LETTURE
BARBARA DE MIRO D’AJETA
      

Il gesto di Orfeo  

 

Roma, Bastogi libri, 2013, pp. 106, € 10,00

    

      


di Titti Follieri

 

 

Nell’ultimo libro di poesie di Barbara de Miro d’Ajeta, Il gesto di Orfeo, seguiamo l’autrice, che, come il mito di Orfeo insegna, si volta indietro, verso il passato, non resistendo alla tentazione di guardare le persone amate, i luoghi che hanno ospitato il suo peregrinare nel mondo.

 

Al dire poetico, come al canto di Orfeo, è dato il compito di salvare dall’oblio, da una seconda morte gli attimi vissuti accanto ai  propri cari scomparsi. La poesia nell’aura della parola tiene sveglia la rievocazione delle emozioni, dei sentimenti, delle immagini.

Una grande  sfida: salvare la memoria, ridare la vita a ciò che ci è di più caro, già scomparso nell’ombra, nel ciclo inarrestabile del binomio vita-morte.

 

Lo stato d’animo che pervade la raccolta è una grande nostalgia. Nostalgia di un eden perduto, di un tempo trascorso, dove i genitori erano presenti, le persone amate, amici, amanti esistevano con noi, accanto a noi, insieme  trascorrendo il tempo nello spazio inconsapevole della giovinezza. Forse c’è anche un’altra nostalgia, definita da Maria Zambrano “nostalgia della propria infanzia (…) nostalgia di un tempo anteriore a ogni tempo vissuto… ansia di restituire l’innocenza perduta”.

 

Uno dei moventi  della scrittura: il permanere nel silenzio del proprio cuore di un amore “puro” (Non c’è amore più puro / che in quest’occhio vitreo dei morti / vivi nelle mie vene), forse si potrebbe dire di una molteplicità di forme d’amore, un canto per onorare gli assenti che continuano a pulsare nelle vene e che lo sguardo della poetessa ritrova ancora presenti tra gli oggetti sopravvissuti che loro hanno amato, compresi gli alberi che l’autrice è costretta a far abbattere. (Pini, allori, cipresso, cedri, tamerici, gaggia / prossima a colmarsi di fiori / vedo mani esperte / segare, potare / violare le vostre presenze / abbattere le cime, i tronchi i rami // Come mi straziano i tonfi di quest’ecatombe verde, cuore vegetale, / cuore di memorie, greve di linfa).

 

È il caso di sottolineare l’amore per la propria madre, oramai anziana e malata (Trepido per la tua vita, mamma, uccellino orgoglioso // mangi briciole, quando / ti appoggi al mio braccio / avverto un frullio d’ali / un tocco leggero. Sei fragile.) E alla fine del testo l’autrice richiede a questo “uccellino orgoglioso” di non tenerle il broncio, ma di continuare a cantare, sapendo che si avvicina il tempo della separazione (Quando ti perderò, sarò più sola e come cieca).

 

La costellazione degli affetti è composta da altre presenze, dal padre, da amici scomparsi, da amori trascorsi, ma anche dalle giovani vite dei nipoti che riempiono la casa di nuova linfa vitale. C’è un avvicendarsi di emozioni diverse: di gioia per la presenza di bimbi, ai primi passi nel mondo, di serenità in una giornata d’autunno, dove ogni testo si costruisce come un quadro impressionista, con un’emozione afferrata nell’attimo fuggente: il volo di “una farfalla screziata di bianco, di nero, di rosso (mentre) nell’aria si espandono le tenue note di un pianoforte”: o sul treno dove dal finestrino si osservano gli effetti del mutare delle stagioni (I prati attendono lo squillo di primavera / che li fa lievitare verso il cielo… Ogni cosa attende il suo frutto e si eleva nel cuore).

 

Altro tema dominante delle poesie è questo testimoniare della continua trasformazione della natura. Su di essa si rifrangono i vari stati d’animo, sorgente della poesia, provocando un atto di parola fondamentale, un nesso con l’essere interiore che così si può rivelare. Si produce una parola accordata alle varie emozioni  (gioia, tristezza, meraviglia), una tonalità emotiva che colora di volta in volta le rose, l’ibiscus, la gardenia di una sfumatura differente. Nel testo Il fiore segreto, ad esempio,(Un ibiscus piantato dal vento/ ha scelto l’angolo più segreto del giardino per espandere i suoi grandi petali bianchi. Così io, nel mondo).

 

La poesia di Barbara de Miro d’Ajeta ci ha consentito un viaggio nel mondo degli affetti, emozioni che tutti abbiamo vissuto e che ritroviamo rispecchiati nei suoi testi per la capacità delle parole di evocare, di portare alla luce l’intensità di segreti dolori e gioie che nascondiamo nell’intimo del nostro essere.

 

                                                   

 

 

*  Barbara de Miro d’Ajeta ha insegnato Storia del Teatro nelle università di Genova, Sassari, Salerno e all’Orientale di Napoli. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Qualcosa partì dal mio cuore, C.E.S.P.S. 1960; L’isola d’oro,Gastaldi 1963; In margine, Bastogi 1981. Tra i testi di critica teatrale: Eduardo de Filippo. Nu teatro antico sempre apierto, Liguori, 2002; La figura della donna nel teatro di Eduardo de Filippo; Il seme, il germoglio e il fiore (“Pirandello tra biografia, narrativa e teatro”, Aracne 2008).




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