di Anna Dotti
Il
nostro mondo è pervaso, forse si potrebbe osar dire dominato, dalla logica
commerciale, dalla legge della domanda e dell’offerta, dallo spostamento di
somme di denaro. Ad esempio lo si può riscontrare facilmente osservando il
meccanismo per cui l’attuale crisi finanziaria si trasforma in più casi,
laddove è veramente pressante, in una crisi istituzionale. Le istituzioni
dovrebbero essere l’ossatura della Stato, che a sua volta dovrebbe trovare
senso nel riconoscimento della sua esistenza e del suo dover essere da parte
dei cittadini, che difatti lo costituiscono. Questa è la teoria, non la
pratica. Ad oggi uno Stato trova la sua ragion d’essere in quella complessa
serie di numeri che ne indicano la ricchezza, fondamentalmente materiale, la
sua capacità d’essere un solido partner commerciale, il suo grado di
solvibilità. Dunque osservato dall’esterno il nostro vivere in società si basa
su un fattore puramente quantitativo, che si esprime attraverso il denaro. Ancora
più triste e spaventoso è pensare che un tale ragionamento non vale solo per un
“macro-organismo”, come può essere un’entità statale o una federazione di
stati, ma anche a livello infinitamente inferiore, per la nostra quotidianità.
Il filosofo statunitense Michael J. Sandel[1]
nel suo ultimo libro Quello che i soldi non possono comprare. I limiti
morali del mercato[2]
descrive la saturazione dei rapporti umani da parte del pensiero commerciale,
aprendo ad interessanti riflessioni sull’attuale vivere sociale e presentando
l’urgenza di una vera e propria rivoluzione concettuale, che riaffermi
l’esistenza di spazi liberi e indipendenti dalla logica dei mercati.
L’elemento
più incisivo e spaventoso che Sandel presenta
consiste nella commercializzazione del pensiero, ovvero nell’attuale, quasi
totale, incapacità di pensare ed agire in termini puramente qualitativi e non
quantitativi. Dal momento che il denaro è diventato lo strumento del nostro
riflettere, sarà bene per una volta – prima di affrontare tesi e proposte del
filosofo americano – fare una riflessione sul denaro stesso. La prima forma di
denaro nasce grosso modo quando nasce la scrittura, in Mesopotamia nel quarto
millennio avanti Cristo per opera dei Sumeri. Questa popolazione aveva
sviluppato per la prima volta un sistema di credito grazie alla creazione di
tavolette di terracotta su cui, attraverso la scrittura cuneiforme, erano
incisi segni particolari a seconda dell’occorrenza: così nascevano i titoli di
debito. Queste tavolette, che in origine dovevano solo sancire il debito di un
compratore nei confronti di un venditore, cominciarono poi a circolare come
dotate di un valore in sé, conferitogli proprio dal pagherò che
rappresentavano. Trasformandosi nel mezzo di pagamento comune, tali tavolette
rappresentano la prima forma di denaro della storia. Le attuali banconote[3]
non hanno molto in comune con delle tavolette di terracotta, però hanno esattamente la stessa funzione, lo
stesso valore e soprattutto la stessa origine: il debito. Ogni banconota sta a
rappresentare un debito e un ideale futuro senza debiti sarà un futuro senza
banconote[4].
Un ultima riflessione sul denaro, se è vero che questo ha la sua essenza nel
debito, non bisogna dimenticare che il debito è concettualmente assimilabile
alla colpa. Ad esempio risulta evidente nella lingua tedesca, in cui debito e
colpa si esprimono con la stessa parola, Schuld. Perciò nell’attuale
incapacità di separare una sfera di valori immateriali e qualitativi, da quella
dei beni materiali quantitativi, non si fa altro che assimilare qualsiasi bene
ad un sentimento di colpevolezza e di mancanza; Sandel
ci mostra quanto profondamente e con quali conseguenze.
Innanzitutto
il filosofo fa una breve introduzione storica alla situazione di dominio dei
mercati, ripercorrendo gli ultimi trent’anni e riconoscendo l’importanza di
alcune scelte politiche, sottolineando il ruolo di Reagan come della Thatcher.
Dopodiché porta l’attenzione su come la società contemporanea[5]
si stia trasformando da un ambito di vita comunitaria ad un immensa area commerciale,
dove tutto, questione di tempo, sarà acquistabile per denaro. Infine mostra
come il dominio dei mercati e del pensiero commerciale sia legato alla caduta
del senso comunitario e alla povertà del dibattito pubblico. Difatti, come
sosteneva Hannah Arendt, la
forma più violenta di dominio che ci possa essere è quella contemporanea, che
lei definiva come Niemandsherrschaft[6],
letteralmente “dominio di nessuno”. Si è dominati da questa forma di potere,
quando si ha la sensazione che la propria vita sia in realtà diretta da oscure
forze finanziare, inafferrabili ai più, con la mente così come con i sensi, una
sorta di entità fantasma, un “nessuno”. Questa è la forma più potente di
dominio ad oggi, la più difficilmente scardinabile. Nessuno ha mai vinto contro
un nemico invisibile, dal momento che chiunque dotato di ragione non essendo in
grado di individuare il suo avversario, rinuncia alla lotta; la povertà del
dibattito pubblico e la disillusione politica non è mossa proprio da questo
sentimento?
Ad
ogni modo una tale presa di posizione potrebbe sembrare eccessiva, ammesso che
la società occidentale è una società capitalista, dove il consumo è
l’imperativo categorico che guida le coscienze, ci sono anche dei saldi
principi da salvaguardare e che ci salvaguardano. Gli Stati moderni nascono da
un percorso storico e concettuale di riconoscimento di diritti, di principi
inalienabili, come il diritto alla vita e il diritto alla libertà d’espressione.
Forse un tempo era così, ma diventa sempre più difficile continuare a
sostenerlo. Sandel porta vari esempi per cui la vita
non ha più valore in sé, ma lo trova in un determinato costo. Ad esempio, a
fronte di una spesa irrisoria rispetto al costo equivalente del servizio in uno
stato occidentale, ricche coppie che si trovano nell’impossibilità di avere un
figlio, ma con la sufficiente disponibilità economica, possono prendere in
affitto il grembo di una ragazza indiana; una tale pratica in India è legale.
Quindi la capacità di generare una vita diventa una fonte di reddito per molte
ragazze indiane, sane, non istruite, che vivono in una condizione di miseria. A
prescindere dal fatto che queste ragazze non sono sufficientemente tutelate,
che non si possono ritenere realmente consapevoli dei rischi a cui vanno
incontro e che, data la somma che gli viene corrisposta per un tale servizio,
sono indubbiamente sfruttate, dopotutto è giusto che la mancanza di scrupoli e
il denaro rappresentino l’unica condizione necessaria ad avere un figlio? Sandel ci porta giustamente anche un esempio opposto al
precedente: la sterilizzazione per denaro. Un’organizzazione benefica dal nome
Project Prevention, nel Nord Carolina, offre alle
donne tossicodipendenti 300 dollari in contanti, laddove acconsentano a farsi
sterilizzare. L’iniziativa si può ritenere da un certo punto di vista
meritoria, dal momento che aiuta a prevenire la nascita di bambini malati, che
non possono essere accuditi dai loro genitori biologici. Ma dall’altra parte
bisogna chiedersi quanto sia corretto invitare delle donne a rinunciare al
controllo del proprio apparato riproduttivo per denaro. La scelta non è di per
sé libera perché finalizzata ad ottenere dei soldi, ma anche se lo fosse
sarebbe giusto equivalere la rinuncia definitiva alla possibilità di essere
madre ad una somma di denaro?
Anche
se la connessione può sembrare inopportuna, il discorso sulla vita umana va
legato al dibattito sulla tutela dell’ambiente. Se si vuole essere rispettosi
nei confronti della vita umana non si può non esserlo anche rispetto
all’ambiente in cui questa è inserita, considerando così la vita in tutte le
sue forme. Come è noto, uno dei problemi maggiori nell’ambito della tutela
ambientale è legato all’emissione di anidride carbonica. A tale proposito negli
USA si è stabilito un sistema particolare, per cui ogni azienda che voglia
rilasciare anidride carbonica compra il diritto di farlo pagando allo Stato un
tot a seconda della quantità che ne vuole emettere. È chiaro che una qualsiasi
industria ragiona secondo fini commerciali e in questo modo la si va a colpire
utilizzando la sua stessa logica. Dunque si ottiene una riduzione
dell’inquinamento, ma solo perché ci saranno aziende che non potranno far
fronte ad una tale spesa, per cui comprare la possibilità di inquinare non
rappresenterebbe più un guadagno economico. Tuttavia i giganti dell’economia
non avranno problemi nel pagare e continueranno tranquillamente la loro
produzione, danneggiando allo stesso modo l’ambiente. Se la salvaguardia dell’ambiente
è un valore assoluto per il nostro mondo, come si interpreta il fatto che il
denaro possa svuotare di senso un’affermazione inconfutabile?
L’elenco
di casi simili potrebbe essere ancora molto lungo ed è interessante osservare
come ci riguardi da vicino, anche nelle piccole cose, ad esempio nel portare
avanti uno stile di vita sano. Negli USA i dipendenti di alcune compagnie sono
stimolati a correggere il proprio stile di vita per renderlo più sano, ovvero
meno incline a futuri problemi di salute, che rappresenterebbero un danno per
la compagnia attraverso i costi delle cure e la perdita dell’attività
lavorativa del dipendente. Dunque si ricevono dei premi in denaro se si smette
di fumare, se si perde il peso in eccesso, se si seguono le adeguate cure
mediche, laddove necessarie. Sebbene sia positivo prendersi cura del proprio
corpo e stimolare anche gli altri a farlo, questo non è di certo il modo
corretto. Del resto lo dimostra anche un’osservazione più attenta di questi
casi, ad esempio i dipendenti che smettono di fumare, ottenendo così un premio
in denaro, nel 90% dei casi riprendono a fumare dopo poco tempo, e così via.
Oltre
ad avere a che fare con la commercializzazione di beni tutto sommato tangibili,
materiali, il meccanismo di commercializzazione sta prendendo piede anche nella
sfera dell’assoluto immateriale, dei sentimenti che regolano i rapporti umani. Si
può prendere come esempio i servizi offerti dall’azienda cinese Tianjin, il cui motto è “Noi chiediamo scusa per te”. Scusarsi,
mostrare dispiacere e rammarico, può essere naturale per alcuni e molto
complicato per altri. Se non si vuole correre il rischio che la propria scusa
non venga accettata o non abbia l’effetto desiderato, ci si può rivolgere a
questi specialisti delle scuse. Chi riceve delle scuse e allo stesso tempo
viene a sapere che si tratta di scuse comprate, come reagirà? È chiaro che la
scusa perde di senso, non siamo più di fronte all’espressione di un sentimento
naturale come il dispiacere, ma alla ripetizione meccanica di un testo scritto
da altri; l’azione potrebbe anche essere la stessa, una scusa spontanea
potrebbe anche assomigliare ad una scusa comprata e viceversa, ma in ogni caso non
ha più alcun significato dal momento che il principio da cui scaturisce è
diverso.
Tutti
questi casi devono portare, come Sandel auspica, ad
un’analisi del comportamento umano, del nostro modo di agire. Un denominatore
comune degli esempi esposti si può individuare nello svuotamento di senso delle
azioni corrispondenti. Se un’azione, da una parte, si può identificare con le
sue conseguenze, dall’altra queste non sono sempre ben definibili o
prevedibili, motivo per cui, in realtà, il valore di un’azione risiede nella
previsione che ne fa l’agente, nell’intenzione che la anima. Se il dare la vita
dovrebbe essere un dono, dovrebbe essere accompagnato dalla gratuità, partorire
un bambino per ricevere dei soldi svuota di senso l’atto stesso. Allo stesso
modo prendersi cura del proprio corpo, non perché se ne riconosce il valore in
sé, ma per essere gratificati attraverso un bonus a fine mese, rende effimera
l’azione in sé; come già sottolineato, lo stesso discorso vale per il chiedere
scusa. Il leitmotiv che impregna tutta l’argomentazione è rappresentato dal
portare alla luce questo effetto commercializzante, che svuota di senso i
nostri comportamenti e li modifica. Inoltre Sandel
riporta l’opinione interessante di alcuni economisti, per cui tale effetto alle
lunghe non gioverebbe neanche alla stessa economia. Tale perdita di senso porterà
alla perdita di un naturale stimolo nell’agire, che comporterà un immobilismo
sociale, corrispondente a una perdita dei consumi.
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Roberto Tibaldi, Unica-mente, 2009
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Il
filosofo porta avanti dunque un concetto di morale pervasiva, non esistono
ambiti senza morale, e quindi anche i mercati vanno doverosamente posti di
fronte a interrogativi morali; ma è più che altro il discorso inverso ad essere
qui significativo. I mercati non devono avere accesso a qualsiasi ambito della
vita umana, occorre ridefinire gli spazi, in modo da ritrovare ambiti liberi
dall’effetto della commercializzazione, che altrimenti, come visto, non
potrebbero più esistere perché non avrebbe più alcun senso. Infine Sandel ci mette in guardia dal considerare il funzionamento
commerciale come uno strumento adeguato al regolamento di ogni branca della
vita. Egli confuta l’abituale concezione per cui i mercati siano liberi e siano
animati intrinsecamente da un ideale di giustizia, e lo fa utilizzando un solo
semplice argomento. Il Mercato non è libero e non è giusto, perché si basa su
presupposti che non hanno nulla a che fare con i valori dell’uguaglianza e
della libertà. L’importanza di cui si è investiti secondo la logica di mercato,
che si ricopra il ruolo di venditore o di compratore, è conferita dalla massa
di beni che si posseggono, che si possono mettere in gioco. L’estensione e la
consistenza del proprio patrimonio non è uguale per tutti, non siamo in un mondo
ideale dove alla nascita venga assegnata ad ognuno la stessa parte di
ricchezza. Questa può anche essere ritenuta frutto dell’impegno personale,
delle forze che ciascuno liberamente investe nel accrescere la propria fortuna.
Ma anche sotto questo aspetto bisogna riconoscere che il rapporto tra sforzo e
risultato è soggetto ad una serie di condizioni spazio temporali che sono
totalmente diseguali da individuo a individuo, perciò essenzialmente ingiuste.
Quindi questa commercializzazione pervasiva avrà come effetto anche la crescita
delle ingiustizie sociali, accompagnata da una sempre maggiore radicalizzazione
dei divari di classe.
All’allarmante
situazione presentata dal filosofo bisognerebbe dare una risposta ben precisa. Con
la volontà di rianimare il sistema democratico, riscoprendo una democrazia più
partecipativa che rappresentativa. Con il riconoscimento di una diversa qualità
della vita, che preveda dei valori fissi irremovibili, che siano comunemente
accettati. Infine e soprattutto con la riabilitazione del concetto di valore,
che sia intraducibile a livello quantitativo, ma esprima sempre una realtà e un bene solo qualitativo.