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Il senso degli Usa per la guerra


      
Una tagliente riflessione sui risvolti in chiaroscuro dell’impegno bellico americano in Iraq, visti attraverso il filtro di due importanti film: il recente "American Sniper" (2014) di Clint Eastwood e "The Hurt Locker" (2008) di Kathryn Bigelow. Tramite la vicenda di un implacabile cecchino e di un artificiere kamikaze, si rintraccia una radiografia del sottofondo inquietante, quasi psicopatico della coscienza nazionale a stelle e strisce.
      



      

 

 

di Sarah Panatta





"Ti accorgerai un giorno" anche tu, che dentro la scatola di latta che oggi è tutto il tuo mondo, c'è solo un pupazzo.

Training di violenza intorno ad una tavolata di "ringraziamento". Gonadi da rodeo trainate dal culto leaderistico, maschilista, oscurantista e dispotico, dei Padri. Tiro al bersaglio con le pedine di una cultura di massa apatica e obesa. Tiro di box con il mento del commilitone o col rimpianto appena percepito, forse solo fastidio latente, di una vita inesplorata. Classe operaia che si immola accecata. Classe operaia che non va in paradiso. Due giovani uomini lasciano la provincia occulta del proprio paese e della propria presunta mediocrità, e partono alla ventura per trasformarsi in eroi o capri espiatori, involontari, di guerra volontaria.

Chris Kyle futura "leggenda" del grilletto dei Navy Seals, e Will James, artificiere kamikaze, entrambi mercenari impavidi e (diversamente) patriottici. Due facce, apparentemente psicopatiche, della stessa bandiera a stelle e strisce, e non solo. I protagonisti, rispettivamente, di American Sniper[1] (di Clint Eastwood, 2014) e del suo precedente The Hurt Locker[2] (di Kathyn Bigelow, 2008) – il primo un film profondamente americano del regista conservatore-critico per eccellenza, il secondo un film pluripremiato di una regista discontinua ma raffinata, che soffiò ad Avatar la statuetta d'oro più ambita agli Oscar in virtù del proprio spettacolare nitore tecnico e psicologico (e del tempismo politico).

Due opere gemellari e dicotomiche, legate a doppio filo nella narrazione di una deriva nazionale che ha fatto della guerra il campo di concentramento e di sterminio del senno, della capacità di autodeterminazione complessa, infine dell'umanità, di centinaia di migliaia di giovani.

Chris e Will, caratteri esemplari e insieme portatori (in)sani delle stimmate del proprio Presente. Due custodi delle ferite di combattimento di una nazione eretta sull'abusato mito della frontiera da preservare/espandere/replicare. Due figli imperfetti e troppo sensibili, ma non (più) sensitivi, di famiglie supine a una democrazia (del più forte) esportabile, domestica, patria, internazionalizzata, regolata dalla legge del taglione. Due ragazzi carichi di ormoni repressi e aspettative confuse, cavalieri senza impresa per una caccia, senza tregua e senza fine, a se stessi.





Chris, texano dagli occhi di ghiaccio, tutto muscoli e cuore in bolletta, cowboy pentito e tradito, erede di una famiglia numerosa, frantuma i residui del suo cuore solitario credente e permanentemente furioso, arruolandosi nei Navy Seals, diventando cecchino modello ed eroe osannato e deprecato, persino mutilato, in onore della patria offesa da attentatori mascherati, e tornando per quattro turni consecutivi nell'inferno dell'Iraq post 11 settembre. Will, ragazzo padre immaturo, pronto all'azione goliardica e sentimentalmente sedato da un'indecifrabile adrenalina, scappa in quello stesso Iraq, a sminare cittadine crivellate dai bombardamenti e dalla guerriglia urbana, a disinnescare ordigni piantati sui petti e nei cuori, hurt hearts, di un paese stordito. Sia Chris che Will abbandonano ripetutamente la propria neonata famiglia per deflagrare all'estero e da lì dimenticare e dimenticarsi dietro la missione difensiva pro grande famiglia, grande fratello, USA. Entrambi disarcionati, disorientati, ignari del (proprio) vero obiettivo. L'uno perso, dopo la conta degli omicidi e dei compagni altrettanto perduti, e rassegnato al ritorno dentro lo steccato angusto di casa. L'altro svuotato, ma assuefatto al territorio di guerra e lì rimasto, auto-ribattezzata matricola di un destino di bombe nascoste, perché incapace di sfidare (senza la tuta da artificiere) tanto il pianto del suo bambino quanto la scaffalatura ipnotica dell'ipermarket dietro l'angolo.

Due cavalieri avventati contro i mulini a vento di un'allucinazione di massa. Prodotti e devastati, sedotti e abbandonati, da uno schema di/per la Guerra.

I cavalieri l'arme, l'arme i cavalieri. Armati cavalieri per disarmanti massacri. Guerra contro se stessi, china masochistica dell'aggressione all'estraneo, terrore preventivo e crociata oltreoceano per la difesa del popolo indoor. Guerra contro se stessi, missione ontologica, assunto fondativo dell'Io wasp. Chris e Will sono le cavie belliche di una "cura Ludovico" innestata e stratificata, attraverso quattro secoli, nei geni della classe  "dominante". Cura che agisce in duplice percorso neuronale/ (dunque) sociale, creando un composto propagandistico sociobiologico in cui una "fase" alimenta l'altra, in sospensione esatta.  Fase uno.  La "cura" crea numerosi "campi" di irregimentazione di cervelli e membra, tra college, ghetti, corpi militari, sette, canali via cavo, e allatta/alletta i suoi più dotati "mostri". Fase due. La "cura" partorisce serialmente guerra, fatta di bolle finanziarie, di droni e di reality games, pulsata scudata e assorbita dai suoi ammaestrati mostri. E al contempo ammansisce o spaventa gran parte della nazione. Convincendola che stuprare e usurpare l'"altro" (dall'inconscio del telespettatore più scaltro, al talebano non meglio contestualizzato nel deserto dei barbari fuori rotta, dall'avventore negro del kebab nel ghetto, alla popolazione araba di uno stato petrolifero politicamente strategico, al nerd infiltrato nella mafia dei social network), fino ad negarne e ricodificarne forza e quindi identità, sia questione di sopravvivenza collettiva perciò privata. "Non nel mio cortile". E giù bombe.





Una scena di American Sniper (2014), regia di Clint Eastwood


Chris la "leggenda" dei cecchini, realmente esistito, e Will, artificiere suicida cesellato dalla penna di un giornalista esperto dell'orrore disindividuante della guerra. Forgiando due protagonisti immani e indomiti, monolitici e sconfitti di una guerra della quale non si interrogano storicamente, politicamente, eticamente, Eastwood e Bigelow si addentrano nel proprio romanzo di formazione (più evidente nei lavori di Eastwood da Million Dollar baby a Gran Torino). Entrambi i personaggi sfogano un istinto di violenza serbato nel dna e fermentato da educazioni simili, dalla liturgia familiare, sociale e mediatica. Entrambi evitano di scrutarsi. Ma mentre Eastwood non taglia mai con luci trasversali il suo fragile assassino, Chris, cullandolo e forse (seppur problematicamente) rinchiudendolo nella sua patriottica protezione dei compagni cecchini (compagni di quale guerra? quale comune intento?). La Bigelow evita pericoli di manicheismo e inonda delle piatte bianchissime luci del giorno mediorientale l'ambiguità innata del suo artificiere, l'enigmatico sfrontato Will, avulso dal mondo nel suo casco anti urto, ma inadatto alla sua civiltà d'origine. Eastwood difende Chris nel funerale trionfante, scoprendo solo per pochi rari indizi le colpe della nazione contraddittoria. Colpe che la Bigelow scrive nelle rughe premature di Will, nelle sue pause crudeli, nel suo discorso asettico e disincantato al figlioletto balbettante.

 

Will resta la figura più spuria eppure fulgida di un capolavoro già dimenticato, mentre Chris è il golden boy opaco di uno dei film più discussi del 2015.

Cuori rotti e chiusi a chiave.

Quando, come accorgersi che quella scatola di latta maneggiata dalle incaute mani infantili, quello scrigno inutile di pupazzo immoto, è sempre stata il sigillo delle cadute future e delle prove passate.

Scatola senza magia. Scatola dei sogni, che esplodono senza lucchetto. Hurt. Locker.





Una scena di The Hurt Locker (2008), diretto da Kathryn Bigelow 




[1] Regia di Clint Eastwood. Con Bradley Cooper, Sienna Mille, Luke Grimes, Jake McDorman, Kyle Gallner, Sam Jaeger, Navid Negahban, Eric Close, Eric Ladin, Keir O'Donnell, Jonathan Groff, Luis Jose Lopez, Max Charles. Soggetto di Chris Kyle, Scott McEwen, James Defelice. Sceneggiatura di Jason Hall. Fotografia Tom Sterne. Montaggio Joel Cox, Gary D. Roach. Produttori Clint Eastwood, Bradley Cooper, Andrew Lazar, Robert Lorenz, Peter Morgan. Produttori esecutivi Tim Moore, Jason Hall,Sheroum Kim, Bruce Berman. Distribuito in Italia da Warner Bros. USA 2014.

[2] Regia di Kathryn Bigelow. Con Jeremy Renner, Anthony Mackie, Brian Geraghty, Ralph Fiennes, Guy Pearce, David Morse, Evangeline Lilly, Christian Camargo. Sceneggiatura di Mark Boal. Fotografia Barry Ackroyd. Montaggio Chris Innis, Bob Murawski. Produttori Kathryn Bigelow, Mark Boal, Nicolas Chartier, Greg Shapiro. Produttore esecutivo Tony Mark. Casa di produzione First Light Production,Kingsgate Films, Voltage Pictures, Grosvenor Park Media, Film Capital Europe Funds, Summit Entertainment. USA 2008.




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