di Marzio Pieri
VUOTO E RECENTE
   
a m.c. che respinge un mio libro
In
un mese fantastico
ho
perduto i miei unici editori
mi
mancheranno i loro piati
di
esclusi dalle sovvenzioni pubbliche
dalla
imago di sé che si son fatti
ora
il mio tempo è poco
ferro
e velen qui vedo
il
cuore oltre l’ostacolo
non
è che un pezzo di carnaccia
le
regole d’ingaggio
che
a detta di m.c. avrei violato
non
mi riguardano se non fui chiamato
al
tempo di fissarle
non
firmo assegni in bianco
per
questo da venti anni
esorto
a non andare mai a votare
come
a me piace fare
è
l’unico dovere che ci resta
da
esercitare
per
il resto
un
collega cui avrei
voluto
voler bene
navigato
nell’arte del lecchino
me
lo disse (e sono passati
qualcosa
come 35 anni)
tu
che non chiedi nulla
sei
per le istituzioni
il
più grande pericolo
ma
si sbagliava io chiedevo tutto
l’impossibile
che
ciascuno scordasse se stesso
una
volta salito agl’“immortali
vertici”
leadershipper presidente rettore proboviro
ah
questi poi!
in
questo solo ero futurista
ebbero
losca vista
ma
più d’uno di loro volle arrivare in fondo
non
per firmati ingaggi
(ne
firmeremo, firmeranno i giovani
esclusi
dalla leva ma arrolandosi
per
viver qualche giorno senza la pancia vuota)
né
per avere molti frutti dal mondo
solo
perché la parola data
durasse
marinetti
che va a schiantarsi il cuore
nelle
nevi di Russia
a
sessantasei anni
vale
per me dipiù di chi s’era imboscato
a
prepararsi un avvenire
passata
la bufera
come
cantava all’incontrario Rascele

o
si rifece vivo dalla Svizzera
in
calzoncini da boy-scout
gridando:
Abbiamo vinto!
come
seppi de visu dalla camena gurgandina
e
si fece poi Proteo della sinistra
che
ancora se lo cova
nelle
sue catacombe
incredula
di come
vi
sia calata dentro
nessuno
ancora però s’è suicidato
stanno
studiando nuovi
patti
d’ingaggio
(come
le frasi fatte
dolci
alla bocca
più
che caramelle!)
e
se potran salvare i cavoli e la carpa

Con
chi trattai da amico ora mi sbatte
le
porte in faccia
il
pretesto fu grave mia la colpa
pretendevo
che un libro
al
cui centro è lacerba
uscisse
corredato di poche immagini
volti
vignette alcune dilavate
fotografie
nel testo e in bianco-e-nero
a
dar l’aria del tempo
a
un lettore diverso che non le ha viste
mai
(mi si obietta che ci sono atlanti
anzi!
figurativi, fotografici
locupletissimi
[ma
stanno in biblioteche
di
difficile accesso
reso
anche più sgradevole da norme burocratiche complicatissime, ostili
son
libroni pesanti]
e
io ostinato a dire: è un contrappunto,
gioco
di sponda, pochi fili d’erba,
va
bene le intenzioni dell’editore
ma
quelle dell’autore proprio non contan nulla?)
guàrdati dalle fusa
del teschio di medusa
II
Un
mese fausto, per molti altri versi:
una
lettrice quasi misteriosa
mi
contatta di Francia per notizie
per
uno scambio di idee su Gianfrancesco
Malipiero
chiaro
che dopo poco
siamo
venuti a parlare di fosfèni
dell’orto-cimitero
del pipistrello
di
asolo, acrocoro di morti

mi
ha svelato d’avere avuto contatti
occulti
con l’Ombra sempre scontenta
(era
calata nebbia sulla laguna
sull’entroterra
i treni ritardavano i vaporetti
non
si azzardavano in quella cèca corte di laniccio
la
tavola rotonda della Cini
rischiava
di saltare
anche
quella mattina Malipiero
dava
l’indicazione più giusta peggio per noi
che
non volemmo stare ai primi danni)
dice
Palladini che è guasto il giorno
in
un suo nuovo libro di poesia
che
marcellocarlino giustamente
legge
come ‘reimpiego in controtendenza
della
scrittura’ (Palladini viola
anche
lui qualche regola d’ingaggio?)
solo,
se posso dissentire in parte
da
una premessa molto acuta e vigile,
lascio
da parte Brecht, per me, e i tamburi
di
notte dell’Expressionismus,
questo
poeta o è tutto vero o non è
per
niente ‒ ormai nemmeno un dio
può
salvarci ma un uomo vero sì
“si
cerca solo di dire (Gombrowicz
adversus Poetas)
ciò
che si prova e si pensa sul serio”
(Buenos
Aires, 28 agosto 1947)

La
poesia di Palladini può parlare anche a chi non se ne intende
“Mi
stanca il loro canto
monotono
costantemente
elevato
mi
addormentano il ritmo e la rima
mi
stupisce
nel
vocabolario poetico certa
‘povertà
all’interno della nobiltà’
(rose
amore notte gigli)
e
a volte sospetto perfino che questo tipo di espressione
e
il contesto sociale cui si riferisce
soffrano
un qualche difetto di base”
(ancora
lo scrittore di Ferdydurke,
un
polacco in Argentina… 70 anni fa!)
e
dovrebbero farci un pensiero
soprattutto
le poetesse,
sacerdotesse
sterili del poetese
amazzoni
dell’emozione e della confessione e del pelle-a-pelle,
perennemente
in cymbalis
(quanto
si amano!)
e
certi pur simpatici dilettanti
che
poco o nulla leggono
tenendosi
aggiornati sulle pagine
culturali
nuovo orto d’arcadia
Mi
piacque Wilcock mi piacque Catàbasi
di
quello zolfanello geniale, Beniamino
Dal
Fabbro (Musica e verità),
mi
piace immensamente Ottiero Ottieri.

Non
vi fate sfuggire la ristampa
prodotta
di recente dalla ‘voce
bianca’
dei poeti einaudiani;
qualche
cosa chi in tempi favolosi
fece
il grande editore
un
gioco di potere come un altro
‒
il primo uomo d’indiscusso potere che conobbi
nella
infanzia che gli anni non detergono
fu
un borghese impiegato del gas
presidente
degli ‘uomini cattolici’ della parrocchia
se
ne stava all’altare, imbottito
nel
suo vestito per le feste
dovevi
alzare gli occhi per scorgerne la testa
sopra
il collo taurino, [avevo scritto
colle],
imponente
in colloquio alla pari con Dio

un
ex-grande editore, dal passato
questo
dovrebbe almeno aver pur imparato:
fra
cento fedelissimi
che
vanno in fila indiana
ogni
tanto un eretico
sollevi
la sottana.
Quanto
ci fece ridere
dopo
tanta quaresima
quel
Volcazio Penella
pittor
novecentista
mostrandoci
le Ande!
(Quello
è Gadda! lo si sa.
Una
voce poco fa
[era
Walter Pedullà]
rievocò
che nei Sessanta
rifiorì
l’età del Riso;
mesti
e nudi paonazzi i maestri più grandi
messi
in difficoltà dallo Zangrandi
 
[c’era
poco da ridere]).
Il
ritorno d’Ottiero
resta
da andarne fieri,
dopo
che il sindacato
lo
pose in iudicato
per
lesa società
chi dietro a iura e chi ad aforismi
(Ippocrate)
o seguendo sacerdozio
civil
negozio e furti e carne ed ozio.

orna
aforismo e il bel tempo rimena:
come in
battaglia battere il nemico
con un
gambo di fiore sul chepì.
Uno di Velio Carratoni: “Troppi
decantatori della sacralità
a devastare regole elementari
della natura”. Désirée
Massaroni (una giovane, un’“opera
prima”)
Aforismi del vento contrario.
Di Stasi ne loda la ruvida lingua,
a me piace un parlato fresco come
l’ortica.
Un librino da tre
lire ne vale un mucchio.
Perfino
i Meridiani, senza lena
di
solito, toccarono il bersaglio
coi due
tomi fittissimi di ruozzi
a
giosafat staranno alla destra del padre
con la
bibbia del diodati
esemplarmente
edita dal grande Michele Ranchetti.
la bella
versione aggiornata del Mann
ohne Eigenschaften
il
monumentale pasolini di siti
non
v’illudete poi vi sia tant’altro:
sembrano
bare o stecche di cioccolato nero.
Umoristi,
calvinisti
è meglio
il fermentino o la lachrimachristi?

Il caso vuole, proprio in questi giorni,
ch’io abbia ricevuto
in dono un altro volumetto aforistico
 
la ristampa recente di una edizione credo
privatissima
(del 1998, per L’Obliquo di Brescia)
di un giornalista e bibliofilo curiosissimo
di dettagli infinitesimali
quello che resta è poco altro che ganga
informe
straordinario Sandro Dorna
ucciso troppo a sproposito dal morbo di
Carreras
(il celebre tenore riuscito invece a
salvarsi
dalla leucemia che ne azzoppò
la carriera, è quello palliduccio

che si lascia cullare con imbarazzo
dalla panza bombée di Pavarotti
dalla machoaitanza del Domingo)
Dorna gran collezionista di libri pregiati
prime edizioni rare stampe copie
controfirmate da penne privilegiate
cultore di anagrammi ed epigrammi
caro ad Eco a Pontiggia a Saverio Vertone
a Dossena
j’ai des mots [/jeux
de mots]
tutte le strade portano al Cavalier Marino
e il principio motore è lo stesso:
deprimere il potere inibitorio degli
onnipotenti,
dissolvere in scintille festevoli
le mummie, le mutrie
‒ ‘è difficile perdere la malafede’,
‘Nessuno può riparare
una perdita di tempo’ ‒
e (degni della Galeria
dove il Marino scioglie la storia in
scambietti onomastici la pittura in calligrammi)
‘Il Lotto, un pittore con dei numeri’
‘Per certe cose Ovidio aveva naso…’
come un Bing Crosby volteggiando in punta
di lingua…

[lettore se m.c. si trovi a passar di
costì
digli che oggi un libro
si fa anche così (vedi che non s’arrabbî)]
d’altro volevo parlare
d’altro dico volevo azzardarmi
mostrare incompetenza
in senso contrario:
vanno crescendo degli scrittori
che inventano un riflettere convulso
tutto a spirali e convolvoli
duramente gergale
quasi facendo sgocciolare un loro sangue
nero
di vino che mai avrà da esser mero
dalla vena alla pagina…
Non è filosofia, sebbene non sia mai
assente
l’eco del rombo carsico del professor
Heidegger
del mago giocoliere Derrida;
come un andar per nodi per non volerli sciogliere
un tentare un pensiero che deve prima di
tutto
reinventar le parole
(il primo uso è già falsificazione)
io mi ricordo Bruno, Michelstaedter
la loro lotta con le braccia ignude
d’un angiolone michelangiolesco…
Nel libro rifiutato (vedi la dedica)
se ne incontra di gente così.
Faccio dei nomi: Adriano Accattino,
coi suoi 32 libri progettati (‘Un salto
nell’alto’) (‘dalla scrittura
all’evoluzione’),
certe riflessioni di Tiziano Salari
del quale non riuscii a restare amico
(riapro un suo libro col quale mi si volle
presentare, Il fruscio dell’Essere,
diviso in prose e poesie severe,
bene intese da Mario Fresa,
son trascorsi dieci anni ed è trascorso
anche Salari, dopo Mesa
un altro che mirava a una poesia di
pensiero
un eros difficile, casto e rimorso)
la militanza, poi, di roberto bertoldo
via de gasperi 16 burolo
(perfetto endecasillabo soccorso di
memoria)
che da venti anni vi dirige Hebenon
‘rivista internazionale di letteratura’
e ora mi manda i primi volumetti
Morris William C
Owen Paquale Villari
 
di una collezione
nuova di “testi controcorrente” (Mimesis/
Sisifo)
la dirige un mio amico di breve vista
Piero Flecchia, viaggiammo e ci piacemmo
da Ivrea alle porte di Torino…
uno scrittore anarchico, geniale
che mi sento fraterno,
anche se son di quelli che si senton
lontani
appena scese le scale di casa
‒ non sarà un caso che ami,
Flecchia, Vittorio Imbriani
che abbia raccontato il sessantotto
in modi da secchia rapita
le prodezze rabelaisiane di un donnone
che coi suoi 100 chili va alla carica
contro la polizia per un suo sogno
come un colpo di fame di giustizia
“Madama Caterina Casalegno nata Verlasca”
eroina gigante di Saluzzo

in un romanzo che nessun critico
‘ufficiale’
a quanto io sappia
gli ha battezzato benché fosse edito
da un ‘editore importante’, bompiani
nel mille-novecen-settanta-quattro
La Battaglia della pigna dorata
che pure s’ebbe uno dei Premî Sila
con delle relazioni di professori di liceo
lo Scientifico di Castrovillari
più libere e accurate di quello che
altrimenti
ci si potesse attendere da pennivendoli
o professori d’università
che si chiedono sempre: mi conviene?
 
Di tutti i pensatori che ho nominato
Bertoldo mi è sempre stato il più arduo di tutti
ma lui deve saperlo infatti alterna
queste acque di tenebre fanghigliose
con libri di poesia
Il calvario delle gru
L’archivio
delle bestemmie
Pergamena dei ribelli
che meno offenderebbero Gombrowicz
e soprattutto stupendi ed addiaccianti romanzi
il più bello dei quali
che pur ammiro gli altri
è per me Ladyboy.
Al lettore non letterato
(ad esempio, il postino Savino
ch’è appena appena andato in pensione
che si vantava aver provato a leggere
Das Kapital
e con cuore di leone
affrontava sistematicamente tutti gli Adelphi delle vetrine
gialli francesi e shoah per piatto forte
contorno di scrittrici e cioccolata
a colazione a pranzo merenda cena
e lo spuntino di mezzanotte)
a un lettore così potrebbe anche sembrare
solo un capitolo apocrifo di Gomorra ─
bassifondi di periferia spaccio alla grande
di droga puntualmente recapitata

un prete che s’innamora con vera, assoluta passione
per una donna-uomo
un ragazzino
che si sdoppia fra i sessi e la propria persona
(in prima o in terza senza soluzione
di frase senza distinzioni grafiche
come d’un fotogramma ch’esce dalle rotaie)
la sospensione a divinis
l’assassinio
la condanna del falso ma irrecusabile
colpevole)
magari qualcuno che ha letto tutti i libri
nulla di male se pensa anche a un Graham Greene possibile
o meglio al più lacerante (e più scrittore)
Còccioli
altro votato a non aver restauro
solo voti di stima

ggi fa caldo e insieme tira vento
ha strappato il telone della mia terrazza
oltre le finestre di qua dalle quali scrivo
è una primavera petulante
aggressiva, mentre sempre dipiù
i grandi parlano di attaccare la libia
lo faranno ormai è certo
la tv è piena di tenenti colonnelli in maniche di camicia
attorno a una ministra che sa di guerra
quanto io di cibernetica o di semiologia
ora ch’è notte arrivano voci
di passanti lungo le antiche mura
della città dell’Ariosto
sotto la galleria che passa lungo i due corpi del condominio
parlano a voci alte letti li aspettano
per le scene notturne dei più giovani
e acces ‒ dunque è ora di concludere
la pappolata e stendermi sulla sdraio
verrà la gatta ad osservarmi mogia
e stupefatta mia moglie avrà preso sonno
o lo spero finché caldo o gelo tosse o sete
o paura o dissociazione dall’hic et nunc
come accade nell’Incubo
non la risvegli e mi chiami ora soltanto
con la voce d’un tempo, solo flebile
e non più fiduciosa
Penso ancora a Gualberto Alvino

che proietta sul muro della mia mente
un profilo assai simile a quello di Bertoldo
tutti e due scrittori severi attivissimi
solo che il pensatore di Burolo
fa leva sul pensiero ontologico ed etico-politico
l’editore perfetto di Pizzuto
accampa sulle rive di Grammatica
“il filologo il critico il linguista
fanno tutt’uno [in lui] con la figura
dello scrittore” (sic Mario Lunetta)
e Gualvino, come a volte lo chiamo
per brevità, butta in faccia a una critica stracciona
l’impossibilità di poter giudicare
di scrittura chi scrive a frasi fatte
per chi non altro chiede che frasi fatte
e concetti strausati e scopi vili
lascio il gusto a scoprire gli obiettivi
sui quali lo scrittore tira colpi
dai quali chi è ferito non si rialza

(Scritti diversi e dispersi, raccolti
da “fermenti”,
dando aria pulita ai primi quindici
anni di questo fetido millennio)
Ma cos’è ora quel bianco che si leva
dal Jonio, sul golfo di Squillace
dominato dalle tre colline
dell’antica città di Cassiodoro?
“Guarda il Sole quando
spunta sull’orizzonte,
senza bisogno che l’Aurora lo annunci :
ché non appena vibra i primi raggi
mostra intero di sùbito
il suo lucente disco.
Essa rimira Febo rallegrarsi
della sua chiarità che sopravanza
quella di Rodi, sì che più ragione
ha d’ appellarsi la patria del Sole...”
È il nuovo libro, atteso
ed inatteso di Luigi Bianco
(77,
il titolo ‒ sono anni,
come il 75 che torreggia
sul mio computer con una candela
mini, celeste,
resto della torta
donatami
per il mio compleanno)
il medicante fuggito in cerca d’uomini

più veri in vista del mare
calabro
quello che accese il rogo delle sue opere
fra pochi amici dolenti
di non capire il perché
di quell’autodafè innanzi tempo
(di chi è il tempo?)
poi, come resi incinti
d’uno spirito che non li capiva
che non li conteneva finché uomini
semplici e loschi,
videro e furono partecipi.
77 fu scritto di getto,
dall’Autore
e completato fra il Natale scorso
e il giorno misterioso dell’epifanìa.

* Il libro ricusato di Marzio Pieri verrà
prossimamente pubblicato come ebook da Onyx Editrice – Reti di Dedalus.
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