PARATA
INTRODUZIONE
Sir Compton
Mackenzie, scrittore scozzese... nemmeno uno
dei suoi cento e cento e cento e
cento e cento
libri tentati di vivere
riuscito a sopravvivergli si legge
più.
Non è un titolo di merito e nemmeno
come si dice: a palle ferme, uno di
demerito.
STROFE
Certo lottò: dieci tomi solamente di
autobiografia
teatro le commedie delle ebridi che piacquero anche al cinema
fu attore annunciatore della radio
fondò il partito nazionale scozzese, enormi pene
per riuscire a finanziarlo a fare
che gli aderenti versassero l’annuale tributo sottoscritto
ebbe tre mogli la prima lo lasciò dopo
cinquantacinque anni le altre due (sorelle) di volo più stroppiato
(il nome della prima: Faith Stone, pietradifede)
sull’isola di Barra solitaria
dove ora è sepolto costruì una casa di vita
altre ne costruì, su altre isole da Mendelssohn cantate
(e da Macpherson poeta falsario)
cercava solitudine silenzio come gianfrancesco
malipiero sui funebri colli
di asolo ed il vostro marziopieri
in un viale lugubre lo sono tutti viali
di reggioemilia
cose che non si trovano, illusioni di matti
Silenzio e spazio intorno: fu il primo scrittore
che intravide negli elettrodomestici
portatori di musica il futuro della musica
mille leghe lontano il navigante
che solcava quei mari udiva il canto
di Caruso il violino di Heifetz le prime
sperimentali registrazioni dell’eroica e del tristan
senza musica e senza
Isotta venuto a morire in un’isola simile, ove
arriva
dalle orse il fragore dell’ultima Thule...
Con Cristoforo Pietra, suo cognato,
fondò “The Gramophone”, nel ’23
la rivista nel titolo ancor dura, anche fuor d’Inghilterra
ma d’un tratto
alle soglie degli ottant’anni
ha fatto per viltà lo gran rifiuto
del disco-amico, s’è spostata al campo
dell’ascolto dematerializzato.
Cosa ne avrà pensato, Compton Mackenzie,
dall’ultima sua isola nei cieli?
Gramophon, grama-phòn... Ma la mia copia
al sole sciupacchiandosi e alla polve
rimarrà d’or innanzi non richiesta
presso al mio edicolante di fiducia.
ANTISTROFE
Non fui profeta
in patria, men che meno
lo fui fuori di patria.
Come nasci straniero sotto le
stelle?
Ebbi una gatta magica: certo mi
aveva previsto.
Per me scese
dai boschi dell’appennino
(quello, losco e brumoso, che in
cima ha Casarola)
e fu per me come una sposa nuova.
La donna sposa è con me da
cinquantanni,
stanca di sé di me del suo platone
impaludato
dei giorni che non portano mai un
dono,
tutto per lei, da troppo
tempo; e d’amore illuminato l’ama
la gattina novella, dal bel nome di
Schizzo
nomen
omen solo che io o qualcuno
che non sia la padrona
si affacci nella stanza.
Da me accetta una marmellatina
sulle dita.
O Céline, una tua bagatella
non bagnata! Siamo in un condominio
che prende nome dal bastione di
reggio
antistante,
non più che un mezzo sigaro di mura
marcescenti, ridotte a pisciatoio
di vecchi con diurno e con notturno
pene. Se non più guerre, almeno
pròstate
mandagli o Marte al cui nome fei
onore.
La grassa amministratrice del
condominio
con la complicità di tre bertucce
chiamate commissarî (con la delega
per spese fino a circa 100 euro)
in anni senza sospetto
di sismi dico donde una attuale
demopsicòsi tenta di convincere
ad un restauro plurimiliardario
(qui siamo pensionati, vecchi,
invalidi,
molte badanti, una zita mosaica
e un paio non benestante anzi
tantissimo)
con macchine e facchini da castello
assediato,
la spinge un fumettologo
dotato di parente architettore
che ha già spartito il bue non anco
morto
e visita con zelo di pinzocchero
casa per casa tutti i residenti
diffondendo l’allarme e
caldeggiando
disinteressatamente un suo
progetto.
Fu tanto convincente che al
conquibus
dentro il condominial santasantoro
si ebbe una clamorosa bocciatura
così perfetta che la triade in banda
si dimise all’istante,
scornacchiata.
Ma l’amministratrice non la lascio!
Camerata Richard, riprese il gioco
con un altro architetto e un
progettone
un po’ meno costoso e, per
stanchezza,
scuoti l’albero oggi scuoti domani
le nèspole cascarono, impotenti
contro quelle zuccacce impenitenti.
Avuto il via, partirono, da mesi
siamo fra guerra e dopoguerra:
ad essere una dresda manca solo per
ora il fuoco!
Ricevetti più visite formali,
con inchini reciproci e qualche
giocondità,
ma tenni duro, mi era impossibile
ammettere
in una casa dove vivo lavoro e
dormo
turbe di scalpellini e muratori.
Ieri mi arriva un diktat; o ti
arrendi
visto che non accetti la bonarietà
(sic) esibita – è termine
azzeccagarbùgliolo –
od entro cinque giorni sfonderemo
la porta manu legali necnon militari
e sul tuo terrazzone (ieri un giardino)
pianteremo le macchine d’assedio
gru di gran tonnellaggio e
baracconi.
E l’amministratrice a far buon
peso.
Procomberò sol io? nemmen per
sogno!
Tutti con me, li porto, nella
diaccia.
E terrò il giradischi a tutta
birra.
Gesualdo Boulez Conlon Nancarrow
e il Verdi di galera. Li ho
avvisati.
EPILOGO
Giace nell’alpe una villetta amena
tutta di legno
in una valle stretta.
Il suo nome fa
rima con Tex.
Nella Torre
Sapegno, nume indigete,
gelano i
prigionieri verno e estate.
La dirige
germano bruno,
ogni funzione
operativa eseguono
Barbara e
Giulia, questa è la maggiore
ungarettista
delle ultime leve.
Vi ritrovo, con
commozione, uno
che non mi è
amico e ha il merito ai miei occhi
di averlo
apertamente dichiarato.
C’è un patto fra
i nemici che gli amici
non rispettano
mai, ma poi che dico?
Amici oppur
nemici, è una guerra di poveri.
Vi conosco
Goffredo Fofi, un grande superstite.
Dire che non
consento neanche a mezza
delle sue più
radicate convinzioni.
So di essere un
anarchico di destra
ma non credo sia
questo ad impedirmi
di disamare
(unico fra i suoi film)
il Rossellini
della città aperta.
La corsa
sciamannata della Magnani
(Villaggio, che
assomiglia un poco a Fofi,
con quelle barbe
da gnomo benefico,
mi potrebbe
prestare il suo Potiömkin)
il povero Fabrizi
fucilato
(vidi il film da
bambino e mi inquietava
che avesse la
stessa nuca gonfia didietro
del primo
parroco da me conosciuto,
ritto sul
baldacchino promoveva
la vittoria
della democraziacristiana,
sicuro di
riavere i frutti di stola goduti col fascismo)
Non dite sempre
il pieri fu un fascista.
Vero che pochi
uomini ho conosciuto, veri,
e tre di loro
erano fascisti, dichiarati o nostalgici,
ma fra loro, il
quarto fu un pretino
geniale e
gentilissimo, ‘di sinistra’,
lasciato
languire in campagna, come al confino,
da un vescovo
friulano fascistissimo.
Stravedo per Paisà, amo Achtung banditi!
certo non solo
per la lollobrigida.
Sulle montagne
nere ero invitato
da nino
borsellino, sapegnista
per diritto
accademico ma mente
pirandelliana e
comica. Mi vuole
davvero bene da
trentacinque anni;
nell’università,
legata a brevi
interessi di
casta, è come, oggi,
un matrimonio
che si rompa dopo
i fatidici primi
sette anni.
E non tutti vi
arrivano!
Io natalino ce
l’avrei nel nome
marzio antonio
natale
ma non fa pegno.
Pegno d’amore
fra me e borsellino
(sembra ch’io
parli un’opera)
è la sua sposa,
con lui da sessantanni:
Maria nemica di
ciascun fedele
a mammona allo
specchio alla menzogna.
A che vale la
vita? Lei saprebbe rispondere.
Ero invitato
a dar le prove
di una mia specialità:
i libretti
d’opera, ‘nel’ novecento.
Avevo
mentalmente predisposto
più d’una
traccia meno di quella che serviva.
Trenta
dottorandi, future glorie
dell’università
se si riapre.
Ventotto almeno
privi di qualsiasi
idea di cos’è
un’Opera.
Nel pieno della
lectio magistralis
vidi e conobbi
come
meno sapevan chi
è robertolonghi.
Questo è lo
specialismo: di scrittori
solo italiani
italianista si occupi
e del resto
diffidi e se ne sbrighi
non avessero a
offendersi i maestri
i direttori di
coscienza al minimo.
Vidi di
ripiegare, la mia linea
del piave fu
illustrare i primordiali
rapporti fra il
Marino libertino
e il Busenello (vorrà
dire gay?)
che pieno fino
agli occhi dell’Adone
scrisse per
Claudio l’ Incoronatione
di Poppea.
Non è birra, sia
verdea.
Non nascosero l’indoddisfazione.
P.S. I nomi e i fatti narrati sono, la
maggior parte, d’invenzione, anche se potrebbero ben essere. Fabula decet.