LETTURE
PAOLO GASPARI
      

Altri noi

 

Roma, La città e le stelle, 2014, pp. 74, € 12,00

    

      


di Massimo Giannotta

 

 

Altri noi, osserva l’autore, rappresenta l’esatto opposto della corrente locuzione “Noi altri”, che esprime la separazione del proprio gruppo da un consesso più vasto e indifferenziato. Al contrario la ricerca di Altri noi, è pensata come la formazione di una comunità ideale in cui confluiscono pacificamente, persone, idee, affetti, animali, cose. Altri noi quindi, vuole avere un significato inclusivo ed aperto, vuole essere un progetto in itinere  di una comunità pazientemente riunita e che, con le sue caratteristiche di apertura e di accoglienza, si rivela come una proposta, come un discorso di metodo.

Diciamo che questa confraternita che viene riunita non è un disegno astratto e fantastico, ma pur potendo essere definita una costruzione ideale, ci sembra più una proposta adstruens, in cui vengono accolte concretamente e in maniera attiva pensieri, persone, paesaggi, cose.

L’operazione sembra mostrare somiglianze con la letteratura utopistica prodotta da autori come  Bacone, Tommaso Moro, Zùccolo, Campanella, ma con le accennate rilevanti differenze.

Ci troviamo davanti al tentativo di riunire in una ideale comunità contributi diversi,  che presentano convergenze e che coinvolgono l’autore, per pensiero, per sentimento, per simpatia, per ammirazione, quasi a costruire una società ideale.

Come si diceva si tratta anche di una questione di metodo: l’autore così si pone come centro, come motore di una sorta di rosa dei venti, in cui i punti di orientamento costituiscono una bussola, in cui le direzioni estetiche, filosofiche ed etico comportamentali, suggeriscono al lettore le possibili direzioni di conoscenza e approfondimento.

Il primo di questi punti cardinali è una direttrice mistico filosofica, in cui la stella polare è Eckhart von Hochheim, crocevia di molte direzioni, tra la lettura, l’osservazione, la riflessione.

Viene dunque aperto un confronto sul mistico, ma non propriamente contemplativo, che attraverserà tutta l’opera. Vi è infatti, in questa rosa dei venti idealmente disegnata dall’autore, la rivendicazione della prevalenza del fare, delle priorità di coscienza e intelletto contro ogni dogmatismo, senza escludere lo strumento della lotta politica. Operazione dunque costruita su molti centri, che aprono evidenti e positive tensioni dialettiche.

Il riferimento a Eckhart lo incontriamo immediatamente nella citazione di un esergo di Heidegger, filosofo del ‘rientra in te stesso’, relativo a un’opera sul teologo.

Eckhart, anzi Meister Eckhart, teologo, filosofo e mistico, compare già nella prima poesia a lui intitolata, rappresentato nel suo viaggio verso Avignone, dove non giunse mai, e dove voleva difendere davanti  al Papa le ragioni delle sue tesi giudicate eretiche, dopo la denuncia, fatta dai suoi confratelli domenicani, per eresia.

Si apre quindi un itinerario sapienziale dove incontreremo molti ‘eretici’ in senso generale, ovvero figure che hanno resistito al ‘potere’ in molte delle sue accezioni, che rivendica il primato della fedeltà alla propria coscienza, scegliendo strade spesso accidentate, per affermare, talvolta con il rischio della stessa vita, questioni di libertà e di giustizia.

Lungo questa via incontriamo Simone Weil, in cui si uniscono il lato mistico e un eterodosso impegno politico, a cui è dedicata la poesia Calanchi. Qui, nell’asprezza del paesaggio, si descrive metaforicamente l’itinerario doloroso della Weil, testimone di una santità laica, le cui opere, promosse e divulgate da Albert Camus dopo la sua morte, spaziano dalla metafisica all’estetica, dall’etica alla filosofia politica e alla poesia. Si apre dunque con quest’autrice, anche l’importante filone dell’impegno politico visto come dirittura etica.

Qui l’autore, dopo la Weil, pone un altro tassello, in merito alla prospettiva dell’espressione artistica con diverse citazioni di Wittengstein sulla centralità del linguaggio e su una serie di riflessioni sulla scrittura.

Paolo Gaspari dunque cammina assieme ai suoi compagni di strada, che sono poeti e filosofi amici, senza dimenticare di conservare nella bisaccia da viaggio, oggetti, paesaggi e animali, sensazioni. Una serie di vicinanze, che si dispongono, come si diceva, in un disegno ideale, insieme utopico e fortemente concreto, sempre via via accresciuto, consolidato testimone di un’inesausta ricerca di armonia. Una comunità di fratelli con cui percorrere insieme  molte vie, scandita da voci grandi e meno grandi. Questo richiamo alla disponibilità (si ha l’impressione che Gaspari ci chieda di camminare insieme a lui) diventa soprattutto un invito alla condivisione, a una simbiosi pacifica di pensieri, di frequentazioni, di sentimenti, capace di renderci, con una specie di profonda metamorfosi, creature diverse e migliori.

Naturalmente altro punto cardinale è la poesia, a proposito della quale vengono dedicati testi ad autori che hanno saputo essere ispirazione con la loro arte e il loro pensiero, nel loro esplorare prospettive nuove.

In questa comunità di eguali incontriamo i poeti come Celan, come Dino Campana che porta insieme a lui le campagne di Marradi, la Falterona, e insieme l’urgenza del viaggio, la sua ricerca del senso ricca di stimoli e di dolore. Troviamo Edoardo Cacciatore, con la sua poesia gnomica e il suo continuo lavoro sulla parola.

E insieme con essi riscopriamo paesaggi che ad essi appartengono: la terra, i fiori, gli animali, ciò che dà senso a tutto. Incontriamo Clemente Rebora con  il suo bisogno di contatto con la natura, con i suoi studi, fino all’avvicinamento al cattolicesimo.

Qui, uguali tra gli uguali, non mancano gli animali: gatti, anatre, aironi, api, la cagnolina cieca, “uccelli che volano via” e “ci distanziano irreparabilmente”, il ragnetto, etc. tutti osservati con francescano amore. Ascoltiamo di nuovo la voce della Weil: “gli esseri che amo sono creature”. In tutti i testi si respirano la grande forza della terra, dei  fiori, degli animali.

Anche i paesaggi che incontriamo, danno senso a tutto anche con la loro asprezza, persino ad amati personaggi che in questo cammino incontriamo quasi reincarnati, come Sancio Panza e Don Chisciotte, incastonati nel paesaggio della Mancha.

E ancora, in questo piccolo grande pantheon incontriamo Franco Fortini, che suscita nell’autore ricordi del passato, dei fiori, dei giochi di ragazzi, ma che fa volgere il pensiero alla Resistenza, al grande impegno politico insieme alla vicinanza con la gente, alle sue prese di posizione sulla letteratura e sul valore dell’impegno letterario.

Non bisogna credere che venga disegnato un mondo idilliaco, ovviamente non mancano ansie e rovelli: la guerra, le asprezze della natura, malinconie come in ”quattro frutti avvizziti”, e domande, ancora le domande a dirci quanto è lunga la strada. In “ecco avanzare” si constata amaramente come la secolarizzazione selvaggia non ci fa trovare neppure “dell’anima una traccia”.

L’autore comunque non chiude mai le porte di questa magica compagnia, così troviamo come compagni di viaggio la vedova cecena, la colf romena insieme a Kavafis, a Edoardo Sanguineti, con il suo lavoro sul linguaggio e la sua ironia, incontriamo Pasolini, ancora una volta un grande eretico e il suo cammino di testimonianza e di morte.

E quasi impercettibilmente si giunge ai rapporti personali, agli amici, alla compagna, al proprio figlio. Non manca dunque il segno più tradizionale degli affetti, ciò conferma il complessivo impianto dell’opera che insieme all’amore per le opere, per gli autori preferiti, per gli animali, per la natura, trova infine, quasi impercettibilmente, il suo naturale completamento nell’amicizia, nell’amore.

Il testo si chiude con il gabbiano, simbolo della libertà e del viaggio, insieme selvatichezza e grazia incastonato nel paesaggio di Caprera, promessa di nuove visitazioni, di nuovi più vasti orizzonti, più audaci voli, a cui ci pare senz’altro di essere invitati.

 

                                                                                                                     




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