CHECKPOINT POETRY
PLINIO PERILLI
 


L’AQUILA,

                          SORVOLANDOSI

 

                                                                       immota manet…

 

1 –

 

Perfino i duri merli di pietra lassù in alto,

di colpo si spostarono – la nostra nobile Storia

inclinata nella sua immensa, tagliente diagonale

fatta di secoli e montagne, castelli, anime e rupi:

sbilanciata, la geometria celeste che tiene in piedi

il peso astrale, e ci lievita affranta oltre lo sguardo…

Tutti in fuga da tutto! Le Famiglie dai letti, dagli

specchi o dai quadri degli umani cimeli, il Tempo

dalle sue ore, l’Amore dalle carezze, dal suo tepore.

 

2 –

 

Anche le pesantissime mura castellane, immobili

a ogni vento o spavento, s’accartocciarono, ruotando,

sussultando a notte come ebbre di un dolore subìto,

del terremoto che, per malasorte, umilia e uncina

ogni anima… Un’Aquila svegliata, unghiuta e ferma

sul suo stesso crepaccio, le grandi ali ferite che

soffrivano, impazzivano notte e sangue sin sopra

le nuvole, o a gocce rosse, nelle valli di sempre

pur ridenti a strapiombo, dove già i fiori sbocciavano

sull’orrido, liberando colori qual dono disciolto della neve…

Ore 3,32 del 6 aprile, nel ripetuto sempre d’ogni aprile!

 

3 –

 

Ora macerie ovunque, circondate e ammassate,

vorticose e innumeri – come i ricordi troppo tristi,

le schegge immense della Storia quando rovina,

esplode in dramma, brandelli nudi, intonaci di muro

che il dolore ha raccolto come veste infranta

ai suoi piedi giganti, sopra il suo corpo antico,

calcinato di roccia frantumata in grido, sussultata;

precìpite e sconnessa come esplode disumana

un’ira assoluta, planetaria – che, al solito, schiaccia

i più poveri, condanna l’innocenza… Un’Aquila

che scuote le sue ali perché le sente ferite: radici

umiliate di cielo che rinnegano il cielo, pioggia d’oscuro.

 

4 –

 

Seminare quei muri, seminare la morte in ogni nome,

radice che ricresce se più scava il suo amore…

Perdonanza e primavera, Pasqua che già s’annuncia

ma non dimentica la settimana e il tormento d’aceto

della sua Passione, la notte in cui anche Dio piangeva

sangue incredulo, stillava preci e dolore mentre

i suoi apostoli dormivano... E siamo tutti apostoli,

se dentro ci crediamo, addormentati in sogni di mistero.

Tutti in cerca di tutto!… Jolanda che sfamava i suoi cani,

all’adorata grondaia dei glicini… Francesco che parlando

li poetava, nel giardino verdissimo che implorava sguardi…

 

5 –

 

Li vedo ancora, i novantanove tuoi offesi castelli,

danneggiati e fulgidi, feriti a morte o ancora tutti

in piedi, gloriosi come titanici cavalieri in armi!

L’Aquila per cui si battono, esce dal suo stesso stemma,

svola di vento dal rito di bandiera e torna imperiosa

in alto, nell’alto che le spetta! Un’aquila non può fermarsi,

le grandi ali sgocciolavan sangue fin sopra alle nuvole

o nelle valli dove già i fiori rimavano i colori… Il 6 aprile

di quello – e d’ogni eterno Aprile! Terra ferita in cuore,

roccia infranta dal buio come se spada o rostro terribile

duellasse con la luce, in ali troppo grandi per richiudersi

indenni. Dio che lotta con Dio – lo mette a dura prova:

come già un Papa rifiutò il Papato e tornò alla preghiera.

 

6 –

 

Possa la Terra, ora, perdonare la Terra, e quell’Aquila

grande, magnifica di cielo, perdonare il Cielo, ogni nome

di nuvola, per ogni volto della vita tornata tronco vuoto,

maceria desolata, caro ramo spezzato… L’Aquila che incarnò

Giove  ma anche, con Giovanni, suggellò il Vangelo, sorvolò

altra storia, il medioevo, il barocco… E oggi quel cimitero

all’aperto di macerie, che poi nel cuore è giardino di spine,

fontana immensa, sorgente fresca, araldica di luce – 99 cannelle

cui a notte si dissetano gli angeli! E forse chiamano, cantano

Dio 309 volte, salmo coi nomi propri, dolenti dei suoi martiri:

Anime richiamate in cielo su immense ali – ferite d’azzurro.

 

7 –

 

Perdonanza di Primavera. Basilica che concede abbraccio.

E un’Aquila, in alto, trasvola simboli, Elia asceso e

profetico, Cristo risorto: l’Aquila più prossima al cielo!

Mi accosto sempre e ancora a quel portone, come

ad un rito antico che fa nuovi… Il miracolo è in noi –

questo vuol dirci – il seme è in te – 309 volte la radice

dei fiori, il nome ligneo del perdono… Ci perdoni la Storia,

il lutto, le angherie del Potere, l’ipocrisia di chi chiama

fratello l’altro e lo abbandona. Perdonanza è l’attesa,

il credo e il nome di quel Credo. È la luce là in alto,

travestita da nuvola o appollaiata di neve sulla roccia.

 

8 –

 

Neve che già si scioglie perché grandiosamente riapra

le sue ali antiche e semprenuove di Città Ferita, tarpata,

sepolta di macerie – ma almeno le resuscita, una ad una

le estrae come pulsanti, tramortite lettere dall’alfabeto:

parole d’anima del dizionario non scritto, parabola con cui

la luce – L’Aquila – sorvolandosi, oggi però ci mostra

i semi, i nomi dei tanti nidi e destini cespugliosi di fiori,

miracolo che può avvenire, a notte, solo quale alba d’Amore.

Tutti in cerca di tutto, per abbracciarlo ancora! Spero che

quei ragazzi che conobbi abbiano ormai lasciato, oltre alla

polvere, le tende amiche di tela azzurra, la “ludoteca” da campo

dove, a Paganica, con le matite coloravano i giorni, giocavano

a salvarsi: dai grandi e dai fantasmi, dal futuro anteriore…

 

 

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Note

 

*  Espliciti i riferimenti ai 99 castelli de L’Aquila, nonché alla celeberrima fontana delle 99 cannelle… La Perdonanza si svolge in realtà il 28 e 29 di agosto (nella splendida basilica romanica di S. Maria di Collemaggio) – ma qui è stata come “anticipata” idealmente dall’empito e dalla gioia di rinascita della S. Pasqua.

I morti del terremoto del 6 aprile 2009 furono 308, 309 in realtà considerando un bimbo nella pancia della mamma, giunta al nono mese di gravidanza…

“Un Papa rifiutò il Papato e tornò alla preghiera…”: ovviamente, Celestino V (Pietro da Morrone, papa per pochi mesi, nel 1294, prima del “gran rifiuto”)…

“L’Aquila… svola di vento dal rito di bandiera”: lo stemma della città de L’Aquila, come ben si sa, rappresenta la grande effige di un’aquila reale, col motto “immota manet”.

Francesco Rivera (poeta di vaglio) e sua moglie Jolanda, amici cari, avevano dovuto abbandonare la loro vecchia casa-castello rinascimentale di piazza San Sisto: ma ogni giorno tornavano a sfamare i cani e contemplare il giardino.

“La ludoteca da campo di Paganica”, luogo struggente dove almeno i bambini e i ragazzi si rinfrancavano – ed ebbi modo di andare anche a leggere delle poesie.

 

 

**  A Scanno mi è stato consegnato il premio speciale per la Poesia, per il mio poemetto L’Aquila, sorvolandosi, uscito sul “Messaggero” il 6 aprile 2011 e dedicato al secondo anniversario del tragico terremoto.

 




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