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di Piero Sanavio
è difficile non provare orrore,
spavento, riprovazione all’assassinio della redazione di Charlie Hebdo da parte di un commando di integralisti islamici per
le notorie vignette sul Profeta Maometto; così si dica per gli episodi del
supermercato a Montrouge e la sparatoria a Bruxelles, tutti conclusisi con
altri morti innocenti, e l’ormai incontrollabile insorgere dell’ignominia
dell’antisemitismo.
Nessuna ragione
politica può giustificare
questi crimini se non la bestialità. E tuttavia, se di fronte
all’antisemitismo posso affermare, pure se di ascendenze cristiane, “Sono anch’io
ebreo” difficile mi è affermare “Je suis Charlie”. Alla satira si risponde con
la satira non con le armi ma è altrettanto vero che non si agita un drappo rosso sotto gli
occhi di un toro infuriato e che la libertà di stampa, anche nel caso della
satira, non dovrebbe includere l’insulto a una cultura. In quel caso, sfioriamo
il razzismo, la sopraffazione.
Con tutto il
rispetto per i morti, la redazione di Charlie
Hebdo si spinse in territorio minato prendendo un rischio
che, a mio giudizio, non avrebbe dovuto. Questo, ripeto, non giustifica
l’assassinio – neppure, però, si sottrae al giudizio che le vignette sono state
un’infantile, tragica goliardata. Un esercizio di narcisismo, alla fine.
Verso la fine
degli anni Sessanta, la Grove Press e altre case editrici d’avanguardia
nordamericane sfidavano le leggi contro l’oscenità e la pornografia del Paese
pubblicando deliberatamente testi all’epoca considerati osceni o spedendo per
posta le loro pubblicazioni da località con nomi improbabili come Orgasmo, Vagina
e simili – riuscendo alla fine a far modificare la legge. Agivano all’interno
di comuni convenzioni culturali dove comune restava, se non il giudizio morale
su certi fatti, senz’altro il linguaggio e la concezione della legge e della
libertà espressiva.
Non è questo il
caso di Charlie Hebdo e si è
trattato, alla meglio, di un tentativo (arrogante? eh sì, arrogante) di
omologazione alla nostra di una cultura che ha altri parametri, altre
concezioni della libertà. Se di fronte a volgarità come il “Pissing Christ” il
cristianesimo, nel suo raggiunto laicismo, non ha battuto ciglio, superficiale,
a dire il meno, nella sua innegabile tragicità, resta il comportamento di Charlie Hebdo.
C’è da
aggiungere che nel comportamento dall’Isis non soltanto in Europa ma in Medio
Oriente, ci sono anche le vendette per l’ultima guerra di Gaza, l’installazione
di sempre nuove colonie in Cisgiordania, le arroganze antipalestinesi
dell’attuale governo di Israele, le conseguenze dell’aggressione alla Libia due
anni orsono e di cui la responsabilità ricade su Francia e Gran Bretagna,
nonché sul segretario di Stato nordamericano Hillary Clinton.
C’è chi
argomenta che all’Isis importa poco o nulla dei palestinesi ed è soltanto la
conquista del mondo l’obbiettivo. Resta il fatto che episodi come quello di
Gaza offrono utili argomenti supplementari all’odio per l’Occidente. E non si
parli di antisemitismo, per queste critiche – nessun governo ha diritto alla
santità e un governo non è un Paese, un primo ministro non è la totalità del
popolo che governa, a un’ingiustizia non si risponde con un’ingiustizia. Come
dire, priorità alla politica sulle armi.
Si aggiungerà
che un’opposizione al governo
del Likud esiste anche all’interno di Israele, anche se i media
nostrani sembrano essersene dimenticati.
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