed esterne allo
spazio fisico dell’opera”. Era come se, in ogni tela, fosse rivissuto il trauma
della nascita, l’affacciarsi dal magma materno all’impatto e prima percezione
del vuoto. È una pagina di Jack London
che torna alla memoria, la nascita di Zanna Bianca nel romanzo eponimo. Nell’oscurità della caverna dove è partorito,
al lupacchiotto che diventerà amico dell’uomo il mondo esterno appare come una
quarta parete con segni che via via
dovrà imparare a decodificare.
“Colore-materia”, nelle
tele di Boille, il rapporto non di rado rovesciato: in tessiture materiche dove il linguaggio cromatico è sempre definizione
di valori mentali. Potremmo anche parlare di un’equazione “spazio-luce” – i due
elementi percepiti come vortici interconnessi e nessun stupore, perciò, se tra
le opere di Boille si troverà il saluto a uno degli ispiratori del Vorticismo,
l’“Omaggio a Ezra Pound” – sette
litografie per sette composizioni del poeta
americano in tiratura di pochi esemplari per una galleria di Rapallo, maggio
1971.
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Luigi Boille (1926-2015) ritratto nel suo studio nel 2010
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Fu l’autorità del
leggendario Michel Tapié ad apparentarlo agli informali – osservando come,
coscientemente o meno, l’avventura
dell’avanguardia pittorica fosse consistita in un “mutamento di potenza” della
nozione di spazio artistico dopo che una certa concezione dell’astrattismo era
arrivata ormai al suo esaurimento. In Boille c’era il nuovo e, in opere come
“Lueur enchevêtrées” e “Rythmes acerbes” (1967), il critico scopriva un’esplorazione delle
strutture topologiche degli spazi astratti non dissimile dalle teorizzazioni,
elaborate attorno al 1906, dal matematico
Maurice René Fréchet. Anche da ricerche
personalissime, però, e sulla linea di soggettive antiche memorie, che
(ancora!) procedeva Boille – orientandosi
verso un’astrazione barocca dove l’ingresso nel “vortice” diventava
esplorazione delle strutture dello spazio frantumate in pulviscoli di
luce. Un rigore, al tempo stesso
un’invenzione per nuove, illimitate possibilità. Sempre più decisamente i colori gli permetteranno l’espansione dell’ambito
pittorico, la struttura mai identica o ripetuta e colta piuttosto nel suo
continuo divenire.
Di
quest’operare, e di questo maestro che, in vita, non esitò ad affrontare il rischio della
povertà pur di perseguire con rigore la sua arte, dolorosamente sentiamo
l’assenza. Né basta, a confortarci, nel vuoto che ha lasciato, il ricordo
dell’amicizia. Ci accompagna semmai, nel dolore per la morte, l’amarezza che
questo importante protagonista dell’avventura pittorica internazionale, che nel
1964, con Fontana, Capogrossi e Castellani, rappresentò l’Italia al Guggenheim
International Award di New York dopo aver partecipato con il gruppo Gutai
all’ormai mitico International Festival Osaka-Tokyo organizzato da
Michel Tapié (nonché, sempre fuori d’Italia, ad altre importanti rassegne), non
abbia mai ottenuto il giusto riconoscimento nel nostro paese. Nessuna mostra in
luoghi istituzionali per lui e occasionale anche l’attenzione critica di Argan
e Lionello Venturi.
L’impressione,
spiacevole, è che, soprattutto gli ultimi anni che visse, Luigi Boille sia
stato ingiustamente, colpevolmente, ignorato. Fu l’italico scotto per un’orgogliosa
indipendenza da mode, partiti, salotti, una totale dedizione al lavoro, un’intransigente
onestà.
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Luigi Boille, Senza titolo, 1960
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