CHECKPOINT POETRY
MARINA PIZZI
 



Segnacoli di mendicità

 

2009

 

1.

dire che me ne vado è

dire poco al nomignolo

cattivo. sono esangue

nel mito della gola

che non fona più

meraviglie né nessi

di nidi. la mia condotta

non porta più conchiglie

foniche marine. si appena

a zero l’àncora della forza

strettoia al calice sbeccato.

 

2.

ho pianto un sacrificio

un silenzio di crisi. perdo

molti capelli perché perdo

molta vita e negli sgoccioli

si ciondola morenti. tu sei

decisamente bello ma non

riesco più ad innamorarmi di

te. segno dei tempi. una tenda

che ondeggia al vento è decisamente

più bella e tragica di qualunque

parola appropriata. la parola

del grande poeta banalizza comunque

almeno un po’. ma non c’è altro mezzo:

il silenzio è spesso puttanesco

può venir equivocato molto di più.

il vuoto è lo straordinario! il male

il bene assoluti. l’arcano. la cantica

dell’angolo senza oltre ragionamento.

 

3.

l’altare della scissione è stato il plasma

il sangue in pasta con il pane nero

così triste la stanza di paese

con il panorama magnifico.

tutto parve bello eppure un velo

di morte consegnò per remoto

il padre dello sguardo. la rana pigra

capì il disilluso le gemellari caverne

del vento capitano. a due a due i ladruncoli

del fango ebbero castello alla faccia

del giusto. in fondo le costiere

murarono se stesse. così finì l’albore

finì l’abbecedario.

 

4.

me ne andrò a spingere la barca

in acqua, con dignitosa peripezia

voglio illudermi di un ludo

più felice. non voglio più guardare

la luce fioca o la carica del vento

anarchica baldoria. qui nel pasto

di storie andate a male resta la stanza

con le credule vacanze. invece è scempio

il mondo della forca e incanutito il frutto

dell’inguine benevolo. oggi è matura

l’arida facciata. con le rive di gemma

ho chiuso il bello.

 

5.

imbroglio darsena

il guado. già da sùbito

il vandalo sanguina

il fato che lo vuole. le lavagne

nel vanto delle formule

che non risolvono.

 

6.

in culla all’arcobaleno sto a guadarti

moria del vento acrobata convinto.

nel ballo che racimola la danza

credi la lena di guardare il buio.

in fondo alla cometa stare in coma

racconta del dominio della bara.

in tuta resina l’atleta del record

racconta l’equilibrio il brio del cuore.

domani mi darai un bacio alato

simile brocca acqua già fresca.

 

7.

a testa alta con moria di cuore

segnalo la disdetta del ginocchio

retto. nulla si piega alla beltà

del rantolo, fuggi fuggi in piena.

in foggia alla sconfitta sto a pregare

la logica del volo di ritorno

il nome in trono di capir qualcosa.

alla cimasa piange il pettirosso

quelle cerase belle senza tocco.

 

8.

ho visto un eremo sbadato

giocare al lunapark

con le conchiglie dei parchi innamorarsi

similoro e bagliore in greto al fiume

come un principe fatato e senza voglie

più che felice. il corrimano della scala mobile

mi chiama al dovere di arrivare

dove il malato è plasma infetto

dove il varo delle rondini non serve

a far felice un discolo. qui si arena

il ditale della sarta senza cucire

vedova. vale l’angolo di commettersi

colpevoli. pensati senza l’anima salva coste.

in meno di una capanna ho visto l’indice

delle fazioni in campo senza l’arcangelo

del polo del freno. si chiama shock l’arena

delle tenebre bambine botaniche le rese

nelle sabbie mobili e le paludi spie.

 

9.

ho una culla che mi fa da gran sasso

così per protezione dormo molto

in mano alle staffette delle ceneri.

è una morte leggera, fannullona

redatta dentro un gelo finimondo

senza bestemmia senza preghiera.

in mano alla rondine del boia

l’ordine è chiudere le palpebre

con la brevità dell’orto senza ringhiera.

 

10.

in fondo ho solo un corpo

che mi trasuda danni di

anemoni morti.

affanni d’Ercole conoscerti

avviato al patibolo

infarto del primo cuore.

e dove avviene il ciondolio

del sangue c’è la madre

pessima viandante.

in coro sulle esequie delle gemme

si deflora l’aurora in uno stabbio.

 

11.

incredula al saldo la bussola

passa il confine come una bambina

binaria col passero.

sotto il cancello è finito il nido

delle cicogne frante. argine voluto

un monastero in stasi finalmente

te immobile! tutto fiorito il bosco

e la vendetta tace un ciottolo mortale.

sudario miserrimo la resa delle rondini

ronza del male la finzione della scarpa.

 

12.

in uno stato di sobbalzo ho visto

l’angelo. era il muretto afono d’arsura

era la regìa d’abaco del pianto.

 

il musico e il colosso stanno alle lacrime

gemelli. in vita descrivimi la notte

questa stoccata d’eremo questo calare

contro la fronte un’edera scortese.

impigliami le mani così che voglia

sprigionarmi dal giogo della mina

che salta in aria per brandelli d’asce.

sfiniscimi nel tuono delle fionde

nelle sorelle che sperdono le gerle.

 

e parla l’almanacco una lingua vieta

scovata sotto i panici del verbo.

 

13.

se nuoto a rana mi ricordo di nascere

scellerata balbuzie nonostante

si basti il bulbo.

impasto con la resina del tempo

la silenziosa alacrità del remo

con la bugia di essere credenti.

in palio col respiro la fandonia

della docenza sul limine del fosso.

 

14.

amo le penombre dell’indietro

il quesito roso d’inquietudine

in breve il fegato del gaio

quando si frena il perno di far lutto

chiunque attorno e tutto.

indagine d’addio stare allo sguardo

del dado con i numeri stregati

streganti il petto dell’atleta.

in te che enumeri le vette

giace la terra ossuta il bel paese

sembianza all’oggidì che c’è tormento.

al chiuso nelle ciotole

bianca la nebbia del letargo.

 

15.

perdo ogni cosa anche i libri letti

nella scoscesa ritrosia del lutto.

maleficio di steccato

ho visto il caso fustigarsi fato.

con la corda del boia s’impenna

la penombra. tra breve brancola

la fine del tatuaggio la tua origine.

tra sterpi di coriandoli bambini

nessuno più ride, la ventosa del labbro

borbotta le gare delle perdite

i davanzali anneriti dal cranio del màrtire

dal martìre temporale.

l’universale della bestemmia è solo

un caso di vetro incrinato, un rapace

senza pace, un crimine per mito,

un mito per crimine. la bisaccia

fa sempre in tempo a raccogliere

scommesse i fati d’àncora.

 

16.

cantuccio di elemosina la sposa

guardata a vista dall’eremo

del rantolo. dove domani il refrigerio

è favola. qui nel patibolo che ruba

le elemosine il silenzio del pargolo

corrotto. accosto accosto le sfingi

delle guance queste vedette tenui

di vento e le restie comunque. ora

ti chiamo adito alla sera per fingere

di nascere. le tue macule si curvano

turbate dal branco della bara.

 

17.

il crollo delle dita è avvertito ovunque.

qui resta il deposito del pane

nonostante le scorrerie. ride il pagliaccio

che si conferma re. tu intanto travalichi

le gemme verso la Veronica. la furia della fanga

questo rattoppo rorido alla fronte.

dammi un perno di liberanti solitudini

un gerundio di dadi finalmente super vincenti.

le mani chiuse aprono il vuoto.

di te ho l’etnia dello stallo

questa perdente crosta di resina.

stalla del prato credere dio

dialetto criptico tic da ultimo stadio.

l’eco ripete il giallo insoluto

la pacchia di trovare chissà che.

 

18.

in una spalliera di rondine ho visto nascere

l’indagine del solco di starti a guardare

datario di festa stato di bambino

che attenda ai riti dietro la tenda

nel bazar della mente. qui è loquace

il rantolo della bestemmia d’angolo

il grido di mettersi a dormire

per esilio. il rito delle trombe ha

abbreviato da anni le fanciullezze

d’oceano. ora è un cadere a ciocchi

come alberi segati per morte. tu ridi

l’indice che ti porto in visione:

non è tuo il dolore. vai in giro con

una superstrada offensiva, vanesia e forte

e forte sfollagente.

le conchiglie mi servono per le collane

del bello, le buco appena e sono infilate

per il paradiso della nuca marina.

 

19.

in corpo alla bravura di resistere

la cisterna non varia. attore e cornucopia

non eludono il filo della lama.

tra non molto il ludo della frottola

finirà i giochi. morrai. salita su salita

già si affanna la natura della falla

per spianare il rantolo. la spia

è un tratto magro in comunione

tragica. su, non piangere, le libertà

non possono l’asilo di nessun ritornello.

 

20.

essere in vita è un criterio sperduto

un alunno senza lavagna né voce

di maestro. in tanta precaria

esistenza si stenda un velo di lutto

un sillabario bianco. in bilico sul cipresso

la casa delle serpi. una dubbio da dentro

la nuca innocente arrovella. tu dove sei

bandito gentiluomo prestato al palmo?

qui nella minestra degli abiti sbilenchi

resta una donna in chiodo di dovere

di non esser madre. la natura sperpera

chi nasce. è scienza o mito

farsi pallottolieri nell’abaco del baratro?

 

21.

spauracchio di nodi ho letto l’indice

che mi diceva di gareggiare appieno

nonostante! in stalla con gli animali

condannati ho preso a pregare

negli occhi della cavalla. la consolazione

è stata franca ma non la voglia di vivere

con il basto alla nuca e alle caviglie.

la vigliaccata dell’ombra è stata tutta

per lo stornello del sole per le comete

ingenue. nudo corra l’atleta del miracolo

quando la genia della colpa sia sparita

dalle tempie dalle rughe della fronte.

 

22.

con la crivella ho saziato il sottosuolo

così per abbonire il velo della morte.

sotto la penuria della libagione

il condominio sbraita come al solito.

sbiadita dal tabernacolo la voglia

di essere bambina ancora un poco

diadema del randagio che elemosina.

e poi perché il mondo non adotta

la pellegrina giara del contagio d’aquilone?

 

23.

in gola alla meridiana

del male in assalto

sto col ventre freddo

nell’eremitica trappola

del re che imita felicità

non sue.

la gran regia del palio

è dare d’avvento

chissà quale prodezza

per la stamberga in guasto

perpetuo. il cipresso si fa fatuo

per il fuoco che non scalda.

 

24.

mi piacerebbe chiedermi perché sono morta

col tartufo nel palmo e il diamante nell’altro

con l’amante stretto al petto fino allo spasmo

e la novena del principiante che non sa frenare

lo strazio di restare. qui ti avvengo con le mani

sature di baci eppure piango con la gogna del

migrante. la casa è un arsenale di vendette

all’insaputa di tutti. voglio piangere il resto

dei miei giorni per morire satura, vacua.

nel giorno avviene l’entità del basto

questo pagliaccio che non fa ridere nessuno

con la pelle di ghiaccio e il ghiro sparato

dall’elemosina dell’assassino. il passato

è un crollo di cimitero un addobbo per l’erta.

domandami se gioco con la venia del salasso

quando leggo questi versi in riva al rantolo.

 

25.

nomea del buio stare con le pietre

per spaesarsi dentro le chimere

di regole del dubbio. meno che meno

è vita le macedonie delle bestemmie

in dolo in atto in perno di nomea.

eppure le doglie delle creature

vendemmiano cipressi neonati

per le lenti botaniche del bello

per le nature di fati che non stempiano.

le grandi emergenze delle favole

sono al gerundio di capire il mondo.

 

26.

sono tracolli gli angoli della sera

queste nomee di pianto delle ombre

queste previste aureole del coma.

in nome alla resina che piange

resta la melma della resistenza

questa sentenza in bilico nel pane vieto.

in ernia con le giostre del pacifico

piange la rana che cigola se stessa

con la cometa inane col natale.

il crollo delle dita è avvertito ovunque

se il corrimano rantola se stesso.

 

27.

in un mondo di cordigli senza preghiere

s’intasa il mondo e il cordoglio è unanime.

dove s’inzuppa l’ernia della palude

è lì la testa con le tempie in sangue.

in pasto alle radici che spaccano l’asfalto

resta il pantano delle nenie piene

con le lucertole che de-brevettano le radici.

finito nel mare il pesce della pece

chiama le rotte per scaldar correnti

l’università del sale dentro i verbali.

in balìa con la rondine impazzita

salta l’ordine bello dell’architettura

a foce di delta a ritmo di badante.

 

28.

gioca che ti rigioca è finito l’asso

il messaggero alato dello sguardo

quando vederti era un generare

sogni ad occhi aperti da toccare.

oggi il diamante del tuo passaggio

è ricco di pece, il girotondo una mitraglia

contro nemici plurimi al dolore.

con te non vengo a generar le stelle

né gli alambicchi per i profumi mitici

dato che oggi mi chiamo senza casa

né moda con il vanto delle lucciole.

da adesso piango con la faccenda in tana

dove la bestia mi depone. l’allerta

dell’agonia m’è imposta stazza.

 

29.

i merletti che m’invento li ho

visti allontanando la pena della sedia.

oggi la commessa è solo una faccenda

contabile. ieri attivava qualche regalo.

oggi il gorgo risucchia più del solito.

la genia della girandola attira

mosche. tu non lo crederai ma nel

fato della notte le mani si moltiplicano

scadenti. in un docile pennino

senza scrittura forse la gioia…

o la mannaia del futile converte

al cerchio di mille sposi?

 

30.

appello d’oltre strazio

poter vincere

la rena ad incudine di sguardo.

amami con una vena di disciplina

con una fuga in meno

con un ventaglio di miti.

strappami il petto con un bacio

di rispetto con un inno di pace.

disponi aureole mettimi in giostra

con il sangue che sorride.

sii l’amante comico del pane

l’attento giorno di farmi restare

dentro la gerla della litania.

il corso giaccia pargolo alla gola

altare di ricami seduttori.

 

31.

in un aggancio di rubrica

ho visto l’alba di non

rivederti. mansione nera

l’appello non verrà né sarà

un bacio contro l’umidore

di funghi parassiti, velenosi. la gerla

dei nitore è solo l’angelo

di scordarlo. qui sulle pene

ignude delle logiche

gira la rondine senza cimasa.

si appresta la resina per le pregnanze

d’ascia capace delle stazze del crollo.

 

32.

omelia dello zero la stanza ignuda

dove da giovane mi credevo libera.

attorno al verbo di chiamare invano

ora la vanga è la regina Attila

gravida sempre e per sempre gravida.

fanghiglia della lira questione breve

questo misfatto ghiotto tutto sfatto

venuto per redigere la spesa.

pianto perpetuo resina di polvere

questo spiraglio atavico di madre

maligno l’alfabeto ebete del vicolo.

 

33.

leggiucchio le voragini del senso

l’arbitrio di commettere adulterio

con le frattaglie del nonsenso.

 

34.

è appena parziale la fanfara e il nonsenso

questo appezzamento di terra di lapide

desto il presupposto che si visse

sotto la scure prima della nuca.

a far groviglio l’erba cicuta

questa bravura coltivata in groppa

alla rondine affranta. fughe e nomee

intasano le spalle. oggi è per vederti

che mi spacco il coma marciume

d’alba. la cometa che visita la cimasa

non basta a luce per una vacanza.

 

35.

dammi un otre di stallo

una pace che sappia d’oltremare

tra le maree che piangono le stelle

che si allontanano. intruglio d’erba

spoglia questo cipresso prestato

per legarti la barba tremolante

del tuo pianto. in pace il mito

della rotta non fiaccola più niente.

le masserie d’accanto ti ledono

la fossa. una manciata di pece

il sudario con la cascata accanto.

 

36.

elemosina di gronda stare in fato

monda sposina con la rotta vacua

in mondo contro il tacco della scarpa.

 

37.

accétta di coriandolo il singhiozzo

reso regale dalle persiane serrate

contro il sole che non vuol saperne

un io da salvare. in mano alla scansione

di chi muore la fierezza dell’evanescenza.

sulla scalea del sanatorio la moria

dell’acqua. in quale androne la faccenda

d’ascia che borbotta immortale?

tu non vieni a darmi le comete

che mi spettano. sotto tana si spoglia

la ragione e la baldoria pacifica

del pane. in un pilastro d’ombra

ho visto il mare risucchiarsi.

 

38.

non è che una botola il sudario

l’aria malsana dello stento

il bivacco salino del salterio.

dimentica se puoi questo meandro

a scalare senza niente da mangiare.

in custodia credi d’essere tra i salvi

tra lo stupore delle carezze

le tegole partigiane contro il vento.

 

39.

appello di mecenate è solo un chicco

d’edera, una manciata d’albe per commettere

alloro sull’arrivo dell’atleta tanto piangente.

in cella sotto il rivolo delle crepe

il mio bambino pena la trottola

del libero. è già prigioniero come un

adulto. un perimetro di falce lo trattiene

al salto. ma la mangiatoia del mulo

lo salverà di certo dal codice delle

mura. invano le stranezze dei vespri

umanizzano le grezze patrie i dondolii

del branco tutto a lettiga. adesso salvo

una gatta bigia per l’indizio di tutti.

tutti tranquilli giocano l’attesa.

 

40.

autunno in orbace spegnersi

minestra nomade di fango

giro in darsena per giro a vuoto.

gironzola il goal del respiro

pagano con la gioia della statua

seducente. in mano alla gaiezza della diga

non voglio zaini di pioggia né alambicchi

che rendano beoni. già zazzere di perle

vogliono ornare presunte bellezze

dietro le porte. di te vorrò il caso

del far di resina l’occiduo che porta

a nanna ben più che felici, tranquilli.

in pace con la rotta degli squali

pasqua è venuta in tuta d’atleta olimpionico.

nicchia del bello il pilota certo, tata

dell’ombelico lirico del corpo.

 

41.

sul giglio se ne andava a piangere

inconsolabile figliolo di un assassinato

nato per morire. la pianta grassa

volle un po’ d’acqua una quarantena

di giubilo prima di fiorire. aveva i giorni

contati e si sentiva bene, il mio amico.

questa la beffa di un micidiale fare.

invano la consegna della panica graziosa

farfalla sopra la tempia. il mare era un’agave

marcita. la spatola non serviva a sbrigare

le faccende. tutto restava in attesa

di cedere. la meraviglia del tarlo

si rosicchiò tutto.

 

42.

al tempo di vestirsi con gli abbracci

era la cialda del banchetti passeri

la ciliegia senza l’osso prossimo.

l’inverno si alludeva senza esserci

in mano alle coccole delle donne.

dove s’impiglia la minore stanza

sta la meraviglia del diploma

del diamante l’amante al fulcro

della sepoltura. nessuno pianga

dacché la gioia è terra.

 

43.

è il momento del fato degli angeli

se tu non muori ma ti fai l’integro

viaggio di restare stato di girandola

bravura sopra il giogo del frutto guasto.

il nodo della tempia uccida il dado

fatuo, il muro che si spezza dal dolore

nella frazione ingenua dello sguardo.

tu che nudo convochi la nebbia

il basto sempre pronto ad altro basto.

imprimi una dolcezza all’àncora

che ti sta tirando via.

 

44.

appello sotto teca l’armistizio

quest’amicizia in stima di burrone

foto ottusa che riproduce

il giovane da bello. dove avviene l’alba

non sarà quota di altaquota vita.

anzi un ospedale di periferia

dove l’impero dei sensi si sfa

all’ortica. in panico le guglie

degli ornamenti 

gli angeli le sacralità del vuoto.

tu resti andante con la flebo

al plettro del livido. credi di

rifiorire: indurisce il tarlo la cintura

svuota la cintola in una vieta beffa.

 

45.

ho reso già tutto e la stagione è vuota

in un silenzio di giostre che vanno

al cigolio del parto senza nascita.

qui s’incollano il destino e la fortezza

l’agiata gente che saprà morire

incudine e fardello in un sorriso.

la tara della gola darà il rantolo

l’accesso della venia finalmente

dentro le vene che del lamento strillano.

in pace con la rendita d’eclisse

sta la disputa della resistenza

la zona d’ombra fata di fandonia.

le vene che tramontano sul genio

hanno svezzato il fanciullo arcano

la voglia di poter vivere la gioia.

 

46.

autunno in orbace spegnersi

minestra nomade di fango

giro in darsena per giro a vuoto.

gironzola il goal del respiro

pagano con la gioia della statua

seducente. in mano alla gaiezza della diga

non voglio zaini di pioggia né alambicchi

che rendano beoni. già zazzere di perle

vogliono ornare presunte bellezze

dietro le porte. di te vorrò il caso

del far di resina l’occiduo che porta

a nanna ben più che felici, tranquilli.

in pace con la rotta degli squali

pasqua è venuta in tuta d’atleta olimpionico.

nicchia del bello il pilota certo, tata

dell’ombelico lirico del corpo.

 

47.

 invano sollevo il velo del nunzio

muto senza invito nel crollo che

sono. tu sei il beneficiario della stanza

senza pareti di preghiere, sei libero

sollievo senza morte né speranza.

senza trucco senza voltarmi indietro

sono la vedova del senso. tu laggiù

mi chiami in un fardello di ortiche

che screziano la libertà dell’attimo.

nei banchi di scuola incisi dalla noia

anche il poeta è schiavo. scenda a valle

l’altura della paura questa minaccia

che ciarla con la ruggine e i chiodi

delle girandole cattive. v’è raduno

d’angeli sotto il portone serratissimo.

 

48.

nodi del sale libertà sconnesse

dove si staglia nella noia il dado.

di te la nenia ti farà ragazzo

con il breviario di carezze in nuca.

a viatico del sole che non guardi

cerca il concerto di una cornucopia

la coppia delle rondini filantropiche.

per me che spreco alfabeti e fate

spacco l’orologio giustiziere.

 

49.

a casa mia mi metto in contatto con la gerarchia

del fato. sono senza ombra di dubbio

un cerchio da sfatare data la ricorrenza

perpetua del sonno senza interessi

né di gaudio mattino il figlio esposto.

il tempo mi pesa moltissimo. una rocca

senza castello né ruderi di bello.

attività di genesi di spugna un arcobaleno

monocromo. una manfrina di rabbia

l’autunno vorace sotto i no. cielo

in conclave per rapimento d’ascia.

scialba marea l’infuso per non dormire.




Marina Pizzi


50.

me ne andrò con il travaglio in tasca

con la palestra nell’iride

e la cimasa in tasca a mo’

di salvezza. le mosse di alambicco

saranno sature di gioia.

tu reggerai una resina di vuoto

uno scompiglio alla lancia del cipresso.

sarà brevetto l’apice del figlio

con la costumata arsione verso il cielo

senza mai vedetta di vendetta

verso i poveri genitori che lo ebbero.

 

51.

in un giorno di soffitta e di cantina

ho visto l’indice del dubbio.

io vado in un cespuglio a prepararmi

un limbo. la botanica m’interessa

ché da una bellezza palese

ne lascia arsione, ceneri aperte

insotterrate. teatrante di noi questo

diavolo di tavolo dove si prepara

di ogni cosa. da domani l’efebo

sarà un elisir per manici di scopa

ergastolani d’asfalto. tutto lucidato

a festa lo zerbino della fionda.

 

52.

ti saluto col bavero di pece

con le roventi storie della notte

con la gola di vetriolo.

in vetta all’ecumene del silenzio

giace la ronda del pozzo

la pozzanghera del cielo che ne muore.

in un tratto di polvere ho visto

il compasso che spezza il cerchio.

venia di sasso voglio la mia bara

baraonda per il gioco del sorriso.

 

53.

la genesi del fulcro è stare in attracco

consumando le ciglia delle vedove

le rimembranze del dolore sulla summa

degli angoli. in fase piena il riscatto

è nullo, nulla la cometa e il dado

in foggia di ciclope in pena. a me mi mosse

il tiro con l’arco per sanguinare il guado

e la ciliegia in abito di baco

la seta senza coma per sempre viva.

 

54.

muoiono di me il sillabario e l’abaco

la brace minima che mi resse sopra

la madre dell’apolide che sono.

in gerla di martirio il fiumiciattolo

del pianerottolo in indice di scala.

dov’è mattino non so più leggere

le albe invise le betulle nane

dentro le mani logiche dell’arbitro.

sono stata abbandonata dalla chiosa

che fa bello il giorno e la nomea

di nascita è una zattera di ascia.

vada la scia dell’ultimo predone

dove è rispetto il pianto.

 

55.

amo le reliquie delle stanze postume

le giovani polveri che studiano notizie

da archiviare. gli eremi degli angoli

che curano viatici di cibi imperiali.

poi passa il falco con la vista buona

e tutto si redime in un cristallo

di pece. l’arcobaleno in ciotola

incoraggia il dondolio dell’angelo.

 

56.

dietro il paravento rantola

chiunque con spavento. dalla moria

dell’aria i passeri principeschi

con le briciole dell’ultimo pasto.

un salotto di lucciole vederti

assiso sul sorriso delle estati

allora quando il segno non era

il tempo né l’eclisse. sul sasso

del rancore ora la ringhiera

di spiccare il tonfo. oggi la quadreria

dei ricordi ha foggia dèmone.

modernissime placente stanno in apice

dove si dice ceda facilmente

l’altare in un bivacco di ricerca.

 

57.

fa soffrire il lato del sentiero

la firma falsa per poter ridire

il decreto della pece. alpeggio

e aratura sono lo stesso

drammatico comando di resistere

stemmi d’amore con le labbra

in lacrime. l’addetto alla resina

sa modellare scudi. eppure sono

belle statue le faccende del sorriso.

qui in poco corso vige la nomea

del caso, il caso brullo della finestra

aperta sotto la cimasa in crepa.

nel perno delle frottole ti dico

l’avanzo dello zonzo nei cipressi.

 

58.

è rimasto l’affresco del sangue rappreso

il grido chiuso di comete scarne

nel brivido dell’erta che racchiude

demolizioni e moti di protesta.

la forza di sapere le voragini

inceda appena si saprà che girano

le comiche del ventre di risacca.

la foggia della casa è un aquilone

a presto con il guinzaglio di tornare

dove la storia è nata per natura

d’eco. il piglio del commercio è

l’eclisse servita sopra un giogo

di sassi e lapidi. in palio la fortuna

della scommessa d’ombra o la bravura

d’arnese senza il fato della ruggine.

 

59.

vola l’apostrofe a falciarmi il cuore

nel nero ossuto delle casseruole.

ernia la spada dello specchio

rimanda un indice di parole vizze.

otturato il salvadanaio in mezzo

al gran tesoro. la beffa si sigilla

dentro lo stagno d’esodo.

 

60.

attrici di cenobio le colonne

con gaiezze di spose. domani

la risacca dell’ombra vincerà

la pietra. il pollice succiato

dal bambino rimedierà catastrofe.

la strofa fischiata dalla rondine

forerà la lapide per le larve

delle farfalle. la velocità della girandola

farà volare la terra con i papaveri

proletari. l’altare del fannullone

sarà la migliore delle case.

 

61.

di sorvolo so piangere a cascata

così senza disturbare le meraviglie

del baro milionario che se la ride

tutto congiunto al lunario del forziere.

in mano all’abitacolo lo strazio

dover resistere con la bestia tragica

la stamberga unita con la veletta

del bel cadavere. invece con le beghe delle funi

sta l’acidulo pallore delle notti

tutte a frusta con la lotta panica

per un’osmosi satura di nicchie

dove le teche permettono salvezza

la riverenza di una nuca che si piega.

 

62.

orto sparuto nello spago del lutto

dove s’insinua un fiato di mestizia

per l’ira sinuosa della rondine

che nulla può. tu quaggiù che vaghi

nei quaderni in bella copia dei ragazzi

nulla puoi dall’eremo di te. sfianchi la messa

in libertà di gatti indifferenti e attenti.

nulla puoi dal carnefice giogo di cipressi

che godono la ronda di non far sole.

elemosine del dono fu la gioia

ora la singola bora della vergine

età della fine. età del fato il ristoro

cieco dove non almanacchi alcuna fonte

né cielo estivo lo stipo serrato.

emigri il nome un esodo di stato

a far sorriso almeno il dondolio del plettro.

 

63.

la sfinge moritura della torre

al crollo. è poi domenica ma la scansia

del mese erutta una blasfemia

dal tempo di nemico. l’età di polvere

nella ventola di stare per fratelli

ingordi di ognuno. erompe tacita

la tempia un palio d’agonia. dal panico

il recinto e la cintola canuti

dove si muore a frotte. è già domani

il lutto che fidanza le aiuole a rivoli

di astratte voglie. nessun indirizzo

in tasca convocherà le nozze

tra la tresca e il diluvio. tutti zitti

i frutti delle siepi e le gole

della penuria d’essere le scuse

di chissà quale sbocco l’atrio di fiaccola.

a festa dal cemento l’erba sbarca

calamita d’estasi la discolpa.

 

64.

dammi un oltre di stallo

un io che mi abbandoni.

un dono acrobatico che

faccia da trafittura

al fulcro di dover essere

cordame al feretro che s’interra.

giungimi in frotta con il sangue caldo

ultimo amante di ventura!

tura l’apice del redentore

che spezza gli appuntamenti.

sfuma per me le oasi bugiarde

il sopruso del sale sul materno

nodo paterno che rovina il sì.

 

65.

la genia che spezza ogni cipresso

da me venga appianata maestà

così per la risata sulla terra

se finalmente liberi i cordami

del darsi al male per giogo di tempo.

le nomee linguacciute delle corone

hanno fibre di alamari per sentinelle

pessime. le colpe delle fiaccole

non possono regine né giuramenti

rari. qui è tutto un peso di

sfollati di spranghe piene per

menar le mani al pane appena fatto.

 

66.

esco dal grembo per andare al cuore

dove la pace è rimedio losco

con la lusinga di bere un po’ di polline.

 

67.

è un’arsione in palio di capitare

smorti. amore sale la vittima e

l’occaso. in mano alla penombra

brami la cresima del rendimento

colmo. invece di scheletro il

recinto. tu non colmi le vette

dell’uccello, questo sbarazzarsi

del seno singolo. in te il fegato

s’inceppa in disonore con le

promesse gaie solo di ieri. tutto

è un pisolo di veleno e noia. il

crollo del silenzio modifica l’istante.

 

68.

col cuore cotto da avarie metropolitane

imparo le stangate della notte

le troppe tane di figliare il sogno

di dimenticarlo. in palio il taglio

della catena al cane bonario trofeo

delle cicale che se la ridono. in mano

alla bolla di sapone so tornare

epos di me che fui sedotta

dalle leccornie del fato da estirpare.

rimase intatto il calco nella calca

di sibilare il mondo.

 

69.

in vetta sul comignolo di piangere

sorge il cimitero della logica

tutta battuta la terra della stirpe.

impegno e contumacia un mare in

debito. più di niente si rida

nel favore delle stelle.

l’età del pozzo ha il rossore

del primo istante e la perdita

a perdita d’occhio. dove sei marina

o pozza di cristallo senza rito di riso.

in mano alla mestizia della smorfia

tutto si perde in un favoloso stento

o almanacco bianco nel nero.

 

70.

tutta la stampa racconti l’accaduto

della zolla. mendicità del faro

il rito della notte qualora ci sia forza

di vista. e stemma in vista come a

riciclare chissà che sfarzo nello stento

vero. in mano alla corolla dell’accaduto

si dia canuto il bacio della notte

la simbologia perenne della morte.

in mano alla perizia del cristallo

il lento addio dalle mille facce.

l’età del fato è un ordine maggiore

giocato sul periglio della botola

sulla calura in pianto delle impronte.

dimentica di me le versioni note

dacché la creta è l’unica maestra.

 

71.

mo’ viene il martire e ti scavalca il volto

e perderai la carica di esistere

sterminio o vita fa lo stesso.

sì col vanto di terminare

le stornellate dei polsi litigiosi

e la mania di scrigno della porta.

 

72.

la cornucopia del mio stento

è piena di furti d’epoca.

la calcina fa recinto

senza cibarmi mai.

così sto in storia regressiva

silvestre arsione senza più fuoco

o coma. la darsena della resistenza

stempia la pia aureola d’eclisse.

do in pegno un elicottero acrobatico

così badante al tic che mi fa morire

ogni istante. in tenuta ginnica

la cometa se la ridacchia.

 

73.

in mano alla rondine dimostro

che so volare e spalancare il becco

per non nuocere nessuno. nessun cibo

atterrerà il mio gozzo. so la morte piatta

della lucertola e l’agonia del senza luce.

sia rimessa in patria la curva della fuga

per un livello d’etere ben certo

alla farfalla stenta, stentorea falla.

in mano alla gaiezza della fanga

l’ilarità ultima.

 

74.

almeno sia certo che non tornerà nessuno

a respirare un’ernia di missione

nulla. non voglio il patriarca del piedistallo

né il fioco stallo dell’ultimo cipresso.

in meno di una rotta so la fandonia

della ninna nanna e della culla. rapacità

e bottino muovono passi da giganti.

gare di grandini narrano frastuoni

inaciditi e tremuli. andrà la nuca

dalla frottola cosciente dalla mania

di esserci per parto. in pancia le malie

del bacio, le scorrerie del termine.

 

75.

perché non vengono i giocatori d’azzardo?

tutto è pronto per la sorte e ritardano

il fatuo del respiro. dove si avviene

l’ansia del diploma d’esame cinghia

che stringe le lenzuola della scacchiera

a talamo d’asfalto per il fato.

in un periplo di nenia la noia tutta

di ancora schivare il bilico sotto

il costo della corazza della tartaruga

di cornicione. dove nel feretro del fiume

il tuo comando non galleggia né gioca

a fianco con la fettuccia del leggio

che serve alle preghiere.

 

76.

la mela sterile che appassisce in terra

ripete le cartelle dell’obitorio

quelle penombre a vuoto non più duttili

del gioco dei dadi. in mano al crisantemo

del perpetuo il tuo passire nel gergo

della terra. le statue fredde riflettono

le mani visitanti rimorsi

nel simbolo pensanti. in chiodo alla nomea

il grido della vanga che gareggia un pulpito

migrante. non c’è nessuno nel fulcro

della gronda nel colosseo demolito.

 

77.

ho un vestito che mi dimora spesso

prospettiva di pianto la pazienza.

in un taglio di eclisse la faccenda

della cerbiatta fatua e tanto bella

da dimorarci dentro. eppure mi domando

quale sia la fazione del distacco

la ronda certa di perdere tutto

o la dimessa aureola dell’amo.

in un feretro di luce aspetto il treno

o la galassia della sassaiola

io d’eremo scappare. l’aiuola della nuca

campa d’estro senza canestro vive.

mi è caduto l’anagramma in un fattaccio

di morte.

 

78.

lavoro con la nebbia per persistere

la stele che vorrebbe musicale

l’orto. invece la stessa sabbia, tetra,

erutta baldorie di vento

dottrine illuse alla preghiera.

educo un monco manto di cancrena

dove la rena è la beata vergine

della polvere cadaverica. a dritta

a manca la vendetta è giovane

eruttiva valvola di voce.

nessuna bontà dal cappio del sedile

in contumacia e oltre. qui la tenebra

dirotta le nuvole in un lavatoio di

schiavitù dove si coniano le crepe

del veleno alle nomee del credo.

 

79.

la conventicola dell’appalto

tira giù macerie.

madre e figlio sono tumulati

insieme. la trecciona intorno al capo

della madre la fa matrona di niente.

il figlio esile fu un’aureola.

rea prosa questo stazionare

in un balconcino di sterpi

pigre lamelle di cicli inflitti.

qui non si ciba la rondine

ma la divelta favola del raggio

ancora si aggira per le promesse

debite amorali e tante. in cielo

le fantasticherie del plettro

non rinunciano alla chela di far credere

le ciance per poemi d’angeli.

 

80.

appenami con il picco della gronda

faccenda chiusa in un moschetto

di faccia alla scaturigine del fosso

dentro l’abaco per scontare il giro

fisso e rifisso di una cometa zoppa.

appieno dentro l’ernia della voce

questa stragrande musica di fango

dirimpetto al nero del comignolo.

nulla si basi su perpetui giochi

né per le pene del tarlo senza pena

né per il pomo azzurro di chissà che.

nel fattaccio che cigola le porte

resta la gola dell’effige.

 

81.

sui cornicioni passeggiano i piccioni

inutili come un grembo buono.

la bomba della poesia è similoro

e non beffeggia la gronda del suicida.

in maniche di camicia l’arbitrato

non fa vincere né perdere.

è un bisticcio di rendite stare appesi

per simulare il lichene cheto.

sulla ultima giacca del condannato

le rondini naturali lo reclamano

re. gli specchietti per le allodole

dirupano il sole. le migrazioni umane

hanno le attese delle briciole.

 

82.

a fondo si marciscono le rondini

un ricordo di mendicità.

qui la vena è un sodalizio venturo

un tuo dislivello per amarmi, amarle.

si chiamano miserie le scialuppe

allucinate al bavero degli scogli.

tu verrai col treno di fiducia

a cinguettare le aureole più verdi.

in talamo le teche delle rondini

sono gli specchietti di rivederti

vivo schietto in balia del premio.

 

83.

delle folate più bizzarre

tornino le rondini.

queste dimesse spezie

che lambiscono il cibo.

e poi la bisaccia a ciondoli di baci

per tutte le chimere delle bici.

domani le merle dal becco grigio

ameranno le mani da baciare

con perlomeno insite le cialde.

verso di me vengano le logiche

le gare che galleggiano le onde

descritte da un fiato della luce.

 

84.

è tutto un covo di arcigne spezie

verso le cave di chi muoia prima

dentro i comignoli delle stanze.

in mano ai versicoli del credo

questa parvenza di essere giocattoli

di nessuna felicità in pace d’essere.

accanite libagioni il muro del fato

senza le tattiche di barare mai.

le corti delle liriche hanno il giardiniere

più crocefisso di un amante buono.

 

85.

la malia della cornucopia è l’asilo

verso l’almanacco del codice misterico.

in terra di eclisse la lira del sogno

verso la nomina del gancio della

salvezza. avanza in coda la nenia

del vaso rotto ridotto in ciotola

di elemosina. la marea della nuca

seduca i fianchi della madre. il resto

è frottola nel guado del dado d’imbroglio.

 

86.

in un’aria secca invisa alla cometa

nacque lo scempio. in pubertà la nenia

del rantolo sembra una canzone. io stessa

vissi la carcassa del nome. miracoli

cannibali porsi in ascolto dell’angolo.

si resta soli nel cerchio della mente.

un indovino mi presta le corde per

scappare di prigione, ma sono di

seta e si spezzano subito. molti

mal silenti bivaccano dal pulpito

di un qualunque balcone. la forza

del tutore non basta la statua di sale

che si sta formando.

 

87.

mi piacerebbe tanto avere l’origine del tetto

l’erba di bilico che si fa bravura

rottura con il mondo. invece piango per

una sbavatura per una bravura di sconfitta.

in un residuo di balena resto al mondo

foga di onda blasfema. femmina d’arco

mi tornerà la freccia senza cuore!

 

88.

una notte di ospizio di latrati

guardarti il viso che se soffre è poco

se nulla offre la costanza vizza

tradita dalla tattica dell’abaco

saper contare sul comunque occaso.

in vetta alla classifica del sangue

questa minaccia tattica del treno

che fischia senza mai arrivare.

in codice alla nuca la corteccia

dell’ultimo albero divelto

per far posto al tronco della bara.

in barba alla storiella della comica

restano le fasce della mummia

il corpo andato a farsi sbrevettare.

 

89.

senza date è passato un almanacco

uno scrittore ucciso con successo

verso un poeta ucciso per due volte.

una colonia d’asma il mio insuccesso

dovuto alla smania di ritornare

verso le bocce acidule del dubbio.

in mano alla cometa che non sa parlare

sta il genuflesso stadio del ricordo

quella domenica intrisa di dolore.

in mano alla fandonia del buon crisantemo

resta l’America senza l’approdo

verso le zone d’ombra della canicola.

tu stazza amore nel ventre della stirpe

e troverai una tanica di fumo

verso le randagie oasi a morire.

 

90.

in mano alla girandola temibile

versa il tempo una nomea di morte

una gestione d’ascia. tra Americhe

che fungono da gole

muore la terra con i golfi tutti

senza marea né spasmo d’onda.

le crisi della carne sono benevole

allo stucco alla muraglia in guardia.

resta la gioia di diffondere l’eclissi

verso le stasi delle gerle vacue.

 

91.

alla maestà del bacio

si dà l’addio

ben sùbito. alla pertinenza

della nuca bambina

si fugge sùbito verso

un soldo che non paga mai.

alla lezione del palmo

si è detto addio

senza risposte o vaticinio minimo.

nel martirio del fato

il gerundio di non capire

che lesa maestà l’utilità del ponte.

in mano alla maretta del pianto

si origlia la direzione della fuga

verso la gara di scompigliare il seme.

 

92.

la pietà dell’ozio

presso l’asfalto di fiori spontanei

e la spugnetta tragica sul viso

del morente. tu che ami

i fossili e le rondini

chiamami al sì di regole bonarie

e tegole che possano una casa anfibia

un po’ marina un po’ montana un po’ darsena

molto pudica da restare vergine alla polvere.

in mano allo scantinato che mi sposa

dammi un tic che mi possa consolare

bambina sola. intorno alla voracità del verdetto

ho perso la tipica stazione di far battere

serenamente il cuore. nessun saluto ha etica

di ramo per dar futuro all’albero.

 

93.

caos da culla

[se ne consiglia la lettura ad un pubblico scarnificato]

 

così si piange con l’elefante in mano

senza pensare che la ciotola è sbiadita

oltre il residuo del grano. senza senso

ti parlotta il guaio di far sentiero l’io.

il musico mutilo è solo un nome

di sopportare le frasi della comica

senza atto di riso. per le smorfiette

televisive ho perso l’oasi e la sciabola

del caso delle rimostranze pro o contro

non importa proprio a nessuno. tu tienimi

i polsi voglio vincere la voglia di uccidere

tutti i calendari gli orologi le giostre di fulcro

con le caviglie vizze. non venirmi a dire

che la pace viene mantenuta dalla biologia

notturna. tutti si rammentano di una altana

tanto aperta alla campagna musicata dal faro

del petto di guarigione. non starmi a dire

che è giorno di stipendio per il dio della spiaggia

pagato granello per granello di sabbia.

 

94.

in pugno alla faccenda del dramma nero

si argina la giostra. in strada le parrocchie

di far buio non pregano neanche. chissà

qual è l’alunno della foce. in lode al martirio

del sentiero resta la stanca aureola del giusto.

questa cedenza lirica del pane

aggiunge un’altra scarica al diniego

di starsene girovaghi. qui si muore e basta.

gerundio del senso il solito mentire

per narrative futili. quali allo scherno

di ridere di nebbie le genuflesse favole

per deboli. poi un sipario sul rigo

del perché.

 

95.

in una resina di spasmo

la maturanda vanga

di perdere memoria

per la fanga del guado andarsene.

nello scarto del sarto la giuria

del nudo. la rimanenza del manico

di scopa a far più bello il mondo

o la palese pasqua della polvere.

cantuccio su cantuccio sto in diniego

nel finimondo d’ascia nella scia di spandere

bastioni i rimorsi nella gola.

 

96.

ingorghi degli stadi stare al mondo

genuflessi bagliori senza giochi

o sgangherate prese della sabbia

sotto le paghe delle rendite da niente.

in te che vedesti la cometa e il dubbio

resta la steppa delle gabbie tutte

fondenti alla maretta del corvo bianco

l’anima magari che sembra brava.

la rima sa di fiele e di rammarico

verso le ronde tacite le nuvole

le sorti senza senso di rigare

dritti e palesi come anatroccoli.

i polsi che del sangue s’innamorano

stagnano al mormorio del penare roco

la stanza che sul muro si bestemmia

sé e l’America senza le finestre.

 

97.

dava un vezzo al clamore del vento

come per dissuaderlo. il tuorlo della luna

se ne stava come avvilito. aveva lena per un

abaco cattivo vestito di somme di ineguagliate.

la guarigione dal tempo sminuzzava le vetrate

senza liberazione. in tutte le maioliche

della stazione un cuore raccontava un fallimento.

dove sei amore che in zona mi prendesti?

dove il depistaggio delle frottole vincenti?

in tono alla messa della stanza

muoio topastro con la vena in schianto.

dove la rendita del fuoco a far marchiare

il vero? in pugno alla penombra della stalla

muore l’agnellino del prìncipe superbo.

 

98.

le ho perse le stazioni della foce

e della darsena. nella sabbia ho

murato un seno e un cipresso

atto alla compagnia. sono mutila

nello stanzone pieno di carrozzelle

per i mutili che abbozzano un sorriso

o ben più spesso gli occhi bassi

studiati dalle rondini per sorprenderli.

inutili crisalidi per domani

le farfalle. da sùbito il corallo ben colorato

avrà la rendita della bellezza. qui rimane

una stazione in collera con se stessa

e la chimera in odio all’ultima allegrezza.

 

99.

è stato ossuto il tempo, senza pietà

per il cane alla catena per il tozzo

di pane con le spine della pazienza.

 

in un crepaccio le ciotole dei morenti.

 

la culla del boia è stare assenti

silurati dalla boria del tempo.

una regione d’estasi e fontane

una stagione d’estasi e sudario

qui dalla recita del bosco

scosceso verso serre e acquitrini.

 

in una ciotola di estasi ti aspetto

arcobaleno nel tarlo, muschio dotto

dove la schiera delle api trepida

l’ingoiarsi della rotta, la sfera nera

lottatrice di tuffi dentro la pece.

le mollichelle della luce eludano

l’abbandono dell’uovo incrinato.

 

 

*  Marina Pizzi è nata a Roma, dove vive, il 5-5-55.

Ha pubblicato i libri di versi: "Il giornale dell'esule" (Crocetti 1986), "Gli angioli patrioti" (ivi 1988), "Acquerugiole" (ivi 1990), "Darsene il respiro" (Fondazione Corrente 1993), "La devozione di stare" (Anterem 1994), "Le arsure" (LietoColle 2004), "L'acciuga della sera i fuochi della tara" (Luca Pensa 2006), “Dallo stesso altrove” (La camera verde, 2008),  L’inchino del predone” (Blu di Prussia, 2009);

***** [raccolte inedite in carta, complete e incomplete, rintracciabili sul Web: "La passione della fine", "Intimità delle lontananze", "Dissesti per il tramonto", "Una camera di conforto", "Sconforti di consorte", "Brindisi e cipressi", "Sorprese del pane nero", "L’acciuga della sera i fuochi della tara", "La giostra della lingua il suolo d'algebra", "Staffetta irenica", "Il solicello del basto", "Sotto le ghiande delle querce", "Pecca di espianto", "Arsenici", "Rughe d'inserviente", "Un gerundio di venia", "Ricette del sottopiatto", "Dallo stesso altrove", "Miserere asfalto (afasie dell'attitudine)", "Declini", "Esecuzioni", "Davanzali di pietà”, “Plettro di compieta”, “L’eremo del foglio”, “L’inchino del predone”; il poemetto "L'alba del penitenziario. Il penitenziario dell'alba"];

***** le plaquettes "L'impresario reo" (Tam Tam 1985) e "Un cartone per la notte" (edizione fuori commercio a cura di Fabrizio Mugnaini, 1998); "Le giostre del delta" (foglio fuori commercio a cura di Elio Grasso nella collezione “Sagittario” 2004). Suoi versi sono presenti in riviste, antologie e in alcuni siti web di poesia e letteratura. Ha vinto due premi di poesia. *****

[Si sono interessati al suo lavoro, tra gli altri, Asmar Moosavinia, Pier Vincenzo Mengaldo, Luca Canali, Gian Paolo Guerini, Valter Binaghi, Giuliano Gramigna, Antonio Spagnuolo, Emilio Piccolo, Paolo Aita, Biagio Cepollaro, Marco Giovenale, Massimo Sannelli, Francesco Marotta, Nicola Crocetti, Giovanni Monasteri, Fabrizio Centofanti, Franz Krauspenhaar, Danilo Romei, Nevio Gàmbula, Gabriella Musetti, Manuela Palchetti, Gianmario Lucini, Giovanni Nuscis, Luigi Pingitore, Giacomo Cerrai, Elio Grasso, Luciano Pagano, Stefano Donno, Angelo Petrelli, Ivano Malcotti, Raffaele Piazza, Francesco Sasso, Mirella Floris, Paolo Fichera, Thomas Maria Croce, Giancarlo Baroni, Dino Azzalin, Francesco Carbognin, Alessio Zanelli, Simone Giorgino, Claudio Di Scalzo, Maria Di Lorenzo, Antonella Pizzo, Marina Pizzo, Camilla Miglio, Michele Marinelli, Emilia De Simoni, Linh Dinh, Laura Modigliani, Roberto Bertoni, Bianca Madeccia, Eugenio Rebecchi, Anila Resuli, Luca Rossato, Roberto Bertoni].

***** Nel 2004 e nel 2005 la rivista di poesia on line “Vico Acitillo 124 – Poetry Wave” l’ha nominata poeta dell’anno. Marina Pizzi fa parte del comitato di redazione della rivista "Poesia". È tra i redattori del litblog collettivo "La poesia e lo spirito", collabora con il portale di cultura “Tellusfolio”. *****

Sue poesie sono state tradotte in Persiano, in Inglese, in Tedesco.

Sul Web cura i seguenti blog(s) di poesia:

http://marinapizzisconfortidico.splinder.com/=Sconforti di consorte

http://marinapizzibrindisiecipr.splinder.com/=Brindisi e cipressi

http://marinapizzisorpresedelpa.splinder.com/=Sorprese del pane nero

 

 




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