LETTERATURE MONDO
ANTOLOGIA POETICA INEDITA
Cipro: la scena
in versi contemporanea

      
Dopo il florilegio della poesia cipriota pubblicato nell’ottobre 2011, pubblichiamo una nuova ampia selezione che concerne ventitre poeti appartenenti alle generazioni attive e produttive nella seconda metà del Novecento. È un assai rappresentativo campione della più recente produzione letteraria greco-cipriota che senza manifestare una poetica comune, esibisce però un sostrato etico-filosofico, una ragionata mentalità nazionale, una coscienza storica e un calibrato rapporto tra lingua e memoria.
      




   

di Crescenzio Sangiglio

  

 

La prima presentazione della contemporanea poesia cipriota (nati tra il 1930 e il 1980, con prevalenza negli anni ’40 e ’50) è avvenuta nelle Reti di Dedalus di ottobre 2011 (http://www.retididedalus.it/Archivi/2011/ottobre/LETTERATURE_MONDO/2_inediti.htm). Comprendeva sostanzialmente gli autori che hanno costituito la colonna vertebrale della nuova letteratura cipriota, quella che, in poche parole, rappresenta la prima espressione di autonomia da un centro ispiratore ellàdico ormai in sostanza inesistente o esistente per pochi sterili nostalgici chiusi nel proprio mondo.

I successivi decenni ’60-’80 hanno confermato e dimostrato la fecondità della semenza lasciata dai predetti predecessori, fecondità concretàtasi in una ammirevole molteplicità di traiettorie poetiche interpreti di esigenze, prospettive, idealità, psicologie ampiamente diversificate e peraltro conformi ad una attualità storico-politico-sociale quasi imprescindibile.

 A questo proposito e a conferma vale la pena ricordare la riflessione del critico N. Churdakis,  riferita ai poeti greci della generazione dell’801 nell’opera dei quali “possono riscontrarsi le prove di una nuova teoria della vita che corrisponde ai dati esistenziali, sociali e storici del presente”.2

   

Considerato quanto precede, è chiaro che le generazioni produttive del citato periodo ’60-’80 non potrebbero logicamente venir incluse nella tipologia della formulazione vittiana3: mondi poetici così differenziati escludono nei fatti completamente e a priori qualsiasi coagulazione concettuale di collettiva asserzione e addirittura qualsiasi identità di istanze personali. Ciò tuttavia non significa che gli autori in parola non possano ritenersi comunque appartenere ad una complessiva, variegata al massimo, ma compatta nella sua multinuclearità e policromatica prassi poetica, e ad esse fedele categoria generazionale appunto tipica nella sua, certamente caratteriale, qualità e in ogni modo positiva singolarità.

Ben individua tale positività ed esprime con acuta precisione Alexis Ziras, a mio parere attualmente, ma già da tempo, il maggior studioso della letteratura in lingua greca, riferendosi a questi poeti e a questa poesia a Cipro: “sono in possesso di una cultura poetica... che va oltre a quella di Kostas Mondis, Kiriàkos Charalambìdis, Lefkios Zafirìu. Una cultura la quale dubito molto che possedessero i loro predecessori, tutti presi e consumati nel fuoco dell’attualità, nel prolungato dolore dello smembramento del paese, nella rabbia della bassezza politica. E specialmente privi del lusso di poter mantenere le distanze dagli avvenimenti”.4

 

A questa loro fondamentale, credo, peculiarità si accompagna parimenti una spiccata caratteristica che non si riscontra nella pratica poetica dei nati negli anni 1940-1960 e cioè l’originaria e poi costante successiva differenziazione tra di loro nelle tematiche, nelle visuali, nel sostrato etico-filosofico, nella ragionata mentalità nazionale, nella coscienza storica e nel rapporto lingua-memoria di questi autori propriamente contemporanei (appunto degli anni 1960-80), sì che molto difficilmente, per non dire mai, potrebbero in essi incontrarsi vicendevoli parentele o influenze espressive, più o meno duplicazioni di ispirazione o analogie di ragionamento, cosa che invece  raramente non evitano i loro antecessori del citato ventennio precedente di certo, è senz’altro vero,  in ciò giustificati dall’urto e dall’impellenza di eventi troppo devastanti e insostenibili.

Entro questi parametri l’odierna creazione poetica cipriota si collega e s’identifica, senza nondimeno eccessi ed estremismi fini a se stessi e di poca o minima  consistenza, con la più ampia testimonianza europea nel solco di una immedesimazione nelle ineludibili comuni e condivise problematiche e destini esistenziali.

 

                                                                         N  O  T  E

 

1)  N. Churdakis, Temi e intendimenti nella generazione dell’80, in quot. Avghì (Aurora), 5.7.1992.

2)  Considerazioni, queste,che perfettamente si attagliano anche ai poeti ciprioti nati negli anni ’60-’80.

3) M. Vitti, La generazione del ’30 – Ideologia e Forma, ed. greca Atene, 2004, pag. 9: «… “generazione”, nella quale inquadriamo per nostra comodità persone più o meno coetanee con personali aspirazioni derivate da comuni punti di avvio e rette da coincidenti intenzioni”.

4)  A. Ziras, Antologia della poesia cipriota contemporanea – Cipro dopo il ’90, Introduzione, Atene, 2011, pag. 13.

 

 

***





Anna Boschi, Trama d'infanzia (dedicato a Christa Wolf), 2010


ANTOLOGIA

 

 

Leonìdas GALÀSIS

 

Certificato medico

 

Questa pianta ha rifiutato il sole

s’è chiusa in se stessa

s’è accontentata dell’umidità di una stanza

sui bordi di un vaso da fiori

Quando le altre piante

bevevano avidamente la luce

e diventavano trasparenti

e fiorivano e ridevano,

questa misurava la profondità delle tenebre

e sentiva colare dentro di sè,

come da una clessidra sovrannaturale,

il veleno.

Quando le altre piante

il vento percuoteva

senza che ruga alcuna striasse le loro anime,

questa lentamente scivolava

nella rete della morte

ed era tanto amareggiata

che le sue linfe si guastarono

divennero inchiostro.

E adesso ogni sera stilla dal suo fogliame

la poesia bambolino angioletto nero

e guai a te se non riesci a prenderne cura:

si trasforma in polipo e ti offusca il cervello

e cieco e indifeso ti conduce

là dove la sua padrona è stato condotta

per aver rifiutato il sole!

 

 

Hic

 

Ti sedesti per riposarti in un giardino pubblico,

disoccupato e afflitto.

Cosa cercavi di trovare tutto il giorno?

Eri libero?

 

Indossasti i tuoi vestiti migliori e uscisti.

Nella clinica “Rosa” il tuo amico Hic

contava i giorni andati

senza avergli rivolto la parola.

“Gloria ai giardini fioriti

dei luoghi di sogno,” disse

“poiché lì qualcuno, irreprensibile,

può spegnere, come conviene, i suoi carboni.

Così si evitano gli incendi

e le esaltazioni degli scontri frontali”.

 

 

 

Jorgos FRANGOS

 

                    Turisti a Lesbo

 

                    Turisti estasiati

          osservano il fogliame degli ulivi

            mentre brilla argentato al sole.

 

                   Turisti affannati

             si riversano sulle spiagge

         a succhiar sole, salsedine e luce.

 

               Turisti ben preparati

       aprono guide, carte geografiche

                 e liste dei prezzi.

 

       E non hanno mai sentito i passi

                 leggeri di Saffo

        Nè hanno odorato gli eterni

                profumi di Saffo.


                    Ogni tanto

   nello strampalato andirivieni turistico

             spunta anche un poeta.

Attonito guarda la riva al porticciolo dei pescherecci,

               ascolta i sussulti

            amorosi dei gabbiani,

          gli giungono alle narici

     fragranze di giambi e anapesti.

 

            E ansioso comincia

           a frugar le sue tasche.

  Allora Saffo gli si avvicina zèfiro lieve

         gli porge carta e matita,

      un fulgido sorriso e coraggio.

 

    E mentre egli gratta sulla carta

       Saffo tenera sfiora la lira.

 

             Allato i turisti

         ridendo sgangherati

      ordinano uso1 e sardine.

 

 1) Aperitivo a base di anice. È la bevanda nazionale greca.

                               

                                 

                                     Vigoria

 

              All’ingresso del console in palestra

 i centurioni scattarono in piedi davanti alle loro panche

               d’un balzo trovandosi nello stadio

          con le pappagorge frementi di “vigore”.

 

   Nei loro scanni i consulenti cadevano dal sonno

                     sopraffatti dalla noia

       finché irruppero nel salone delle udienze

                 le camere delle televisioni.

        Di colpo tutti acquisirono idee, vigoria

                    divennero risoluti!

 

 

 

Jorgos KALOSÒIS

 

Il ragno 5

 

Mi sono diretto là dove

il ragno detiene le proprie terre

possiede una specie di retorica

la sua bocca non finisce di produrre

mi sono avviato in quella direzione

egli stava fermo in osservazione

io ero in possesso di una specie di medicina

sopra le immense tele vidi

gente in ginocchio supina ed altri

con le ali inutili ali

che avevano fabbricato sfogliando libri

studiando ali con motore

e alcune ali

ricevute negli aeroclub

avevano perso il loro succo

l’insetto non aveva avuto nessuna pietà

salvo che gli abbia proposto qualcosa

salvo che abbiano discusso prima

e quelli sono stati tratti in inganno

cosa può aver loro promesso

fors’anche tutto perché egli

utilizza senza la bocca fermarsi

vidi nella tela il mio

cane che era scappato i suoi

latrati erano anch’essi rimasti

nella tela e perfino

i suoi vaccini vidi

chissà quale cane sacerdote

lo commemorerà

quale chiesa si riempirà

di suoi compagni di scuola pronti

a farsi concorrenza in singhiozzi

e in pianti

nessuno e la parola nessuno

svanisce poco a poco

cede davanti ai

ricchi verbalismi

del ragno.

 

 

Michalis PAPADÒPULOS

 

Georg Trakl

 

La morte, la sventura e la cenere

i pazzi spaventati biascicando le parole

la canzone della palude per una funebre esaltazione

e tu, mercenario dell’ultimo dio

con la bulimia della sua gloria

mentre le odi risuonano dei singhiozzi

sopra Salzburg

gemiti e morte a danzare

nella valle di Grodek col fango e le ossa

Allora ti videro girovagare per le strade

con l’aspetto di un animale spiritato

trascinato dal mistero,

e tramutar con mani tremanti

il logico concatenamento dei delitti

prima di immergerti nell’angolo

lurido del cloroformizzato ricovero

balbettante ormai e barcollante

addosso per non perderla stringendo

la tua razione di abisso

 

 

Logica di certezza

 

È logico

più che logico

dopo tanta morte

voler pervenire al nulla di parole

suoni e immagini

ricoprir il rumoroso compimento della poesia

con un vago silenzio

oltre la nudità della parola

Ma questa strada

è senza fine

forse molti anni ci vorranno

perché tu raggiunga la Poesia

potrebbe sottrarti

tutta la forza e la luce

spossatezza dell’oblio

braccheggio dell’impraticabile

mentre continui prostrato

a scrivere

senza un termine di tempo

sull’orizzonte.

 

 

Pabos KUSÀLIS

 

                   Diario

 

        Parole di tanti giorni

come hai fatto ad abbandonarle?

                  Come

                  sottili

           tratti di matita

    poter sollevarle tutti soli?

       Quali sguardi ignoti

              affrancar

       esposte rivelazioni?

 

          Candida neve!

           Solo questa

         può sopportare

         i tagli profondi

del tuo giorno e della tua notte

 

 

                    Via di pioggia

           

                    Via di pioggia

            Da una parte le gocce pari

           Dirimpetto solitari i lampi

             basta che che scorgano

   una solitudine senza paura negli occhi

              La fulminano subito

 

            Via di pioggia solitaria

       Oggi non indosso i miei occhi

  nondimeno facilmente trovo la strada

                        Lo so

                    tu a destra

                   tu a sinistra

             Come  non perderti?

 

 

                        Intenzioni

 

              Quali le mie intenzioni?

                Ma, le più e le meno

           Continuo a riempir di giorni

                      il bicchiere

           e continua il tempo a bermi

                       il tempo

 

                 Due sguardi rosa

            s’incontrano al mattino

             E mentre stai per dire        

          diventino un sol desiderio,

                   nel meriggio

   comincia il rapido apprendimento

                 dell’astrazione

 

 

Vakis LOISIDIS

 

È tempo

 

È tempo ch’io scriva un romanzo.

Meglio cimentarmi con un  racconto.

Quanto ai personaggi, nessun problema

ne sceglierò tra la gente della televisione

facilitando così anche i produttori

nella riduzione della mia prosa per il piccolo schermo.

Approfitterò dei marginali

per i quali l’esistenza è un continuo visibilio.

Forse ritoccherò un po’ la vita

di un tossicodipendente, di un omosessuale

e di un magnaccia con la laurea.

Quanto tempo ancora scrivere poesie

che per mesi stanno chiuse nel cassetto

e  nessuno mai

legge nei mezzanini delle librerie.

Anch’io diventerò uno scrittore che può stare a galla

con una buona reputazione nella grande città

e parecchie riedizioni.

 

 

Pochissime cose importanti

 

Non abbiamo aperto insieme una porta tra due stanze

Per sentire il pericolo

Di dover uscire dalla porta posteriore

all’aria aperta

poter dire anche noi

di esserci incontrati in qualche parte

da qualche parte aver guardato il mondo

con uno sguardo come questo.

 

Siamo difficili

Sì siamo molto difficili

Perciò viaggiamo scrivendo

perciò ci fermiamo per un sorso di vita

E subito riprendiamo a scrivere

Pochissime cose importanti, la maggior parte di second’ordine.

Qualcuno ha confessato

che i poeti gli provocano un’indigestione

Gli tormentano il corpo

gli organi della digestione.

Intendeva dire la profondità dell’anima

Era un uomo di un’ altra epoca.

 

 

Zelia GRIGORÌU

 

Boneyard Creek

 

E poi ciocche di capelli abbiamo tagliato

le abbiamo sigillate in nascondigli di carta

voci notturne abbiamo affidato

a bottiglie

abbiamo gettato nel Boneyard Creek

 

Boneyard Creek

qualcosa trasporterà

all’altra sponda del pianeta

qualcosa di buono

come acida melma

traboccheranno le snodature

dei nostri alberi molecolari

 

Boneyard Creek

viaggia fino ai grandi laghi

Boneyard Creek

lo seguono i tordi pomeridiani

tracciando cerchi successivi

 

Boneyard Creek

una rotella d’acqua palindromica

nel mezzo degli inverni

 

 

Funerale d’inverno

 

Come latrati di un cane ammalato

le voci dietro

alle colline arrivano.

 

Si prosciugano a poco a poco,

non come il sangue dell’uomo ucciso,

resistono al tempo

le voci che abbiamo odiato

quando la mamma ci svegliava

la mattina e Galatea

imprecava per suo marito

o per una capra recalcitrante.

 

Come latrati di un cane ammalato

vengono i morti invernali,

squarciano i canneti adolescenti

e protendono le mani,

vuoti gli anni:

ci hanno rapinato, Marina.

 

 

Maria THERISTÌ

 

Nevischio

 

Vengo al tuo capezzale

che vapora l’incedere del bambino

che non pianse per la lite degli uomini

che altro modo non avevano di combattere.

Quasi estate,

ho udito tutte le canzoni:

altre non ne son rimaste,

o erano finiti i soldi

e non potevo comprarne.

Ti porterò del nevischio dai Balcani.

Viaggerò

lungo la linea costiera dell’iceberg,

portando sulle spalle

tutti i miei appunti di servizio,

fino a giungere alla prima fila del rancio.

 

Tornerò indietro

‒ so che tornerò 

con un fucile a doppia canna fatto di halvàs1

con il sacro legno2 di una verità

ridòttasi a melodramma

e diffusa in copie.

 

No non hanno colpa per qualunque cosa

le forze di occupazione.

Ho colpa anch’io

che ho bruciato i miei scritti

perché tu non li trovassi mai

e ti venissero le lacrime agli occhi.

 

1)  È un dolce fatto di zucchero (o miele) e pasta di sesamo.

2) Nella tradizione ortodossa è così chiamato un pezzo della croce dove morì Gesù e che Elena, la madre dell’imperatore Costantino, trovò e portò a Costantinopoli.

 

 

Quando la luna diventerà rossa

 

Qui,

 

c’entrano ancora nel forno le poesie senza professione

per cuocersi col ghiaccio frantumato

 

col pepe macinato ed altre spezie

di mille belle parole.

 

Meglio lavare piatti

e quando qualche piatto o cuccuma o poesia vuole

                       essere fotografato nell’acqua insaponata

 

tutta la schiuma

lì sarà un buon travestimento.

 

 

Jorgos CHRISTODULÌDIS

 

 

Con le mani tagliate (Al piccolo Alì)

 

La preannunciata liberazione

non comprendeva le tue mani

né tua madre, né i tuoi fratelli.

Ti c’incamminerai da solo sino alla fine

quantitativamente in calo, ma gradualmente con acquisita crescenza

che tanto ti strariperà

quanto basta perché tu scagli le tue mani

a ballare nell’aria

come rami recisi

di un albero

che comunque meglio resiste al vento,

adesso sei la traccia di una matita temperata

si lascia indietro una linea rossa

che i posteri possano seguirla

e i tempi scolorarla

con il cenerino dell’oblio

e la pietra del dolore.

Quando le bombe cesseranno di cadere

le luci si spegneranno

e verrà designato il nuovo comandante.

Forse un giorno ti farà visita

per addebitare responsabilità

al precedente regime dittatoriale

ma tu, come potrai ancora stare in equilibrio

sulla fune tesa dei tuoi sogni?

Come respingerai il pallone con un bellissimo tuffo?

Chi chiamerai per farti detergere

le lacrime randage?

Come ancora ti appoggerai sulla tua guancia

a pensar spensierato qualcosa d’insignificante?

Come col dito indicherai una stella?

Come accarezzerai una vulva

e ne sentirai i palpiti?

Lo so, vuoi sfuggire

al tumulto delle esplosioni

le tue mani ancora fremono

sepolte profondamente nella terra

un angelo-mediatore

le tranquillizza teneramente

e le unisce in croce per il sonno della notte.

Rispunteranno

come cipressi sotterranei e bucheranno la terra

si leveranno in un luogo devastato

dove ombre spaurite si azzuffano a morte.

 

 

Nena FILUSSI

 

I limiti del sonno

 

La favola di stasera

della navicella che viaggiava di continuo

è una pietra malcerta a un angolo di maggio

tutte le montagne ne vogliono la paternità

tutti i giorni la sua caduta.

Tu acacie e venti a imparar l’amore

la tua sorte, la tua pietra, la tua città turchina

piccolo sole, finestra meriggio

sul muro in pieno mezzogiorno criniere immote

inerzia e attimo lungo

il divieto.

 

Brulotto la mia rosa sul tuo ombelico

a dischiuder onde mattutine e sospetti

nomi di eroi e di antichi amori

che in fin dei conti forse non sono esistiti.

Isola non è.

Isola non è.

Pensiero come la morte così spesso

davanti al lume riporto i nostri anni

e li sottopongo ad interrogatorio.

 

E per Dio niente veglie. Poesia

è il tuo alito.

 

 

Sete

 

Sopra un pozzo

spossati ci chiniamo sull’acqua chiara

e tutto diventa basso

leggero e innocente

al ritmo di palpebre lente.

 

Talora l’acqua ha un sapore di vanità

come quando dicemmo suvvìa e libertà

e ci dissero di no, divertitevi da soli.

Nulla però è come prima.

Adesso novembre nasconde estati

che incendiano tutte le memorie

tutte le orme di infelici amori apposta abbandonate.

 

Sopra il pozzo

prende fuoco la bellezza del mondo

tanti corpi si sfiorano

e tremola l’acqua.

 

Inoltre possiede la singolare qualità

di accusarci di mutismo

o di confessioni infantili.

Tuttora.

 

 

Maria KIRIÀKU

 

Cuori doppi

 

Per ogni evenienza, mi dici

basta con le telefonate.

Basta, ti rispondo

d’accordo.

Basta però

anche con le indulgenze. 

 

Non sarai tu che

per forza

mi farai Papessa

e neppure indovina

degli invisibili fili

dal momento

che manco una volta

mi hai portato in barca

nel quieto corto circuito

dei doppi

cuori.

 

 

Sai cosa manca

 

Sai cosa manca

anche se non lo ammetti.

Anche se stelle non inchiodi

sulla fronte azzurra

dell’amore

né mele né veleno

assapori

dai frantumati narteci

dell’amore.

Sai cosa manca

anche se non lo ammetti

e anche se non rivolgi

neanche uno sguardo

al tuo vecchio specchio

o una semplice occhiata tenuta

in serbo in caso di indicibile bisogno.

 

Sai cosa manca

anche se continui a comporre

ideogrammi,

nomi importanti e fasulli

di un comune, comunissimo

seme di senape.

 

 

Kostas REÙSSIS

 

antimicromanifesto 2

 

attraversando l’istantanea estate dell’estremità agitatori moltiplicano la pericolosità del suolo informi squadre di retroguardia seminano incoscienti profumati pelargoni sulla terra incolta delle pensionistiche coordinate una ex sovietica ed ora russa èmigra rivendicando la proporzionalità delle assicurazioni sociali nella sua brillante partecipazione alla ricostruzione della puttanata pesche cornute non specializzate appaiono nei mercati popolari di prodotti locali quelli coloniali confessano il ruolo di borsaneristi agli agenti della punizione testè fondata interrogando di nuovo la pesa il taccuino il tavoliere la regola e il compasso goniometrico pongono in essere                       atti processuali gli astrocosmi incidono con un diamante i dèmoni sulla carotide Pandelìs

                                            

 

ermetesvolando trapassatamente

     in un futuro compiuto

 

lo stomaco istruito ad incassare qualsiasi putridume servito attraverso nel turibulato olfatto di una illecita speculatoria magnificenza bizantina grossolano esprimersi della parola combinato con provvigioni di interminabile compravendita così opportunisticamente avanza l’uomo dabbene tramutando l’apparente vita in apparente esistenza la svolta che dà la riputazione le transazioni delle marionette o una pignatta che tribola scuotendo il suo coperchio sì e no oppure fino e forse la cosa migliore che possa accadere è che tu straripi ectoplasmaticamente se ti tieni sulla vergogna che non esiste e cominci le addizioni e le moltiplicazioni ti guarderò stritolato e sfrontato nel momento in cui ti si scinde l’asportazione dell’anima

 

 

scherno ovvero il liuto

 

                                                  dedicato al pittore

                                                            Panikos Tumbriotis (1963)

 

un longevo miserabilismo definisce il comportamento di una terrorizzaata provincia in costruzione le posture erotiche sceneggiano l’orgia mondiale il crocemortorio ortodosso cattolico inneggia all’armamento di un elegantissimo tessuto arabo il fenicottero nero a vagolar in alto mare il bosco incendiato le ore emblematiche figurano il crimine del sole un severo atterraggio sventola l’apostrofo della donna violentata il merletto in erezione fa schioccare la clitoride di un orgasmo combattivo                    gli ossoni  emergono brandendo il latte della pietra         

 

 

Linos IOANNIDIS

 

Sonnolenza

 

Piegato sull’umidità dei muri avanzava

nei vecchi quadri e deserti della sua anima

per ritardare il cielo

 

Nella prospettiva dell’aria

emanava un soffocante respiro

per far passar comodamente le eventuali

forme della tristezza

 

Fanno parte delle sue ossa i passi

la candida discendenza dei colori

 

 

Galleggiavano

 

Con tutti i sospiri custoditi

tirarono su le tramortite membra del tempo

 

Galleggiavano in vasi di vetro

i primi orizzonti

i grandi tronchi recisi del giorno

valutavano i numeri

con una nuova mano al tatto

collocavano la vista

registravano la notte

navigabili corpi celesti

distendevano la trasparente posizione orizzontale

ritagliavano forme in misurazioni verticali

e il tempo era evidente

 

 

Le parole

 

Senza il cielo

agguanteranno l’orizzonte più oltre

vivo gli daranno fuoco

e lo bruceranno

giorno senza cielo

intera la nuvola ne getteranno la metà

vi scaveranno l’acqua

per liberare gli aliti

 

Troveranno il sonno mentre dorme sulla carta

con le sue immagini

col suo silenzio

le parole staranno

provando ancora nomi

 

 

Kiros PAPAVASSILÌU

 

Fuori dalle canzoni

 

Fuori dalle canzoni                      mi promettesti

    che i giorni              le notti                     ne-

vicheranno cerbiatti.

    Pesante l’albero    starà ancora               sopra

i          bambini-segreti                         ammalati    

    Guarendoli              cadrà             gocciolando

le loro parole bruciate  prima che queste risuonino

    prima che queste                     muoiano

 

Parlami assai

 

Vai

 

 

Camminò

 

Camminò dentro

la foschia femminile

egli

            egli

 

Corpo. 

 

sulle sue spalle letto

superbi battaglioni

di angeli germanici

lo circondarono    

 

        lo vissero

producendo mosto

di frasi straniere

e sangue     Sangue

 

Dita

 

il petto – dita di lei

aleggiò sulla brusca fronte di lui

le sue mani legnose      rabbrividirono

dantro il Purpureo espulsi migliaia di piccoli

uccelli anni

incollati sull’albero purpureo – corpo di lui

risuscitò

una squadra di cugini d’infanzia che giocava nel fango

risuscitarono

le ultime trenta frasi del lago

che ottenne il permesso di profferire

che riscattò con le sue ultime vecchie monete

l’ultima parola che a un pesce rubò

che tradì:

 

tu  

 

 

Stefanos STAVRIDIS

 

Il punto e virgola

 

Sparisce dal nostro scrivere il punto e virgola.

S’è rivelato incapace di limitare il discorso,

di intralciare le parole

che scivolavano di sotto.

 

Abbiamo cancellato dal nostro scrivere il punto e virgola,

Come se anche il seguito non fosse desiderabile.

Prodiga la mano ha sparso

abbondanti, minuscoli, pesantissimi punti

che solo il tempo sa apporre.

 

Ancora parleremo, altro ancora diremo.

Questo morbido fiocco di neve a mezz’aria,

il punto e virgola della parola, della vita,

non vuole morire, non vuole finire;

 

 

Il fango

 

Memoria significa ritorno.

Le gocce pietrificate

rivivono e si versano

abbeverando il suolo che calpestiamo

nutrendo il fiore dell’anima.

Il passato ritorna

come l’acqua della pioggia

che ritorna alla terra.

 

E tu, coi piedi nel fango

ti chiedi se ciò che calpesti

sia terra o acqua:

rifiutando la bellezza del fiore

ti batti per filtrare il fango.

 

 

Rinnovamento

 

La mela marcia non ritorna sana

e nessuno berrà

il vino versato sul tavolo.

Però la corda spezzata della chitarra

non comporta la fine della canzone,

né l’amico partito

l’eterna solitudine.

 

È provvisoria la bellezza del lago.

Ti intimorisce il viaggio nuovo,

è però possibile e inevitabile:

allontànati da questo lago

prima che diventi palude

(ma nel tuo cuore fotògrafa

questo bel lago com’è ancora).      

 

 

Panajotis NIKOLAÌDIS

 

Ciò che il corpo

 

Ciò che il corpo ha fermato

strette fascine di luce

sguardi svolazzanti

respiri sull’acqua

Ciò che il corpo ha ottenuto

finestre sulla luce

qui un po’ di rosmarino

lì un po’ di mentuccia

Corpo celeste tessuto

intessi il tempo con la luce

Corpo profondo arancione

aguglia della morte

 

Dono d’incorporea deità

a misura di uomo

 

 

Angusto

 

È angusto il nostro paese

invisibile luce inafferrabile

ha murato la nostra anima

Mano di bronzo e pesante

potesse incendiarsi il momento

ha disfatto il nostro corpo

È angusto il nostro paese

Insonne la nostra acqua

Filo dorato la nostra favola

alle estremità delle nostre estremità

È angusto il nostro paese

è l’antro dell’amore

Luce d’argento e pane

è nera e buona la pietra

lama dell’impostura

 

 

Quando amore

 

Quando amore comincia

candido abisso dischiude

Scatenaccia luce dorata

in giardino annottato

Quando amore finisce

risciacqua in fretta il sangue

Rattoppa carezze colori ali

in corpo morto

Quando amore cade nel vuoto

albero che ha smarrito la luce

risonanza nel tempo

 

 

Andreas JORGALLIDIS

 

...,;

 

I segni d’interpunzione

rallentano le voci delle parole.

Sparpagliano il tempo,

creano vincoli di fenomeni proposizionali

e partecipano al loro presente.

L’ultimo punto – sa respingere

poiché lì

è indicato il limite estremo

del discorso scritto.

Al di là di quello,

tutti i complessi di parole

ma altresì nessuno.

 

 

Per approssimazione

 

L’incertezza del passato

delinea inosservabile

tutti i mari sbarrati.

Nessuno

conosce pienamente l’aoristo

come peraltro anche il presente.

La nostra conoscenza di questi tempi

costituisce un fatto – del tutto casuale.

Viene detto per approssimazione

che così designamo le cose.

Selettivamente colleghiamo le cose

e poi

proclamiamo la nostra selettiva verità.

 

 

Discontinuità della continuità

G

 

Si frantuma il tempo epìteto

e i cronotroni corrono a nascondersi

dietro agli attimi.

Gli attimi si rifiutano di fare

la parte dell’infingimento.

Si uccidono per non ferirsi.

I tecnici della luce sono perplessi.

Lo stesso i tecnici del suono.

Nondimeno si avvera l’interpretazione del “ruolo”.

Gli spettatori s’immaginano l’apparato scenico.

Questa rappresentazione finisce

ha detto qualcuno

ed è calato il sipario.

La durata di questa calata

da allora non risulta definita.

Un risonante non-tentativo.

 

 

Eleni KEFÀLA

 

L’ombra sulla linea

 

Così all’improvviso, come il

rombo della motocicletta che

corre con vertiginosa velocità,

come il lampo nel cielo se-

rotino, come una canzone che

dopo molti anni riascolti

alla radio, così all’improvviso,

anni dopo, in un fulmineo,

turbinoso rimbombo incontre-

rai quella delle tue domande

ch’è rimasta senza risposta.

E allora saprai.

 

 

Quesiti

 

Cosa aspettarci ogni volta che

apriamo la cassetta delle lettere

con tanta devozione, quando leg-

giamo gli email con tanta

solerzia? Perché ogni tanto

guardiamo il nostro telefonino

nell’attesa della successiva

chiamata, del successivo mes-

saggio? Quale messaggero è

rimasto staccato tutti questi

anni e proprio cosa vuole

dirci?

 

 

Alla reggia di Mutekusoma

 

E avendo visto che egli in-

sisteva, gli spiattellò tutto, che

sarebbero arrivati gli stranieri

con la pallida pelle, parlando

una lingua strana e incompren-

sibile, che avrebbero barba e ca-

pelli fino alle orecchie, e sareb-

bero scesi da certe torri galleg-

gianti con lunghe aste, avreb-

bero portato cervi giganteschi

senza corna, e fuoco avrebbero

sputato le loro armi, e questi

barbari avrebbero assediato

la Città ottanta giorni e ottanta

notti, e sarebbe caduta nelle

loro mani e distrutta Tenichtitlan.

Tutto ciò hanno rivelato le sette

profezie di Ketsalkòatl.

 

(furioso il re ordinò che fos-

se subito messo a morte il folle

mendicante)

 

 

Christiana AVRAAMIDU

 

In momenti

 

In momenti come questi si dispiega di solito la stanchezza.

Non a tarda sera

ma la mattina di buonora.

Dopo aver stretto la mano

ad amici e genitori,

e dopo aver frivoleggiato

con vicini di casa e parenti,

la mattina presto,

‒ con precisione matematica ‒

conti le tue membra

e il divano diviene

tutta la tua casa.

 

E poi a un’ora tarda

‒ più o meno il pomeriggio ‒

esce una poesia dal forno a microonde.

Talvolta,

in un silenzio antico

così che possa scorrere

in equilibrio la mia testarda

malinconia.

 

 

Stasera c’è qualcosa

 

Stasera c’è qualcosa che non mi piace nelle tue mani.

Semplice il nostro fuori,

come parlar di Atene la sera.

Quanto al nostro dentro,

lasciamo stare per un’altra volta,

alle nostre vite che verranno,

come sempre.

 

Verranno giorni migliori.

Se dimenticherai, verranno.

Dimèntica –

 

 

Com’è selvaggia

 

Com’è selvaggia la tua lava,

e nel tiretto

neppure una scatola di cerini.

Ti allontani da me lontano come i fiori,

perché così ti piace

perché lo vuoi.

 

Quest’amore però non può essere amato,

tutt’al più potrebbe

riempirti fino al ginocchio di lune agostane.

 

 

Christina JEORGHÌU

 

Nave

 

Non è forse il mondo

nave che affonda

come al collo cravatta

annodata pietra nera

ma anche se il tempo passa

giammai s’acquieta

e ch’è il tempo medesimo

un grattacapo anche lui

                       Non è forse la memoria

                       un vestito che si muove                            

                               come su un albero

                          immerso nella nebbia

                  brama solo dove essa vuole

                                  guardar lontano

                                ma il vento volge

                        la sua effigie nel vuoto

 

Sin da bambina

ti piace costruir navi

E fai navigli

che non ti sfugga la speranza

In nuovi viaggi

li mandi in speranzosa attesa

Pazientamente li cerchi

quando nàufragano.

 

 

                Viaggio

 

         Un tenero morso

             sul labbro

 

     Solo questo è rimasto

                di te

           a ricordarti

 

      Lo sbaglio il giusto

             una luce

         come cometa

  da lontano pallidamente

 

  Nel tuo prezioso ridere

           nei silenzi

nelle tue mani imbarazzate

il viaggio che ho desiderato

 

 

Maria THOMÀ

 

Qui è la piaga

 

Attraversando macerie di case

e mucchi di immondizie, da un pozzo

asciutto un secchio rotolò

pieno di ragnatele, e ricordo, forse

qui è la piaga

 

parole rigettando sulla riva senza riflessione o dilazione

abbracciata a un piccolo dio

che distrugge la sua vita

sfioro le sue mani e ricordo

è qui la piaga

 

beccheggiar per lunghe ore, mare coperto di cadaveri

adesso sono tranquilla, strano che posso respirare nel

                                             fondo, e cerco

sui legni della coperta la fessura, forse qui è la piaga

 

ricordo una grande notte, era solo grande

per null’altro coerente, mancanza di occhi mancanza

di respiro e dalla finestra le mie due voci

e dalla finestra io bambina a guardar attraverso

la finestra forse si vede la piaga

 

non sta nelle morti simboliche, piuttosto nel mezzo

                                                  di un’ora

interminabile in ogni cattivo senso della parola la piaga

chi mi ha lasciata fuori tutta sola bambina di cinque anni

                                                     a disciplinare

lo sviluppo del tempo suonando come un orologio

la domanda sarà la piaga

ho paura però di formularla

 

 

Torpore

 

Perseguitati dalla sfera del bene per un altro mondo

Dove pescicani ti azzannano e non senti dolore pur essendo

                                rimasto per metà su fondo rosso,

                                sorridi beato

Sorridi anche quando un buco ti attira nella terra

                    e mentre ormai di te non è rimasto che

                    uno stivale mezzo vuoto rovesciato 

 

 

Volumetrico

 

Un tempo qui nei pomeriggi bagnava i miei capelli e il mio seno

Adesso si verifica una corrosione alle punte e ai talloni

                                                       dei miei piedi

È sceso il livello delle tue lacrime

Più selvaggio il tuo delirio

 

 

Eftichìa PANAJOTU

 

per funeral

 

la mano che stretto teneva il mio sangue era un bel becchino.

mi diede un coltello a sterminar vermi sottoterra.

e dopo un sanguinoso viaggio, seppi che non morirò mai.

perché non sarai qui davanti a me a impugnare,

                                        traghettatore di anime

un falso annuncio di morte.

è diventato bello il mio corpo, i miei capelli ondeggiano

son diventata un lago che rabbrividisce quando le gocce

                                             lo annaffiano.

il mio volto è candido, posso guardar i sogni adesso

                                               negli occhi.

 

con la mano che piaghe nascoste numerava ti scrivo

adesso serenamente ti scrivo, non temere.

non sono in lutto, splendida è la luna.

quelli che la vedono mezza, sappi che mentono.

gli è la loro vista non si avvicina di più alla sua luce.

qui non cessano i sogni, muoiono gl’incubi

e questa vita non ha fine.

perché, stranamente, qui il movimento non somiglia a terrore

solo alla musica la danza si abbandona

e nel profondo commossi si innalzano quelli che sentono

ogni sua mortificata sensazione.

 

non piangere: là dove l’amore ci viene offerto con alterigia

una farfalla sempre muore lentamente e vola.

devotamente bacio la tua mano che mi ha dato la morte.

un augurio: che tu sia pronto a morire.

 

 

Ineffabili parole

 

temo il gufo sul tuo collo

le ineffabili parole, prima dell’incendio

il nostro salir sugli scaffali come libri,

percorsi intellettuali, sguardi di innamorati,

e tutti i sogni che si svegliano la sera,

gatti randagi.

 

le parole che risuonano come mignatte

i “così è la vita”, i “cosa fare?”

gli umidi di fazzoletti di carta, le lettere stracciate

le fotografie calde e le mobili

memorie, tomba:

il domani senza aurora.

 

il gufo arrugginito sul tuo collo

lo strazio dei miei sogni

il laceramento della donna

in me: ricordi voglio morte

 

la mia ombra.

 

 

Maria SIAKALLÌ

 

Sono un becchino

 

Sono un becchino

che fa ore straordinarie,

paranoicamente mascherato

covando visioni.

La sera ascolto gli animali

piangere le mie lacrime.

 

 

Gocce di miele

 

Gocce di miele della luna

così un tempo dicevamo dei sogni.

Quando le statue avevano il pube scoperto.

Quando le donne partorivano senza doglie

e gli uomini non s’erano messi la foglia di fico.

Quando le anime abitavano negli specchi

e aspettavano che qualche sogno gli aprisse la porta.

Il tempo in cui gli angeli non avevano ancora le ali

e i dèmoni avevano il diritto di amare.

Il tempo in cui l’amore non era ancora diventato

comandamento in un libro sacro.

Adesso, semplicemente disegnamo un occhio sulla sabbia

e appena l’onda lo cancella ne disegnamo un altro.

 

 

Ci sono anime

 

Ci sono anime che muoiono lentamente

quando non volano.

Per un po’ vengono sulla terra

per vivere l’amore

ripararsi sotto un tetto

nutrire la loro natura umana

e poi di nuovo se ne vanno via...

 

 

Quel dolore

 

Quel dolore

che ti mozzava il fiato,

che ti piegava in due,

che dominava ogni tua cellula,

che faceva sparire la tua voce,

che lasciava il mondo senza amore.

 

Quel dolore, non dimenticarlo!

Adesso che è diventato piccino così

e somiglia a fragile neonato

abbràccialo e

tiènilo accanto a te

che ti protegga da altri dolori

e ti rammemori la natura umana!

 

  

 

©  Traduzioni di Crescenzio Sangiglio

 

 

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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

 

Leonìdas GALÀSIS

È nato a Lefkossìa il 1962. Studi di Letteratura Greca all’Università di Thessaloniki e Pedagogia all’Accademia di Pedagogia di Cipro. Insegna nell’istruzione media.

Opere poetiche: Coralli insanguinati, Lefkossìa, 1979; Attestato medico, Lefkossìa, 1982; Aspre cotogne, Lefkossìa, 1988; Illuminazione, Lefkossìa, 1999; Tormento in alfabeto, Lefkossìa, 2007; Lokrigana, Atene, 2010.

Prose: La personificazione nell’opera poetica di Kostas Mondis, saggio, Atene, 2008.

 

Jorgos FRANGOS

È nato a Lemessòs nel 1962, ma risiede a Lefkossìa. Studi di Giornalismo all’Università di Mosca e nello stesso Ateneo Studi postuniversitari in Letteratura russa.

Opere poetiche: I primi voli, Lemessòs, 1978; E tutti insieme ad alimentare la colomba bianca, Lemessòs, 1979; Gridi, Lefkossìa, 1984; Storia d’amore in cinque atti, Lefkossìa, 1986.

 

Jorgos KALOSÒIS

È nato a Lefkossìa nel 1963. Laureato in Letteratura greca all’Università di Atene. Attualmente insegna nell’istruzione media a Cipro.

Opere poetiche: Metamorfosi, Lefkossìa, 1993; Il primo attentato alla vita di Makàrios, Lefkossìa, 1995; Il mondo alla rovescia, Atene, 2000; Lo spostamento della terra, Atene, 2005; La coniugazione del verbo, Atene, 2009.

 

Michalis PAPADÒPULOS

Nato a Lefkossìa nel 1963. Studi in Letteratura greca all’Università di Thessaloniki. Lavora nell’ambito televisivo cipriota, nonchè nel settore giornalistico.

Opere poetiche: Gres, Lefkossìa, 1997; Entro i confini, Lefkossìa, 2000; Elica di elicottero immaginario, Atene, 2010.

 

Pabos KUSALIS

È  nato a Lefkossìa il 1964. Studi di Archeologia e Storia dell’Arte all’Università di Atene. Lavora nella istruzione media.

Opere poetiche: Parola cucita, Lefkossìa, 2003.

 

Vakis LOISÌDIS

È nato a Lefkossìa nel 1965. Studi in Economia e Commercio ad Atene e studi postuniversitari in Economia del Turismo a Londra. Attività di pittura.

Opere poetiche: Poesia e collage, Lefkossìa, 1995; Orione manufatti a macchina, Lefkossìa, 1999; Monumenti mobili, Lefkossìa, 2002; All’ora di punta, Atene, 2005; Ramoscello si rompe, Atene, 2007; Cose elementari. Atene, 2009

Prose: Chi ha rubato il sogno, padre?, favola, Lefkossìa, 2008.

 

Zelia GRIGORÌU

È nata a Tsàda presso Pafos nel 1968. Studi in Pedagogia all’Accademia di Pedagogia a Cipro e all’Università Illinois at Urbana-Champaign negli USA. Insegna all’Università di Cipro.

Opere poetiche: Corallògeno, Lefkossìa, 1993; Careta careta, Lefkossìa, 1993.

 

Maria THERISTÌ

È nata ad Ajos Serjos presso Ammòchostos, ora sotto occupazione turca, il 1968. Studi di Giurisprudenza e Giornalismo ad Atene. Attualmente esercita la professione forense a Lemessòs.

Opere poetiche: Appunti d’ufficio, Lemessòs. 1999; Un quarto d’ora prima, Atene, 2003.

 

Jorgos CHRISTODULÌDIS

È nato a Mosca il 1968 e si è laureato in Giornalismo all’Università Lomonossov di quella città. Attualmente è giornalista a Lefkossìa.

Opere poetiche: Ènia, Lefkossìa, 1996; Frantoio di sogno, Atene, 2001; Manuale del coltivatore, Atene, 2995; L’irrealizzabile, Atene, 2010.

 

Nena FILUSSI

Nata a Lemessòs il 1969. Studi in Pedagogia. Lavora nell’istruzione elementare a Cipro.

Opere poetiche: Flusso di memoria, Atene, 2002; Residuo di conto, Atene, 2008.

Prose: Se avessi domandato chi amo, Lefkossìa, 2009.

 

Maria KIRIÀKU

È nata a Cipro il 1970. Studi in Lingue Straniere in Grecia, Regno Unito, Francia e Russia. Attività di Interprete-traduttrice.

Opere poetiche: Armi tranquille e altre tre raccolte poetiche, Lefkossìa, 2009; La regina delle pere, Lefkossìa, 2011.

 

Kostas REÙSSIS

Pseudonimo di Kostas Papathanassìu, è nato ad Atene il 1970. Originario di Timvos, ora sotto occupazione turca, ha studiato Giurisprudenza all’Università di Atene.

Fotocopia e distribuisce liberamente le sue opere poetiche. Dal 2001 vive a Lefkossìa.

 

Linos IOANNIDIS

È nato a Lefkossìa il 1972, ma risiede ad Atene.

Opere poetiche: Balcone, Lefkossìa, 1993; Bianco, Lefkossìa, 1994; Descrizione di forma, Lefkossìa, 1998; Il tempo dell’inattesa ora, Lefkossìa, 2001; Voce scritta, Lefkossìa, 2006.

 

Kiros PAPAVASSILÌU

Nato a Lefkossìa il 1972, ha studiato Musica e Filosofia negli Stati Uniti. Attualmente vive ad Atene. Regista di cortometraggi.

Opere poetiche: L’opera, Atene, 2001.

 

Stefanos STAVRIDIS

È nato a Lefkossìa il 1972. Studi universitari e postuniversitari in Biblioteconomia e Scienze dell’Informazione negli USA. Lavora presso la Biblioteca dell’Università di Cipro.

Opere poetiche: Rapide patrie, Làrnaka, 1998; La realtà conica, Lefkossìa,2004.

Prose: Corrispondenze private, racconti, Làrnaka, 2000; La biblioteca di Ravel, racconti, Atene, 2008.

 

Panajotis NIKOLAÌDIS

È nato a Lefkossìa il 1974. È laureato in Botanica e Letteratura Neogreca all’Università di Cipro e in possesso di master in Letteratura Bizantina e Neoellenica al King’s College London.

Opere poetiche: Come giambo specchio, Atene, 2009.

 

Andreas JEORGALLIDIS

È nato a Lefkossìa il 1975. Studi di Pedagogia, Storia, Archeologia e Filosofia all’Universitò di Cipro e studi postuniversitari all’Università di Parigi-Panthéon-Sorbonne.

Opere poetiche: Semirette opposte, Lefkossìa, 1998; Vuoto ghiacciato a 516o C, Lefkossìa, 2001; Mari chiusi a chiave, Lefkossìa, 2003; Quando affonda il pianoforte, Lefkossìa, 2004; Colori a fronte, Lefkossìa, 2007, 20082.

 

Eleni KEFALA

È nata ad Atene il 1975. Lettrice di Letteratura Latinoamericana all’Università St Andrews in Scozia e insegnante di Letteratura Comparata all’Università di Cambridge.

Opere poetiche: Memoria e variazioni, Atene, 2007; Storie vaganti, Atene, 2010.

 

Christiana AVRAAMIDU

È nata ad Atene il 1978. Studi di Lingua e Letteratura inglese all’Università di Cipro e postuniversitari a Londra.

Opere poetiche: Funi e naufragi, Lefkossìa, 1999; Una ragione per amare la notte, Atene, 2002; Tutti i giorni neve, Atene, 2005; Ora sott’acqua, Atene, 2008.

 

Christina JEORGHÌU

È nata a Lefkossìa il 1980. ha studiato musica e musicologia a Londra. Svolge attività di critica musicale e composizione di musica per film.

Opere poetiche: Mentre affonda il mondo, Lefkossìa, 1998; Fuliggine, Lefkossìa, 2007.

 

Maria THOMÀ

È nata a Lefkossìa il 1980. Studi di Letteratura greca ad Atene e Teoria della Letteratura a Leicester. Attualmente è dipendente del Ministero dell’Educazione e Cultura a Lefkossìa.

Opere poetiche: Una storia per il cielo, Atene, 2001; Benvenuta a Micene, Atene, 2008.

 

Eftichìa PANAJÒTU

È nata a Lefkossìa nel 1980. Studi in Pedagogia, Filosofia e Psicologia all’Università di Atene e in Lettere neoelleniche al King’s College London. Vive ad Atene.

Opere poetiche: Grande giardiniere, Atene, 2007; Moralina nera, Atene, 2010.

 

Maria SIAKALLÌ

Nata a Lefkossìa il 1980, è laureata in Studi Turchi all’Università di Cipro con studi postuniversitari a Istanbul.

Sue poesie sono state pubblicate in riviste letterarie a Cipro e in Grecia. È prossima l’edizione della prima raccolta poetica.

 

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