di Crescenzio
Sangiglio
La prima presentazione della contemporanea poesia
cipriota (nati tra il 1930 e il 1980, con prevalenza negli anni ’40 e ’50) è
avvenuta nelle Reti di Dedalus di ottobre 2011 (http://www.retididedalus.it/Archivi/2011/ottobre/LETTERATURE_MONDO/2_inediti.htm).
Comprendeva sostanzialmente gli autori che hanno costituito la colonna
vertebrale della nuova letteratura cipriota, quella che, in poche parole,
rappresenta la prima espressione di autonomia da un centro ispiratore ellàdico ormai
in sostanza inesistente o esistente per pochi sterili nostalgici chiusi nel
proprio mondo.
I successivi decenni ’60-’80 hanno confermato e
dimostrato la fecondità della semenza lasciata dai predetti predecessori,
fecondità concretàtasi in una ammirevole molteplicità di traiettorie poetiche
interpreti di esigenze, prospettive, idealità, psicologie ampiamente
diversificate e peraltro conformi ad una attualità storico-politico-sociale
quasi imprescindibile.
A questo proposito
e a conferma vale la pena ricordare la riflessione del critico N. Churdakis, riferita ai poeti greci della generazione
dell’801 nell’opera dei quali “possono riscontrarsi le prove di una
nuova teoria della vita che corrisponde ai dati esistenziali, sociali e storici
del presente”.2
Considerato quanto precede, è chiaro che le generazioni
produttive del citato periodo ’60-’80 non potrebbero logicamente venir incluse
nella tipologia della formulazione vittiana3: mondi poetici così
differenziati escludono nei fatti completamente e a priori qualsiasi
coagulazione concettuale di collettiva asserzione e addirittura qualsiasi
identità di istanze personali. Ciò tuttavia non significa che gli autori in
parola non possano ritenersi comunque appartenere ad una complessiva, variegata
al massimo, ma compatta nella sua multinuclearità e policromatica prassi
poetica, e ad esse fedele categoria generazionale appunto tipica nella sua,
certamente caratteriale, qualità e in ogni modo positiva singolarità.
Ben individua tale positività ed esprime con acuta
precisione Alexis Ziras, a mio parere attualmente, ma già da tempo, il maggior
studioso della letteratura in lingua greca, riferendosi a questi poeti e a
questa poesia a Cipro: “sono in possesso di una cultura poetica... che va oltre
a quella di Kostas Mondis, Kiriàkos Charalambìdis, Lefkios Zafirìu. Una cultura
la quale dubito molto che possedessero i loro predecessori, tutti presi e
consumati nel fuoco dell’attualità, nel prolungato dolore dello smembramento
del paese, nella rabbia della bassezza politica. E specialmente privi del lusso
di poter mantenere le distanze dagli avvenimenti”.4
A questa loro fondamentale, credo, peculiarità si
accompagna parimenti una spiccata caratteristica che non si riscontra nella
pratica poetica dei nati negli anni 1940-1960 e cioè l’originaria e poi
costante successiva differenziazione tra di loro nelle tematiche, nelle
visuali, nel sostrato etico-filosofico, nella ragionata mentalità nazionale,
nella coscienza storica e nel rapporto lingua-memoria di questi autori
propriamente contemporanei (appunto degli anni 1960-80), sì che molto
difficilmente, per non dire mai, potrebbero in essi incontrarsi vicendevoli
parentele o influenze espressive, più o meno duplicazioni di ispirazione o
analogie di ragionamento, cosa che invece raramente non evitano i loro antecessori del
citato ventennio precedente di certo, è senz’altro vero, in ciò giustificati dall’urto e
dall’impellenza di eventi troppo devastanti e insostenibili.
Entro questi parametri l’odierna creazione poetica cipriota
si collega e s’identifica, senza nondimeno eccessi ed estremismi fini a se
stessi e di poca o minima consistenza,
con la più ampia testimonianza europea nel solco di una immedesimazione nelle
ineludibili comuni e condivise problematiche e destini esistenziali.
N O T E
1) N. Churdakis, Temi e intendimenti nella generazione
dell’80, in quot. Avghì (Aurora), 5.7.1992.
2) Considerazioni,
queste,che perfettamente si attagliano anche ai poeti ciprioti nati negli anni
’60-’80.
3) M. Vitti, La
generazione del ’30 – Ideologia e Forma, ed. greca Atene, 2004, pag. 9: «…
“generazione”, nella quale inquadriamo per nostra comodità persone più o meno
coetanee con personali aspirazioni derivate da comuni punti di avvio e rette da
coincidenti intenzioni”.
4) A. Ziras, Antologia della poesia cipriota
contemporanea – Cipro dopo il ’90, Introduzione, Atene, 2011, pag. 13.
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Anna Boschi, Trama d'infanzia (dedicato a Christa Wolf), 2010
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ANTOLOGIA
Leonìdas
GALÀSIS
Certificato
medico
Questa pianta ha rifiutato il sole
s’è chiusa in se stessa
s’è accontentata dell’umidità di una stanza
sui bordi di un vaso da fiori
Quando le altre piante
bevevano avidamente la luce
e diventavano trasparenti
e fiorivano e ridevano,
questa misurava la profondità delle tenebre
e sentiva colare dentro di sè,
come da una clessidra sovrannaturale,
il veleno.
Quando le altre piante
il vento percuoteva
senza che ruga alcuna striasse le loro anime,
questa lentamente scivolava
nella rete della morte
ed era tanto amareggiata
che le sue linfe si guastarono
divennero inchiostro.
E adesso ogni sera stilla dal suo fogliame
la poesia bambolino angioletto nero
e guai a te se non riesci a prenderne cura:
si trasforma in polipo e ti offusca il cervello
e cieco e indifeso ti conduce
là dove la sua padrona è stato condotta
per aver rifiutato il sole!
Hic
Ti sedesti per riposarti in un giardino pubblico,
disoccupato e afflitto.
Cosa cercavi di trovare tutto il giorno?
Eri libero?
Indossasti i tuoi vestiti migliori e uscisti.
Nella clinica “Rosa” il tuo amico Hic
contava i giorni andati
senza avergli rivolto la parola.
“Gloria ai giardini fioriti
dei luoghi di sogno,” disse
“poiché lì qualcuno, irreprensibile,
può spegnere, come conviene, i suoi carboni.
Così si evitano gli incendi
e le esaltazioni degli scontri frontali”.
Jorgos
FRANGOS
Turisti a Lesbo
Turisti estasiati
osservano il fogliame degli ulivi
mentre brilla argentato al sole.
Turisti affannati
si riversano sulle spiagge
a succhiar sole, salsedine e luce.
Turisti ben preparati
aprono guide, carte geografiche
e liste dei prezzi.
E non hanno mai sentito i passi
leggeri
di Saffo
Nè
hanno odorato gli eterni
profumi di Saffo.
Ogni tanto
nello
strampalato andirivieni turistico
spunta anche un poeta.
Attonito guarda la riva al porticciolo dei pescherecci,
ascolta i sussulti
amorosi dei gabbiani,
gli giungono alle narici
fragranze di
giambi e anapesti.
E ansioso comincia
a frugar le sue tasche.
Allora Saffo gli
si avvicina zèfiro lieve
gli porge carta e matita,
un fulgido
sorriso e coraggio.
E mentre egli
gratta sulla carta
Saffo tenera
sfiora la lira.
Allato
i turisti
ridendo
sgangherati
ordinano uso1
e sardine.
1) Aperitivo a
base di anice. È la bevanda nazionale greca.
Vigoria
All’ingresso del console in palestra
i centurioni
scattarono in piedi davanti alle loro panche
d’un balzo trovandosi nello stadio
con le pappagorge frementi di “vigore”.
Nei loro scanni
i consulenti cadevano dal sonno
sopraffatti dalla noia
finché
irruppero nel salone delle udienze
le camere delle televisioni.
Di colpo tutti acquisirono idee, vigoria
divennero risoluti!
Jorgos
KALOSÒIS
Il
ragno 5
Mi sono diretto là dove
il ragno detiene le proprie terre
possiede una specie di retorica
la sua bocca non finisce di produrre
mi sono avviato in quella direzione
egli stava fermo in osservazione
io ero in possesso di una specie di medicina
sopra le immense tele vidi
gente in ginocchio supina ed altri
con le ali inutili ali
che avevano fabbricato sfogliando libri
studiando ali con motore
e alcune ali
ricevute negli aeroclub
avevano perso il loro succo
l’insetto non aveva avuto nessuna pietà
salvo che gli abbia proposto qualcosa
salvo che abbiano discusso prima
e quelli sono stati tratti in inganno
cosa può aver loro promesso
fors’anche tutto perché egli
utilizza senza la bocca fermarsi
vidi nella tela il mio
cane che era scappato i suoi
latrati erano anch’essi rimasti
nella tela e perfino
i suoi vaccini vidi
chissà quale cane sacerdote
lo commemorerà
quale chiesa si riempirà
di suoi compagni di scuola pronti
a farsi concorrenza in singhiozzi
e in pianti
nessuno e la parola nessuno
svanisce poco a poco
cede davanti ai
ricchi verbalismi
del ragno.
Michalis
PAPADÒPULOS
Georg
Trakl
La morte, la sventura e la cenere
i pazzi spaventati biascicando le parole
la canzone della palude per una funebre esaltazione
e tu, mercenario dell’ultimo dio
con la bulimia della sua gloria
mentre le odi risuonano dei singhiozzi
sopra Salzburg
gemiti e morte a danzare
nella valle di Grodek col fango e le ossa
Allora ti videro girovagare per le strade
con l’aspetto di un animale spiritato
trascinato dal mistero,
e tramutar con mani tremanti
il logico concatenamento dei delitti
prima di immergerti nell’angolo
lurido del cloroformizzato ricovero
balbettante ormai e barcollante
addosso per non perderla stringendo
la tua razione di abisso
Logica
di certezza
È logico
più che logico
dopo tanta morte
voler pervenire al nulla di parole
suoni e immagini
ricoprir il rumoroso compimento della poesia
con un vago silenzio
oltre la nudità della parola
Ma questa strada
è senza fine
forse molti anni ci vorranno
perché tu raggiunga la Poesia
potrebbe sottrarti
tutta la forza e la luce
spossatezza dell’oblio
braccheggio dell’impraticabile
mentre continui prostrato
a scrivere
senza un termine di tempo
sull’orizzonte.
Pabos
KUSÀLIS
Diario
Parole di
tanti giorni
come hai fatto ad abbandonarle?
Come
sottili
tratti di
matita
poter
sollevarle tutti soli?
Quali
sguardi ignoti
affrancar
esposte
rivelazioni?
Candida
neve!
Solo
questa
può
sopportare
i tagli
profondi
del tuo giorno e della tua notte
Via di pioggia
Via di pioggia
Da una
parte le gocce pari
Dirimpetto
solitari i lampi
basta
che che scorgano
una solitudine
senza paura negli occhi
La fulminano
subito
Via di
pioggia solitaria
Oggi non
indosso i miei occhi
nondimeno
facilmente trovo la strada
Lo so
tu a destra
tu a sinistra
Come non perderti?
Intenzioni
Quali le mie intenzioni?
Ma,
le più e le meno
Continuo
a riempir di giorni
il bicchiere
e
continua il tempo a bermi
il tempo
Due sguardi rosa
s’incontrano al mattino
E
mentre stai per dire
diventino
un sol desiderio,
nel meriggio
comincia il
rapido apprendimento
dell’astrazione
Vakis
LOISIDIS
È
tempo
È tempo ch’io scriva un romanzo.
Meglio cimentarmi con un
racconto.
Quanto ai personaggi, nessun problema
ne sceglierò tra la gente della televisione
facilitando così anche i produttori
nella riduzione della mia prosa per il piccolo schermo.
Approfitterò dei marginali
per i quali l’esistenza è un continuo visibilio.
Forse ritoccherò un po’ la vita
di un tossicodipendente, di un omosessuale
e di un magnaccia con la laurea.
Quanto tempo ancora scrivere poesie
che per mesi stanno chiuse nel cassetto
e nessuno mai
legge nei mezzanini delle librerie.
Anch’io diventerò uno scrittore che può stare a galla
con una buona reputazione nella grande città
e parecchie riedizioni.
Pochissime
cose importanti
Non abbiamo aperto insieme una porta tra due stanze
Per sentire il pericolo
Di dover uscire dalla porta posteriore
all’aria aperta
poter dire anche noi
di esserci incontrati in qualche parte
da qualche parte aver guardato il mondo
con uno sguardo come questo.
Siamo difficili
Sì siamo molto difficili
Perciò viaggiamo scrivendo
perciò ci fermiamo per un sorso di vita
E subito riprendiamo a scrivere
Pochissime cose importanti, la maggior parte di
second’ordine.
Qualcuno ha confessato
che i poeti gli provocano un’indigestione
Gli tormentano il corpo
gli organi della digestione.
Intendeva dire la profondità dell’anima
Era un uomo di un’ altra epoca.
Zelia
GRIGORÌU
Boneyard
Creek
E poi ciocche di capelli abbiamo tagliato
le abbiamo sigillate in nascondigli di carta
voci notturne abbiamo affidato
a bottiglie
abbiamo gettato nel Boneyard Creek
Boneyard Creek
qualcosa trasporterà
all’altra sponda del pianeta
qualcosa di buono
come acida melma
traboccheranno le snodature
dei nostri alberi molecolari
Boneyard Creek
viaggia fino ai grandi laghi
Boneyard Creek
lo seguono i tordi pomeridiani
tracciando cerchi successivi
Boneyard Creek
una rotella d’acqua palindromica
nel mezzo degli inverni
Funerale
d’inverno
Come latrati di un cane ammalato
le voci dietro
alle colline arrivano.
Si prosciugano a poco a poco,
non come il sangue dell’uomo ucciso,
resistono al tempo
le voci che abbiamo odiato
quando la mamma ci svegliava
la mattina e Galatea
imprecava per suo marito
o per una capra recalcitrante.
Come latrati di un cane ammalato
vengono i morti invernali,
squarciano i canneti adolescenti
e protendono le mani,
vuoti gli anni:
ci hanno rapinato, Marina.
Maria
THERISTÌ
Nevischio
Vengo al tuo capezzale
che vapora l’incedere del bambino
che non pianse per la lite degli uomini
che altro modo non avevano di combattere.
Quasi estate,
ho udito tutte le canzoni:
altre non ne son rimaste,
o erano finiti i soldi
e non potevo comprarne.
Ti porterò del nevischio dai Balcani.
Viaggerò
lungo la linea costiera dell’iceberg,
portando sulle spalle
tutti i miei appunti di servizio,
fino a giungere alla prima fila del rancio.
Tornerò indietro
‒ so che tornerò
‒
con un fucile a doppia canna fatto di halvàs1
con il sacro legno2 di una verità
ridòttasi a melodramma
e diffusa in copie.
No non hanno colpa per qualunque cosa
le forze di occupazione.
Ho colpa anch’io
che ho bruciato i miei scritti
perché tu non li trovassi mai
e ti venissero le lacrime agli occhi.
1) È un dolce
fatto di zucchero (o miele) e pasta di sesamo.
2) Nella tradizione ortodossa è così chiamato un pezzo
della croce dove morì Gesù e che Elena, la madre dell’imperatore Costantino,
trovò e portò a Costantinopoli.
Quando
la luna diventerà rossa
Qui,
c’entrano ancora nel forno le poesie senza professione
per cuocersi col ghiaccio frantumato
col pepe macinato ed altre spezie
di mille belle parole.
Meglio lavare piatti
e quando qualche piatto o cuccuma o poesia vuole
essere fotografato nell’acqua
insaponata
tutta la schiuma
lì sarà un buon travestimento.
Jorgos
CHRISTODULÌDIS
Con
le mani tagliate (Al piccolo
Alì)
La preannunciata liberazione
non comprendeva le tue mani
né tua madre, né i tuoi fratelli.
Ti c’incamminerai da solo sino alla fine
quantitativamente in calo, ma gradualmente con acquisita
crescenza
che tanto ti strariperà
quanto basta perché tu scagli le tue mani
a ballare nell’aria
come rami recisi
di un albero
che comunque meglio resiste al vento,
adesso sei la traccia di una matita temperata
si lascia indietro una linea rossa
che i posteri possano seguirla
e i tempi scolorarla
con il cenerino dell’oblio
e la pietra del dolore.
Quando le bombe cesseranno di cadere
le luci si spegneranno
e verrà designato il nuovo comandante.
Forse un giorno ti farà visita
per addebitare responsabilità
al precedente regime dittatoriale
ma tu, come potrai ancora stare in equilibrio
sulla fune tesa dei tuoi sogni?
Come respingerai il pallone con un bellissimo tuffo?
Chi chiamerai per farti detergere
le lacrime randage?
Come ancora ti appoggerai sulla tua guancia
a pensar spensierato qualcosa d’insignificante?
Come col dito indicherai una stella?
Come accarezzerai una vulva
e ne sentirai i palpiti?
Lo so, vuoi sfuggire
al tumulto delle esplosioni
le tue mani ancora fremono
sepolte profondamente nella terra
un angelo-mediatore
le tranquillizza teneramente
e le unisce in croce per il sonno della notte.
Rispunteranno
come cipressi sotterranei e bucheranno la terra
si leveranno in un luogo devastato
dove ombre spaurite si azzuffano a morte.
Nena
FILUSSI
I
limiti del sonno
La favola di stasera
della navicella che viaggiava di continuo
è una pietra malcerta a un angolo di maggio
tutte le montagne ne vogliono la paternità
tutti i giorni la sua caduta.
Tu acacie e venti a imparar l’amore
la tua sorte, la tua pietra, la tua città turchina
piccolo sole, finestra meriggio
sul muro in pieno mezzogiorno criniere immote
inerzia e attimo lungo
il divieto.
Brulotto la mia rosa sul tuo ombelico
a dischiuder onde mattutine e sospetti
nomi di eroi e di antichi amori
che in fin dei conti forse non sono esistiti.
Isola non è.
Isola non è.
Pensiero come la morte così spesso
davanti al lume riporto i nostri anni
e li sottopongo ad interrogatorio.
E
per Dio niente veglie. Poesia
è il tuo
alito.
Sete
Sopra un pozzo
spossati ci chiniamo sull’acqua chiara
e tutto diventa basso
leggero e innocente
al ritmo di palpebre lente.
Talora l’acqua ha un sapore di vanità
come quando dicemmo suvvìa e libertà
e ci dissero di no, divertitevi da soli.
Nulla però è come prima.
Adesso novembre nasconde estati
che incendiano tutte le memorie
tutte le orme di infelici amori apposta abbandonate.
Sopra il pozzo
prende fuoco la bellezza del mondo
tanti corpi si sfiorano
e tremola l’acqua.
Inoltre possiede la singolare qualità
di accusarci di mutismo
o di confessioni infantili.
Tuttora.
Maria
KIRIÀKU
Cuori
doppi
Per ogni evenienza, mi dici
basta con le telefonate.
Basta, ti rispondo
d’accordo.
Basta però
anche con le indulgenze.
Non sarai tu che
per forza
mi farai Papessa
e neppure indovina
degli invisibili fili
dal momento
che manco una volta
mi hai portato in barca
nel quieto corto circuito
dei doppi
cuori.
Sai
cosa manca
Sai cosa manca
anche se non lo ammetti.
Anche se stelle non inchiodi
sulla fronte azzurra
dell’amore
né mele né veleno
assapori
dai frantumati narteci
dell’amore.
Sai cosa manca
anche se non lo ammetti
e anche se non rivolgi
neanche uno sguardo
al tuo vecchio specchio
o una semplice occhiata tenuta
in serbo in caso di indicibile bisogno.
Sai cosa manca
anche se continui a comporre
ideogrammi,
nomi importanti e fasulli
di un comune, comunissimo
seme di senape.
Kostas
REÙSSIS
antimicromanifesto
2
attraversando l’istantanea estate dell’estremità
agitatori moltiplicano la pericolosità del suolo informi squadre di
retroguardia seminano incoscienti profumati pelargoni sulla terra incolta delle
pensionistiche coordinate una ex sovietica ed ora russa èmigra rivendicando la
proporzionalità delle assicurazioni sociali nella sua brillante partecipazione
alla ricostruzione della puttanata pesche cornute non specializzate appaiono
nei mercati popolari di prodotti locali quelli coloniali confessano il ruolo di
borsaneristi agli agenti della punizione testè fondata interrogando di nuovo la
pesa il taccuino il tavoliere la regola e il compasso goniometrico pongono in
essere atti
processuali gli astrocosmi incidono con un diamante i dèmoni sulla carotide
Pandelìs
ermetesvolando
trapassatamente
in un futuro compiuto
lo stomaco istruito ad incassare qualsiasi putridume
servito attraverso nel turibulato olfatto di una illecita speculatoria
magnificenza bizantina grossolano esprimersi della parola combinato con
provvigioni di interminabile compravendita così opportunisticamente avanza
l’uomo dabbene tramutando l’apparente vita in apparente esistenza la svolta che
dà la riputazione le transazioni delle marionette o una pignatta che tribola
scuotendo il suo coperchio sì e no oppure fino e forse la cosa migliore che
possa accadere è che tu straripi ectoplasmaticamente se ti tieni sulla vergogna
che non esiste e cominci le addizioni e le moltiplicazioni ti guarderò
stritolato e sfrontato nel momento in cui ti si scinde l’asportazione
dell’anima
scherno ovvero
il liuto
dedicato
al pittore
Panikos Tumbriotis (1963)
un longevo miserabilismo definisce il comportamento di
una terrorizzaata provincia in costruzione le posture erotiche sceneggiano
l’orgia mondiale il crocemortorio ortodosso cattolico inneggia all’armamento di
un elegantissimo tessuto arabo il fenicottero nero a vagolar in alto mare il
bosco incendiato le ore emblematiche figurano il crimine del sole un severo
atterraggio sventola l’apostrofo della donna violentata il merletto in erezione
fa schioccare la clitoride di un orgasmo combattivo gli ossoni emergono brandendo il latte della pietra
Linos
IOANNIDIS
Sonnolenza
Piegato sull’umidità dei muri avanzava
nei vecchi quadri e deserti della sua anima
per ritardare il cielo
Nella prospettiva dell’aria
emanava un soffocante respiro
per far passar comodamente le eventuali
forme della tristezza
Fanno parte delle sue ossa i passi
la candida discendenza dei colori
Galleggiavano
Con tutti i sospiri custoditi
tirarono su le tramortite membra del tempo
Galleggiavano in vasi di vetro
i primi orizzonti
i grandi tronchi recisi del giorno
valutavano i numeri
con una nuova mano al tatto
collocavano la vista
registravano la notte
navigabili corpi celesti
distendevano la trasparente posizione orizzontale
ritagliavano forme in misurazioni verticali
e il tempo era evidente
Le
parole
Senza il cielo
agguanteranno l’orizzonte più oltre
vivo gli daranno fuoco
e lo bruceranno
giorno senza cielo
intera la nuvola ne getteranno la metà
vi scaveranno l’acqua
per liberare gli aliti
Troveranno il sonno mentre dorme sulla carta
con le sue immagini
col suo silenzio
le parole staranno
provando ancora nomi
Kiros
PAPAVASSILÌU
Fuori
dalle canzoni
Fuori dalle canzoni mi promettesti
che i giorni le notti ne-
vicheranno cerbiatti.
Pesante
l’albero starà ancora sopra
i
bambini-segreti
ammalati
Guarendoli cadrà gocciolando
le loro parole bruciate
prima che queste risuonino
prima
che queste muoiano
Parlami assai
Vai
Camminò
Camminò dentro
la foschia femminile
egli
egli
Corpo.
sulle sue spalle letto
superbi battaglioni
di angeli germanici
lo circondarono
lo vissero
producendo mosto
di frasi straniere
e sangue Sangue
Dita
il petto – dita di lei
aleggiò sulla brusca fronte di lui
le sue mani legnose
rabbrividirono
dantro il Purpureo espulsi migliaia di piccoli
uccelli anni
incollati sull’albero purpureo – corpo di lui
risuscitò
una squadra di cugini d’infanzia che giocava nel fango
risuscitarono
le ultime trenta frasi del lago
che ottenne il permesso di profferire
che riscattò con le sue ultime vecchie monete
l’ultima parola che a un pesce rubò
che tradì:
tu
Stefanos
STAVRIDIS
Il
punto e virgola
Sparisce dal nostro scrivere il punto e virgola.
S’è rivelato incapace di limitare il discorso,
di intralciare le parole
che scivolavano di sotto.
Abbiamo cancellato dal nostro scrivere il punto e virgola,
Come se anche il seguito non fosse desiderabile.
Prodiga la mano ha sparso
abbondanti, minuscoli, pesantissimi punti
che solo il tempo sa apporre.
Ancora parleremo, altro ancora diremo.
Questo morbido fiocco di neve a mezz’aria,
il punto e virgola della parola, della vita,
non vuole morire, non vuole finire;
Il
fango
Memoria significa ritorno.
Le gocce pietrificate
rivivono e si versano
abbeverando il suolo che calpestiamo
nutrendo il fiore dell’anima.
Il passato ritorna
come l’acqua della pioggia
che ritorna alla terra.
E tu, coi piedi nel fango
ti chiedi se ciò che calpesti
sia terra o acqua:
rifiutando la bellezza del fiore
ti batti per filtrare il fango.
Rinnovamento
La mela marcia non ritorna sana
e nessuno berrà
il vino versato sul tavolo.
Però la corda spezzata della chitarra
non comporta la fine della canzone,
né l’amico partito
l’eterna solitudine.
È provvisoria la bellezza del lago.
Ti intimorisce il viaggio nuovo,
è però possibile e inevitabile:
allontànati da questo lago
prima che diventi palude
(ma nel tuo cuore fotògrafa
questo bel lago com’è ancora).
Panajotis
NIKOLAÌDIS
Ciò
che il corpo
Ciò che il corpo ha fermato
strette fascine di luce
sguardi svolazzanti
respiri sull’acqua
Ciò che il corpo ha ottenuto
finestre sulla luce
qui un po’ di rosmarino
lì un po’ di mentuccia
Corpo celeste tessuto
intessi il tempo con la luce
Corpo profondo arancione
aguglia della morte
Dono d’incorporea deità
a misura di uomo
Angusto
È angusto il nostro paese
invisibile luce inafferrabile
ha murato la nostra anima
Mano di bronzo e pesante
potesse incendiarsi il momento
ha disfatto il nostro corpo
È angusto il nostro paese
Insonne la nostra acqua
Filo dorato la nostra favola
alle estremità delle nostre estremità
È angusto il nostro paese
è l’antro dell’amore
Luce d’argento e pane
è nera e buona la pietra
lama dell’impostura
Quando
amore
Quando amore comincia
candido abisso dischiude
Scatenaccia luce dorata
in giardino annottato
Quando amore finisce
risciacqua in fretta il sangue
Rattoppa carezze colori ali
in corpo morto
Quando amore cade nel vuoto
albero che ha smarrito la luce
risonanza nel tempo
Andreas
JORGALLIDIS
...,;
I segni d’interpunzione
rallentano le voci delle parole.
Sparpagliano il tempo,
creano vincoli di fenomeni proposizionali
e partecipano al loro presente.
L’ultimo punto – sa respingere
poiché lì
è indicato il limite estremo
del discorso scritto.
Al di là di quello,
tutti i complessi di parole
ma altresì nessuno.
Per
approssimazione
L’incertezza del passato
delinea inosservabile
tutti i mari sbarrati.
Nessuno
conosce pienamente l’aoristo
come peraltro anche il presente.
La nostra conoscenza di questi tempi
costituisce un fatto – del tutto casuale.
Viene detto per approssimazione
che così designamo le cose.
Selettivamente colleghiamo le cose
e poi
proclamiamo la nostra selettiva verità.
Discontinuità
della continuità
G
Si frantuma il tempo epìteto
e i cronotroni corrono a nascondersi
dietro agli attimi.
Gli attimi si rifiutano di fare
la parte dell’infingimento.
Si uccidono per non ferirsi.
I tecnici della luce sono perplessi.
Lo stesso i tecnici del suono.
Nondimeno si avvera l’interpretazione del “ruolo”.
Gli spettatori s’immaginano l’apparato scenico.
Questa rappresentazione finisce
ha detto qualcuno
ed è calato il sipario.
La durata di questa calata
da allora non risulta definita.
Un risonante non-tentativo.
Eleni
KEFÀLA
L’ombra
sulla linea
Così all’improvviso, come il
rombo della motocicletta che
corre con vertiginosa velocità,
come il lampo nel cielo se-
rotino, come una canzone che
dopo molti anni riascolti
alla radio, così all’improvviso,
anni dopo, in un fulmineo,
turbinoso rimbombo incontre-
rai quella delle tue domande
ch’è rimasta senza risposta.
E allora saprai.
Quesiti
Cosa aspettarci ogni volta che
apriamo la cassetta delle lettere
con tanta devozione, quando leg-
giamo gli email con tanta
solerzia? Perché ogni tanto
guardiamo il nostro telefonino
nell’attesa della successiva
chiamata, del successivo mes-
saggio? Quale messaggero è
rimasto staccato tutti questi
anni e proprio cosa vuole
dirci?
Alla
reggia di Mutekusoma
E avendo visto che egli in-
sisteva, gli spiattellò tutto, che
sarebbero arrivati gli stranieri
con la pallida pelle, parlando
una lingua strana e incompren-
sibile, che avrebbero barba e ca-
pelli fino alle orecchie, e sareb-
bero scesi da certe torri galleg-
gianti con lunghe aste, avreb-
bero portato cervi giganteschi
senza corna, e fuoco avrebbero
sputato le loro armi, e questi
barbari avrebbero assediato
la Città ottanta giorni e ottanta
notti, e sarebbe caduta nelle
loro mani e distrutta Tenichtitlan.
Tutto ciò hanno rivelato le sette
profezie di Ketsalkòatl.
(furioso il re ordinò che fos-
se subito messo a morte il folle
mendicante)
Christiana
AVRAAMIDU
In
momenti
In momenti come questi si dispiega di solito la
stanchezza.
Non a tarda sera
ma la mattina di buonora.
Dopo aver stretto la mano
ad amici e genitori,
e dopo aver frivoleggiato
con vicini di casa e parenti,
la mattina presto,
‒ con precisione matematica ‒
conti le tue membra
e il divano diviene
tutta la tua casa.
E poi a un’ora tarda
‒ più o meno il pomeriggio ‒
esce una poesia dal forno a microonde.
Talvolta,
in un silenzio antico
così che possa scorrere
in equilibrio la mia testarda
malinconia.
Stasera
c’è qualcosa
Stasera c’è qualcosa che non mi piace nelle tue mani.
Semplice il nostro fuori,
come parlar di Atene la sera.
Quanto al nostro dentro,
lasciamo stare per un’altra volta,
alle nostre vite che verranno,
come sempre.
Verranno giorni migliori.
Se dimenticherai, verranno.
Dimèntica –
Com’è
selvaggia
Com’è selvaggia la tua lava,
e nel tiretto
neppure una scatola di cerini.
Ti allontani da me lontano come i fiori,
perché così ti piace
perché lo vuoi.
Quest’amore però non può essere amato,
tutt’al più potrebbe
riempirti fino al ginocchio di lune agostane.
Christina
JEORGHÌU
Nave
Non è forse il mondo
nave che affonda
come al collo cravatta
annodata pietra nera
ma anche se il tempo passa
giammai s’acquieta
e ch’è il tempo medesimo
un grattacapo anche lui
Non è forse la memoria
un vestito che si
muove
come su un
albero
immerso nella nebbia
brama solo dove essa vuole
guardar lontano
ma il vento
volge
la sua effigie nel vuoto
Sin da bambina
ti piace costruir navi
E fai navigli
che non ti sfugga la speranza
In nuovi viaggi
li mandi in speranzosa attesa
Pazientamente li cerchi
quando nàufragano.
Viaggio
Un tenero
morso
sul
labbro
Solo questo è
rimasto
di
te
a
ricordarti
Lo sbaglio il
giusto
una
luce
come
cometa
da lontano
pallidamente
Nel tuo prezioso
ridere
nei
silenzi
nelle tue mani imbarazzate
il viaggio che ho desiderato
Maria
THOMÀ
Qui
è la piaga
Attraversando macerie di case
e mucchi di immondizie, da un pozzo
asciutto un secchio rotolò
pieno di ragnatele, e ricordo, forse
qui è la piaga
parole rigettando sulla riva senza riflessione o
dilazione
abbracciata a un piccolo dio
che distrugge la sua vita
sfioro le sue mani e ricordo
è qui la piaga
beccheggiar per lunghe ore, mare coperto di cadaveri
adesso sono tranquilla, strano che posso respirare nel
fondo, e cerco
sui legni della coperta la fessura, forse qui è la piaga
ricordo una grande notte, era solo grande
per null’altro coerente, mancanza di occhi mancanza
di respiro e dalla finestra le mie due voci
e dalla finestra io bambina a guardar attraverso
la finestra forse si vede la piaga
non sta nelle morti simboliche, piuttosto nel mezzo
di un’ora
interminabile in ogni cattivo senso della parola la piaga
chi mi ha lasciata fuori tutta sola bambina di cinque
anni
a disciplinare
lo sviluppo del tempo suonando come un orologio
la domanda sarà la piaga
ho paura però di formularla
Torpore
Perseguitati dalla sfera del bene per un altro mondo
Dove pescicani ti azzannano e non senti dolore pur
essendo
rimasto per metà su
fondo rosso,
sorridi beato
Sorridi anche quando un buco ti attira nella terra
e mentre ormai di te non è rimasto che
uno stivale mezzo vuoto rovesciato
Volumetrico
Un tempo qui nei pomeriggi bagnava i miei capelli e il
mio seno
Adesso si verifica una corrosione alle punte e ai talloni
dei miei piedi
È sceso il livello delle tue lacrime
Più selvaggio il tuo delirio
Eftichìa
PANAJOTU
per funeral
la mano che stretto teneva il mio sangue era un bel
becchino.
mi diede un coltello a sterminar vermi sottoterra.
e dopo un sanguinoso viaggio, seppi che non morirò mai.
perché non sarai qui davanti a me a impugnare,
traghettatore di anime
un falso annuncio di morte.
è diventato bello il mio corpo, i miei capelli ondeggiano
son diventata un lago che rabbrividisce quando le gocce
lo
annaffiano.
il mio volto è candido, posso guardar i sogni adesso
negli occhi.
con la mano che piaghe nascoste numerava ti scrivo
adesso serenamente ti scrivo, non temere.
non sono in lutto, splendida è la luna.
quelli che la vedono mezza, sappi che mentono.
gli è la loro vista non si avvicina di più alla sua luce.
qui non cessano i sogni, muoiono gl’incubi
e questa vita non ha fine.
perché, stranamente, qui il movimento non somiglia a
terrore
solo alla musica la danza si abbandona
e nel profondo commossi si innalzano quelli che sentono
ogni sua mortificata sensazione.
non piangere: là dove l’amore ci viene offerto con
alterigia
una farfalla sempre muore lentamente e vola.
devotamente bacio la tua mano che mi ha dato la morte.
un augurio: che tu sia pronto a morire.
Ineffabili
parole
temo il gufo sul tuo collo
le ineffabili parole, prima dell’incendio
il nostro salir sugli scaffali come libri,
percorsi intellettuali, sguardi di innamorati,
e tutti i sogni che si svegliano la sera,
gatti randagi.
le parole che risuonano come mignatte
i “così è la vita”, i “cosa fare?”
gli umidi di fazzoletti di carta, le lettere stracciate
le fotografie calde e le mobili
memorie, tomba:
il domani senza aurora.
il gufo arrugginito sul tuo collo
lo strazio dei miei sogni
il laceramento della donna
in me: ricordi voglio morte
la mia ombra.
Maria
SIAKALLÌ
Sono
un becchino
Sono un becchino
che fa ore straordinarie,
paranoicamente mascherato
covando visioni.
La sera ascolto gli animali
piangere le mie lacrime.
Gocce
di miele
Gocce di miele della luna
così un tempo dicevamo dei sogni.
Quando le statue avevano il pube scoperto.
Quando le donne partorivano senza doglie
e gli uomini non s’erano messi la foglia di fico.
Quando le anime abitavano negli specchi
e aspettavano che qualche sogno gli aprisse la porta.
Il tempo in cui gli angeli non avevano ancora le ali
e i dèmoni avevano il diritto di amare.
Il tempo in cui l’amore non era ancora diventato
comandamento in un libro sacro.
Adesso, semplicemente disegnamo un occhio sulla sabbia
e appena l’onda lo cancella ne disegnamo un altro.
Ci
sono anime
Ci sono anime che muoiono lentamente
quando non volano.
Per un po’ vengono sulla terra
per vivere l’amore
ripararsi sotto un tetto
nutrire la loro natura umana
e poi di nuovo se ne vanno via...
Quel
dolore
Quel dolore
che ti mozzava il fiato,
che ti piegava in due,
che dominava ogni tua cellula,
che faceva sparire la tua voce,
che lasciava il mondo senza amore.
Quel dolore, non dimenticarlo!
Adesso che è diventato piccino così
e somiglia a fragile neonato
abbràccialo e
tiènilo accanto a te
che ti protegga da altri dolori
e ti rammemori la natura umana!
© Traduzioni di Crescenzio Sangiglio
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NOTE
BIOBIBLIOGRAFICHE
Leonìdas GALÀSIS
È nato a Lefkossìa il 1962. Studi di Letteratura Greca
all’Università di Thessaloniki e Pedagogia all’Accademia di Pedagogia di Cipro.
Insegna nell’istruzione media.
Opere poetiche: Coralli insanguinati, Lefkossìa, 1979; Attestato medico, Lefkossìa, 1982; Aspre cotogne, Lefkossìa, 1988; Illuminazione, Lefkossìa, 1999; Tormento in alfabeto, Lefkossìa, 2007; Lokrigana, Atene, 2010.
Prose: La personificazione nell’opera poetica di
Kostas Mondis, saggio, Atene, 2008.
Jorgos FRANGOS
È nato a Lemessòs nel 1962, ma risiede a Lefkossìa. Studi
di Giornalismo all’Università di Mosca e nello stesso Ateneo Studi
postuniversitari in Letteratura russa.
Opere poetiche: I primi voli, Lemessòs, 1978; E tutti insieme ad alimentare la colomba
bianca, Lemessòs, 1979; Gridi,
Lefkossìa, 1984; Storia d’amore in cinque
atti, Lefkossìa, 1986.
Jorgos KALOSÒIS
È nato a Lefkossìa nel 1963. Laureato in Letteratura
greca all’Università di Atene. Attualmente insegna nell’istruzione media a
Cipro.
Opere poetiche: Metamorfosi, Lefkossìa, 1993; Il primo attentato alla vita di Makàrios,
Lefkossìa, 1995; Il mondo alla rovescia,
Atene, 2000; Lo spostamento della terra,
Atene, 2005; La coniugazione del verbo,
Atene, 2009.
Michalis PAPADÒPULOS
Nato a Lefkossìa nel 1963. Studi in Letteratura greca
all’Università di Thessaloniki. Lavora nell’ambito televisivo cipriota, nonchè
nel settore giornalistico.
Opere poetiche: Gres, Lefkossìa, 1997; Entro i confini, Lefkossìa, 2000; Elica di elicottero immaginario, Atene,
2010.
Pabos KUSALIS
È nato a Lefkossìa
il 1964. Studi di Archeologia e Storia dell’Arte all’Università di Atene.
Lavora nella istruzione media.
Opere poetiche: Parola cucita, Lefkossìa, 2003.
Vakis LOISÌDIS
È nato a Lefkossìa nel 1965. Studi in Economia e
Commercio ad Atene e studi postuniversitari in Economia del Turismo a Londra.
Attività di pittura.
Opere poetiche: Poesia e collage, Lefkossìa, 1995; Orione manufatti a macchina, Lefkossìa,
1999; Monumenti mobili, Lefkossìa,
2002; All’ora di punta, Atene, 2005; Ramoscello si rompe, Atene, 2007; Cose elementari. Atene, 2009
Prose: Chi ha rubato il sogno, padre?, favola,
Lefkossìa, 2008.
Zelia GRIGORÌU
È nata a Tsàda presso Pafos nel 1968. Studi in Pedagogia
all’Accademia di Pedagogia a Cipro e all’Università Illinois at
Urbana-Champaign negli USA. Insegna all’Università di Cipro.
Opere poetiche: Corallògeno, Lefkossìa, 1993; Careta careta, Lefkossìa, 1993.
Maria THERISTÌ
È nata ad Ajos Serjos presso Ammòchostos, ora sotto
occupazione turca, il 1968. Studi di Giurisprudenza e Giornalismo ad Atene.
Attualmente esercita la professione forense a Lemessòs.
Opere poetiche: Appunti d’ufficio, Lemessòs. 1999; Un quarto d’ora prima, Atene, 2003.
Jorgos CHRISTODULÌDIS
È nato a Mosca il 1968 e si è laureato in Giornalismo
all’Università Lomonossov di quella città. Attualmente è giornalista a
Lefkossìa.
Opere poetiche: Ènia, Lefkossìa, 1996; Frantoio di sogno, Atene, 2001; Manuale del coltivatore, Atene, 2995; L’irrealizzabile, Atene, 2010.
Nena FILUSSI
Nata a Lemessòs il 1969. Studi in Pedagogia. Lavora
nell’istruzione elementare a Cipro.
Opere poetiche: Flusso di memoria, Atene, 2002; Residuo di conto, Atene, 2008.
Prose: Se avessi domandato chi amo, Lefkossìa,
2009.
Maria KIRIÀKU
È nata a Cipro il 1970. Studi in Lingue Straniere in
Grecia, Regno Unito, Francia e Russia. Attività di Interprete-traduttrice.
Opere poetiche: Armi tranquille e altre tre raccolte
poetiche, Lefkossìa, 2009; La regina
delle pere, Lefkossìa, 2011.
Kostas REÙSSIS
Pseudonimo di Kostas Papathanassìu, è nato ad Atene il
1970. Originario di Timvos, ora sotto occupazione turca, ha studiato
Giurisprudenza all’Università di Atene.
Fotocopia e distribuisce liberamente le sue opere
poetiche. Dal 2001 vive a Lefkossìa.
Linos IOANNIDIS
È nato a Lefkossìa il 1972, ma risiede ad Atene.
Opere poetiche: Balcone, Lefkossìa, 1993; Bianco, Lefkossìa, 1994; Descrizione di forma, Lefkossìa, 1998; Il tempo dell’inattesa ora, Lefkossìa,
2001; Voce scritta, Lefkossìa, 2006.
Kiros PAPAVASSILÌU
Nato a Lefkossìa il 1972, ha studiato Musica e Filosofia
negli Stati Uniti. Attualmente vive ad Atene. Regista di cortometraggi.
Opere poetiche: L’opera, Atene, 2001.
Stefanos STAVRIDIS
È nato a Lefkossìa il 1972. Studi universitari e
postuniversitari in Biblioteconomia e Scienze dell’Informazione negli USA.
Lavora presso la Biblioteca dell’Università di Cipro.
Opere poetiche: Rapide patrie, Làrnaka, 1998; La realtà conica, Lefkossìa,2004.
Prose: Corrispondenze private, racconti, Làrnaka,
2000; La biblioteca di Ravel,
racconti, Atene, 2008.
Panajotis NIKOLAÌDIS
È nato a Lefkossìa il 1974. È laureato in Botanica e
Letteratura Neogreca all’Università di Cipro e in possesso di master in
Letteratura Bizantina e Neoellenica al King’s College London.
Opere poetiche: Come giambo specchio, Atene, 2009.
Andreas JEORGALLIDIS
È nato a Lefkossìa il 1975. Studi di Pedagogia, Storia,
Archeologia e Filosofia all’Universitò di Cipro e studi postuniversitari
all’Università di Parigi-Panthéon-Sorbonne.
Opere poetiche: Semirette opposte, Lefkossìa, 1998; Vuoto ghiacciato a 516o C,
Lefkossìa, 2001; Mari chiusi a chiave,
Lefkossìa, 2003; Quando affonda il
pianoforte, Lefkossìa, 2004; Colori a
fronte, Lefkossìa, 2007, 20082.
Eleni KEFALA
È nata ad Atene il 1975. Lettrice di Letteratura
Latinoamericana all’Università St Andrews in Scozia e insegnante di Letteratura
Comparata all’Università di Cambridge.
Opere poetiche: Memoria e variazioni, Atene, 2007; Storie vaganti, Atene, 2010.
Christiana AVRAAMIDU
È nata ad Atene il 1978. Studi di Lingua e Letteratura
inglese all’Università di Cipro e postuniversitari a Londra.
Opere poetiche: Funi e naufragi, Lefkossìa, 1999; Una ragione per amare la notte, Atene,
2002; Tutti i giorni neve, Atene,
2005; Ora sott’acqua, Atene, 2008.
Christina JEORGHÌU
È nata a Lefkossìa il 1980. ha studiato musica e
musicologia a Londra. Svolge attività di critica musicale e composizione di
musica per film.
Opere poetiche: Mentre affonda il mondo, Lefkossìa,
1998; Fuliggine, Lefkossìa, 2007.
Maria THOMÀ
È nata a Lefkossìa il 1980. Studi di Letteratura greca ad
Atene e Teoria della Letteratura a Leicester. Attualmente è dipendente del
Ministero dell’Educazione e Cultura a Lefkossìa.
Opere poetiche: Una storia per il cielo, Atene, 2001; Benvenuta a Micene, Atene, 2008.
Eftichìa PANAJÒTU
È nata a Lefkossìa nel 1980. Studi in Pedagogia,
Filosofia e Psicologia all’Università di Atene e in Lettere neoelleniche al
King’s College London. Vive ad Atene.
Opere poetiche: Grande giardiniere, Atene, 2007; Moralina nera, Atene, 2010.
Maria SIAKALLÌ
Nata a Lefkossìa il 1980, è laureata in Studi Turchi
all’Università di Cipro con studi postuniversitari a Istanbul.
Sue poesie sono state pubblicate in riviste letterarie a
Cipro e in Grecia. È prossima l’edizione della prima raccolta poetica.
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