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di
Massimo Giannotta
Altri
noi, osserva l’autore,
rappresenta l’esatto opposto della corrente locuzione “Noi altri”, che esprime la separazione del proprio gruppo da un consesso
più vasto e indifferenziato. Al contrario la ricerca di Altri noi, è pensata come la formazione di una comunità ideale in cui confluiscono pacificamente, persone,
idee, affetti, animali, cose. Altri noi quindi,
vuole avere un significato inclusivo ed aperto, vuole essere un progetto in itinere di una comunità pazientemente riunita e che,
con le sue caratteristiche di apertura e di accoglienza, si rivela come una
proposta, come un discorso di metodo.
Diciamo che questa confraternita
che viene riunita non è un disegno astratto e fantastico, ma pur potendo essere
definita una costruzione ideale, ci sembra più una proposta adstruens, in cui vengono accolte
concretamente e in maniera attiva pensieri, persone, paesaggi, cose.
L’operazione sembra
mostrare somiglianze con la letteratura utopistica prodotta da autori come Bacone, Tommaso Moro, Zùccolo, Campanella, ma
con le accennate rilevanti differenze.
Ci troviamo davanti
al tentativo di riunire in una ideale comunità contributi diversi, che presentano convergenze e che coinvolgono
l’autore, per pensiero, per sentimento, per simpatia, per ammirazione, quasi a
costruire una società ideale.
Come si diceva si
tratta anche di una questione di metodo: l’autore così si pone come centro,
come motore di una sorta di rosa dei venti, in cui i punti di orientamento costituiscono
una bussola, in cui le direzioni estetiche, filosofiche ed etico
comportamentali, suggeriscono al lettore le possibili direzioni di conoscenza e
approfondimento.
Il primo di questi
punti cardinali è una direttrice mistico filosofica, in cui la stella polare è
Eckhart von Hochheim, crocevia di molte
direzioni, tra la lettura, l’osservazione, la riflessione.
Viene dunque aperto un confronto sul mistico, ma non propriamente
contemplativo, che attraverserà tutta l’opera. Vi è infatti, in questa rosa dei venti idealmente
disegnata dall’autore, la rivendicazione della prevalenza del fare, delle
priorità di coscienza e intelletto contro ogni dogmatismo, senza escludere lo
strumento della lotta politica. Operazione
dunque costruita su molti centri, che aprono evidenti e positive tensioni
dialettiche.
Il riferimento a
Eckhart lo incontriamo immediatamente nella citazione di un esergo di
Heidegger, filosofo del ‘rientra in te stesso’, relativo a un’opera sul teologo.
Eckhart, anzi Meister Eckhart, teologo, filosofo e
mistico, compare già nella prima poesia a lui intitolata, rappresentato nel suo
viaggio verso Avignone, dove non giunse mai, e dove voleva difendere
davanti al Papa le ragioni delle sue tesi
giudicate eretiche, dopo la denuncia, fatta dai suoi confratelli domenicani,
per eresia.
Si apre quindi un itinerario sapienziale dove incontreremo molti ‘eretici’ in
senso generale, ovvero figure che hanno resistito al ‘potere’ in molte delle
sue accezioni, che rivendica il primato della fedeltà alla propria coscienza, scegliendo
strade spesso accidentate, per affermare, talvolta con il rischio della stessa
vita, questioni di libertà e di giustizia.
Lungo questa via incontriamo Simone Weil, in cui si uniscono il lato mistico e un eterodosso impegno
politico, a cui è
dedicata la poesia Calanchi. Qui, nell’asprezza del paesaggio, si descrive
metaforicamente l’itinerario doloroso della Weil, testimone di una santità
laica, le cui opere, promosse e divulgate da Albert
Camus dopo la sua morte, spaziano dalla metafisica all’estetica,
dall’etica alla filosofia politica e alla poesia.
Si apre dunque con quest’autrice, anche l’importante filone dell’impegno
politico visto come dirittura etica.
Qui l’autore, dopo la
Weil, pone un altro tassello, in merito alla prospettiva dell’espressione artistica
con diverse citazioni di Wittengstein
sulla centralità del linguaggio e su una serie di
riflessioni sulla scrittura.
Paolo
Gaspari dunque cammina assieme ai suoi compagni di strada, che sono poeti e
filosofi amici, senza dimenticare di conservare nella bisaccia da viaggio,
oggetti, paesaggi e animali, sensazioni. Una serie di vicinanze, che si
dispongono, come si diceva, in un disegno ideale, insieme utopico e fortemente concreto,
sempre via via accresciuto, consolidato testimone di un’inesausta ricerca di
armonia. Una comunità di fratelli con cui percorrere insieme molte vie, scandita da voci grandi e meno
grandi. Questo richiamo alla disponibilità (si ha l’impressione che Gaspari ci
chieda di camminare insieme a lui) diventa soprattutto un invito alla
condivisione, a una simbiosi pacifica di pensieri, di frequentazioni, di
sentimenti, capace di renderci, con una specie di profonda metamorfosi,
creature diverse e migliori.
Naturalmente
altro punto cardinale è la poesia, a proposito della quale vengono dedicati
testi ad autori che hanno saputo essere ispirazione con la loro arte e il loro
pensiero, nel loro esplorare prospettive nuove.
In
questa comunità di eguali incontriamo i poeti come Celan, come Dino Campana che
porta insieme a lui le campagne di Marradi, la Falterona, e insieme l’urgenza
del viaggio, la sua ricerca del senso ricca di stimoli e di dolore. Troviamo Edoardo
Cacciatore, con la sua poesia gnomica e il suo continuo lavoro sulla parola.
E
insieme con essi riscopriamo paesaggi che ad essi appartengono: la terra, i
fiori, gli animali, ciò che dà senso a tutto. Incontriamo Clemente Rebora con il suo bisogno di contatto con la natura, con i
suoi studi, fino all’avvicinamento al cattolicesimo.
Qui,
uguali tra gli uguali, non mancano gli animali: gatti, anatre, aironi, api, la
cagnolina cieca, “uccelli che volano via” e “ci distanziano irreparabilmente”,
il ragnetto, etc. tutti osservati con francescano amore. Ascoltiamo di nuovo la
voce della Weil: “gli esseri che amo sono creature”. In tutti i testi si
respirano la grande forza della terra, dei
fiori, degli animali.
Anche
i paesaggi che incontriamo, danno senso a tutto anche con la loro asprezza,
persino ad amati personaggi che in questo cammino incontriamo quasi reincarnati,
come Sancio Panza e Don Chisciotte, incastonati nel paesaggio della Mancha.
E ancora, in questo
piccolo grande pantheon incontriamo Franco Fortini, che suscita nell’autore ricordi
del passato, dei fiori, dei giochi di ragazzi, ma che fa volgere il pensiero
alla Resistenza, al grande impegno politico insieme alla vicinanza con la
gente, alle sue prese di posizione sulla letteratura e sul valore dell’impegno
letterario.
Non bisogna credere
che venga disegnato un mondo idilliaco, ovviamente non mancano ansie e rovelli:
la guerra, le asprezze della natura, malinconie come in ”quattro frutti
avvizziti”, e domande, ancora le domande a dirci quanto è lunga la strada. In
“ecco avanzare” si constata amaramente come la secolarizzazione selvaggia non
ci fa trovare neppure “dell’anima una traccia”.
L’autore comunque non
chiude mai le porte di questa magica compagnia, così troviamo come compagni di
viaggio la vedova cecena, la colf romena insieme a Kavafis, a Edoardo
Sanguineti, con il suo lavoro sul linguaggio e la sua ironia, incontriamo
Pasolini, ancora una volta un grande eretico e il suo cammino di testimonianza
e di morte.
E quasi
impercettibilmente si giunge ai rapporti personali, agli amici, alla compagna,
al proprio figlio. Non manca dunque il segno più tradizionale degli affetti, ciò
conferma il complessivo impianto dell’opera che insieme all’amore per le opere,
per gli autori preferiti, per gli animali, per la natura, trova infine, quasi
impercettibilmente, il suo naturale completamento nell’amicizia, nell’amore.
Il testo si chiude
con il gabbiano, simbolo della libertà e del viaggio, insieme selvatichezza e
grazia incastonato nel paesaggio di Caprera, promessa di nuove visitazioni, di
nuovi più vasti orizzonti, più audaci voli, a cui ci pare senz’altro di essere
invitati.
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