Fare default
amiamo
il
default
ora
che
la
gang bang
del
pluto
è
finita in rissa
ed
il big slang
indignato
sballa
come
una
lingua nuova
che
il bene comune
esulta
di rosso
piacere
tra
grigi silenzi
del
potere
balliamo
default
ora
che
lo
stupore
dell’orgasmo
stupisce
l’orgia
conforme
della
stupidità
tecnologica
civiltà
che
un sospiro
di
luna carne
tra
grevi ruttini
del
satrapere
gode
l’incantamento
della
conoscenza
pagate
default
ora
che
il
debito è solo vostro
e
la povertà nostra
ricchezza
che
l’angoscia
d’avere
v’infobìa dentro
le
foibe
del
feticcio
che la leggerezza
dell’essere
è sostenibile
come un’idea altra
di pianeta
scassiamo per default
sta bancarotta
dell’essere
ora che
il profitto è fritto
nell’odio di ricino
della maschera
in affitto
che la personalità
riflessa
della merce
si svende
alla borsa di narciso
pensiamo in default
declassati a unica
classe di precari
disobbedienti
a sto deliberare
con lo gnocco
in bocca e
la volontà di patonza
nella gnocca
ora che
l’esprit de femme
è in piazza
e il patè è finito
nella festa
cannibalica
della patata armata
urliamo default
contro quest’harem
di fallimenti
tanto non
succede niente
che non sia
già accaduto
chi si ferma
non è perduto
è solo sottratto
al mangime
del capitale scaduto
allo spreco obeso
del tempo offeso
facciamo insolvenza
per abbassare
sto sipario amaro
in dissolvenza
sta farsa del diritto
alla felicità
ora che
sta porcata di crisi
implora ancora
una crescita
inesorabile
dello sfruttamento
appeso
alle torri gemelle
ancora lì latenti
underground zero
made
in china
sorelle siamesi
capovolte
l’occidente d’oriente
default default default
è rabbia
di liberazione
dal mantra
tautologico
del teorema
illogico
che ancora allarma
di consumare
consumi consumati
per consumarci
ora che un cimitero
di morti di fame
ha i morsi
dei figli morti
da sfamare
che gli schiavi
della fama
hanno i rimorsi
dell’anima affannata
dei figli innati
da satollare
bummete
make
default
ora che i draghi
sono ribelli
ed i caimani
imbelli
e ricominciare
dal fragile
potere dell’umano
dai sei miliardi
di esclusi
dal novantanovepercento
di delusi
dai giochi belli
degli imperfetti
elusi
dal nostro alter ego
collettivo
l’indignato fiore
del Vesuvio
la ginestra
che non muore
***
La casa di Lampedusa
come s’accrocchiano
ste carni
di colori cafardi
ste babeli di caini
sti casini d’abele
belati di fiele
come s’acconciano sti sconci
cenci dell’inconscio senza troppe
ciance
sti sogni in bianco e negrogiallo
sta scacchiera d’arlecchinidi acidi
come s’incrociano ste razze di bastardi
dal pedigree che puzza sti olezzi di creoli
ste fichesecche
del deserto secche
st’ibridi da brividi sti meticci posticci
ste sgnacchere
rumene fottimariti
di mogli che non fottono più
sto safari di sari nella subburbia
del subsahara
subumano
come s’agglutina il verso celiaco
co sta stirpe che magna magna
tra malattia e dimenticanza
sta lengua
scavalleresca col mal de panza
de sta poesia mescafrancesca
sti cocchi freschi pelosi e anceschi
come si placcano sti rom iperattivi
apolidi presunti nomadi unti sinti finti
rifugiati in vacanza neristinti di stenti
sul filo atroce dell’asilo
camminanti
sti cacazzo
che non stanno mai quieti
sti corpi gonfi che s’annegano e
tornano a galla come merde acquose
come si fa il bagnetto nel sangue
d’aidiesse
de sti fetienti
nel mare di bare di barbari bari
un melting
pol pot genocidio di versi?
con una rima pura d’occidente che
fa così:
Lampedusa dolce promessa di musa
comprerò una casa chiusa (per
lutto)