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di Titti Follieri
Nell’ultimo
libro di poesie di Barbara de Miro d’Ajeta, Il
gesto di Orfeo, seguiamo l’autrice, che, come il mito di Orfeo insegna, si
volta indietro, verso il passato, non resistendo alla tentazione di guardare le
persone amate, i luoghi che hanno ospitato il suo peregrinare nel mondo.
Al dire poetico,
come al canto di Orfeo, è dato il compito di salvare dall’oblio, da una seconda
morte gli attimi vissuti accanto ai
propri cari scomparsi. La poesia nell’aura della parola tiene sveglia la
rievocazione delle emozioni, dei sentimenti, delle immagini.
Una grande sfida: salvare la memoria, ridare la vita a
ciò che ci è di più caro, già scomparso nell’ombra, nel ciclo inarrestabile del
binomio vita-morte.
Lo stato d’animo
che pervade la raccolta è una grande nostalgia. Nostalgia di un eden perduto,
di un tempo trascorso, dove i genitori erano presenti, le persone amate, amici,
amanti esistevano con noi, accanto a noi, insieme trascorrendo il tempo nello spazio
inconsapevole della giovinezza. Forse c’è anche un’altra nostalgia, definita da
Maria Zambrano “nostalgia della propria infanzia (…) nostalgia di un tempo
anteriore a ogni tempo vissuto… ansia di restituire l’innocenza perduta”.
Uno dei
moventi della scrittura: il permanere nel silenzio del proprio
cuore di un amore “puro” (Non c’è amore
più puro / che in quest’occhio vitreo dei morti / vivi nelle mie vene),
forse si potrebbe dire di una molteplicità di forme d’amore, un canto per
onorare gli assenti che continuano a pulsare nelle vene e che lo sguardo della
poetessa ritrova ancora presenti tra gli oggetti sopravvissuti che loro hanno
amato, compresi gli alberi che l’autrice è costretta a far abbattere. (Pini, allori, cipresso, cedri, tamerici,
gaggia / prossima a colmarsi di fiori / vedo mani esperte / segare, potare / violare
le vostre presenze / abbattere le cime, i tronchi i rami // Come mi straziano i
tonfi di quest’ecatombe verde, cuore vegetale, / cuore di memorie, greve di
linfa).
È il caso di
sottolineare l’amore per la propria madre, oramai anziana e malata (Trepido per la tua vita, mamma, uccellino
orgoglioso // mangi briciole, quando / ti appoggi al mio braccio / avverto un
frullio d’ali / un tocco leggero. Sei fragile.) E alla fine del testo
l’autrice richiede a questo “uccellino orgoglioso” di non tenerle il broncio,
ma di continuare a cantare, sapendo che si avvicina il tempo della separazione
(Quando ti perderò, sarò più sola e come
cieca).
La costellazione
degli affetti è composta da altre presenze, dal padre, da amici scomparsi, da
amori trascorsi, ma anche dalle giovani vite dei nipoti che riempiono la casa
di nuova linfa vitale. C’è un avvicendarsi di emozioni diverse: di gioia per la
presenza di bimbi, ai primi passi nel mondo, di serenità in una giornata
d’autunno, dove ogni testo si costruisce come un quadro impressionista, con
un’emozione afferrata nell’attimo fuggente: il volo di “una farfalla screziata di bianco, di nero, di rosso (mentre) nell’aria
si espandono le tenue note di un pianoforte”: o sul treno dove dal
finestrino si osservano gli effetti del mutare delle stagioni (I prati attendono lo squillo di primavera /
che li fa lievitare verso il cielo… Ogni cosa attende il suo frutto e si eleva
nel cuore).
Altro tema
dominante delle poesie è questo testimoniare della continua trasformazione
della natura. Su di essa si rifrangono i vari stati d’animo, sorgente della
poesia, provocando un atto di parola fondamentale, un nesso con l’essere
interiore che così si può rivelare. Si produce una parola accordata alle varie
emozioni (gioia, tristezza, meraviglia),
una tonalità emotiva che colora di volta in volta le rose, l’ibiscus, la
gardenia di una sfumatura differente. Nel testo Il fiore segreto, ad esempio,(Un
ibiscus piantato dal vento/ ha scelto l’angolo più segreto del giardino per
espandere i suoi grandi petali bianchi. Così io, nel mondo).
La poesia di
Barbara de Miro d’Ajeta ci ha consentito un viaggio nel mondo degli affetti,
emozioni che tutti abbiamo vissuto e che ritroviamo rispecchiati nei suoi testi
per la capacità delle parole di evocare, di portare alla luce l’intensità di
segreti dolori e gioie che nascondiamo nell’intimo del nostro essere.
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Barbara de Miro d’Ajeta ha
insegnato Storia del Teatro nelle università di Genova, Sassari, Salerno e
all’Orientale di Napoli. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Qualcosa partì dal mio cuore, C.E.S.P.S.
1960; L’isola d’oro,Gastaldi 1963; In margine, Bastogi 1981. Tra i testi di
critica teatrale: Eduardo de Filippo. Nu
teatro antico sempre apierto, Liguori, 2002; La figura della donna nel teatro di Eduardo de Filippo; Il seme, il germoglio e il fiore (“Pirandello
tra biografia, narrativa e teatro”, Aracne 2008).
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