di Sarah Panatta
"Ti
accorgerai un giorno" anche tu, che dentro la scatola di latta che oggi è
tutto il tuo mondo, c'è solo un pupazzo.
Training
di violenza intorno ad una tavolata di "ringraziamento". Gonadi da
rodeo trainate dal culto leaderistico, maschilista, oscurantista e dispotico,
dei Padri. Tiro al bersaglio con le pedine di una cultura di massa apatica e
obesa. Tiro di box con il mento del commilitone o col rimpianto appena
percepito, forse solo fastidio latente, di una vita inesplorata. Classe operaia
che si immola accecata. Classe operaia che non va in paradiso. Due giovani
uomini lasciano la provincia occulta del proprio paese e della propria presunta
mediocrità, e partono alla ventura per trasformarsi in eroi o capri espiatori,
involontari, di guerra volontaria.
Chris
Kyle futura "leggenda" del grilletto dei Navy Seals, e Will James,
artificiere kamikaze, entrambi mercenari impavidi e (diversamente) patriottici.
Due facce, apparentemente psicopatiche, della stessa bandiera a stelle e
strisce, e non solo. I protagonisti, rispettivamente, di American Sniper[1]
(di Clint Eastwood, 2014) e del suo precedente The Hurt Locker[2] (di
Kathyn Bigelow, 2008) – il primo un film profondamente americano del regista
conservatore-critico per eccellenza, il secondo un film pluripremiato di una
regista discontinua ma raffinata, che soffiò ad Avatar la statuetta
d'oro più ambita agli Oscar in virtù del proprio spettacolare nitore tecnico e
psicologico (e del tempismo politico).
Due
opere gemellari e dicotomiche, legate a doppio filo nella narrazione di una
deriva nazionale che ha fatto della guerra il campo di concentramento e di
sterminio del senno, della capacità di autodeterminazione complessa, infine
dell'umanità, di centinaia di migliaia di giovani.
Chris
e Will, caratteri esemplari e insieme portatori (in)sani delle stimmate del
proprio Presente. Due custodi delle ferite di combattimento di una nazione
eretta sull'abusato mito della frontiera da preservare/espandere/replicare. Due
figli imperfetti e troppo sensibili, ma non (più) sensitivi, di famiglie supine
a una democrazia (del più forte) esportabile, domestica, patria,
internazionalizzata, regolata dalla legge del taglione. Due ragazzi carichi di
ormoni repressi e aspettative confuse, cavalieri senza impresa per una caccia,
senza tregua e senza fine, a se stessi.
Chris,
texano dagli occhi di ghiaccio, tutto muscoli e cuore in bolletta, cowboy
pentito e tradito, erede di una famiglia numerosa, frantuma i residui del suo
cuore solitario credente e permanentemente furioso, arruolandosi nei Navy
Seals, diventando cecchino modello ed eroe osannato e deprecato, persino
mutilato, in onore della patria offesa da attentatori mascherati, e tornando
per quattro turni consecutivi nell'inferno dell'Iraq post 11 settembre. Will,
ragazzo padre immaturo, pronto all'azione goliardica e sentimentalmente sedato
da un'indecifrabile adrenalina, scappa in quello stesso Iraq, a sminare
cittadine crivellate dai bombardamenti e dalla guerriglia urbana, a
disinnescare ordigni piantati sui petti e nei cuori, hurt hearts, di un
paese stordito. Sia Chris che Will abbandonano ripetutamente la propria neonata
famiglia per deflagrare all'estero e da lì dimenticare e dimenticarsi dietro la
missione difensiva pro grande famiglia, grande fratello, USA. Entrambi
disarcionati, disorientati, ignari del (proprio) vero obiettivo. L'uno perso,
dopo la conta degli omicidi e dei compagni altrettanto perduti, e rassegnato al
ritorno dentro lo steccato angusto di casa. L'altro svuotato, ma assuefatto al
territorio di guerra e lì rimasto, auto-ribattezzata matricola di un destino di
bombe nascoste, perché incapace di sfidare (senza la tuta da artificiere) tanto
il pianto del suo bambino quanto la scaffalatura ipnotica dell'ipermarket
dietro l'angolo.
Due
cavalieri avventati contro i mulini a vento di un'allucinazione di massa.
Prodotti e devastati, sedotti e abbandonati, da uno schema di/per la Guerra.
I
cavalieri l'arme, l'arme i cavalieri. Armati cavalieri per disarmanti massacri.
Guerra contro se stessi, china masochistica dell'aggressione all'estraneo,
terrore preventivo e crociata oltreoceano per la difesa del popolo indoor.
Guerra contro se stessi, missione ontologica, assunto fondativo dell'Io wasp.
Chris e Will sono le cavie belliche di una "cura Ludovico" innestata
e stratificata, attraverso quattro secoli, nei geni della classe "dominante". Cura che agisce in
duplice percorso neuronale/ (dunque) sociale, creando un composto
propagandistico sociobiologico in cui una "fase" alimenta l'altra, in
sospensione esatta. Fase uno. La "cura" crea numerosi
"campi" di irregimentazione di cervelli e membra, tra college,
ghetti, corpi militari, sette, canali via cavo, e allatta/alletta i suoi più
dotati "mostri". Fase due. La "cura" partorisce serialmente
guerra, fatta di bolle finanziarie, di droni e di reality games, pulsata
scudata e assorbita dai suoi ammaestrati mostri. E al contempo ammansisce o
spaventa gran parte della nazione. Convincendola che stuprare e usurpare
l'"altro" (dall'inconscio del telespettatore più scaltro, al talebano
non meglio contestualizzato nel deserto dei barbari fuori rotta, dall'avventore
negro del kebab nel ghetto, alla popolazione araba di uno stato petrolifero
politicamente strategico, al nerd infiltrato nella mafia dei social network),
fino ad negarne e ricodificarne forza e quindi identità, sia questione di
sopravvivenza collettiva perciò privata. "Non nel mio cortile". E giù
bombe.
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Una scena di American Sniper (2014), regia di Clint Eastwood
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Chris
la "leggenda" dei cecchini, realmente esistito, e Will, artificiere
suicida cesellato dalla penna di un giornalista esperto dell'orrore
disindividuante della guerra. Forgiando due protagonisti immani e indomiti,
monolitici e sconfitti di una guerra della quale non si interrogano
storicamente, politicamente, eticamente, Eastwood e Bigelow si addentrano nel
proprio romanzo di formazione (più evidente nei lavori di Eastwood da Million
Dollar baby a Gran Torino). Entrambi i personaggi sfogano un istinto
di violenza serbato nel dna e fermentato da educazioni simili, dalla liturgia
familiare, sociale e mediatica. Entrambi evitano di scrutarsi. Ma mentre
Eastwood non taglia mai con luci trasversali il suo fragile assassino, Chris,
cullandolo e forse (seppur problematicamente) rinchiudendolo nella sua
patriottica protezione dei compagni cecchini (compagni di quale guerra? quale
comune intento?). La Bigelow evita pericoli di manicheismo e inonda delle
piatte bianchissime luci del giorno mediorientale l'ambiguità innata del suo
artificiere, l'enigmatico sfrontato Will, avulso dal mondo nel suo casco anti
urto, ma inadatto alla sua civiltà d'origine. Eastwood difende Chris nel
funerale trionfante, scoprendo solo per pochi rari indizi le colpe della
nazione contraddittoria. Colpe che la Bigelow scrive nelle rughe premature di
Will, nelle sue pause crudeli, nel suo discorso asettico e disincantato al
figlioletto balbettante.
Will
resta la figura più spuria eppure fulgida di un capolavoro già dimenticato,
mentre Chris è il golden boy opaco di uno dei film più discussi del 2015.
Cuori
rotti e chiusi a chiave.
Quando,
come accorgersi che quella scatola di latta maneggiata dalle incaute mani infantili,
quello scrigno inutile di pupazzo immoto, è sempre stata il sigillo delle
cadute future e delle prove passate.
Scatola
senza magia. Scatola dei sogni, che esplodono senza lucchetto. Hurt. Locker.
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Una scena di The Hurt Locker (2008), diretto da Kathryn Bigelow
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