di “Noi Rebeldìa 2010.1.1”
la lotta è assoluta, l’unità è soluta
anoressica in tempi di debolezza
o bellezza della contraddizione
sei femmina per la
comunità
un’ironia al monte della pietà
se l’insonnia fermi dove è negazione
e della negazione il rovescio è assente
è eccellente l’om che sé presume
d’aver ali al volo e alla
mignatta
ma matta sei tu anche amore mio
che di fellatio ed altro che non
dico
riempi le mie notti e la mia
mente
che nullo altro sente e ad altro
tende
al punto dove tutto coincide
la possa la fantàsia ed anche il
velle
che come sempre è question di
pelle
ma Luther mo’ saluta e corre a
nanna
auguri agli amici ed ai nemici,
quando felici?
eppure il diritto è onnipresente
ferreo come maschia affermazione
tirato a lucido per l’occasione
che fa l’uomo ladro o santo
senza minime differenze
Lord of Misrule, il “Signore del Caos”
chiusa la festa del carnevale al dì
all’ordine torna dell’infesta gogna
e se Beckett – non pezzente – “prova ancora,
fallisci ancora, fallisci meglio” les Robes-
de pierre, non c’è rivoluzione senza
punire gli oppressori è rivoluzione
e se innocenti o due volte colpevoli
la linea di condotta
è giustizia pronta
e il reale ha più forme che l’arte
ardente e fumante di pasta al dente
OC OC
OC OC OC
OC come sa di sal OC come sa di
sal
Lo pane altrù…i !! # OC # Con la fame sopra il
cuore # OC # la ragione s’inasprisce # OC # c’è poi il
sonno
che non
viene # OC # che trasforma
l’acqua in fiele # OC #
stracci
e panni lacci e pani # OC # stretti sotto le sottane #
OC # vuoi
vedere che l’inconscio # OC # è un colletto
collettivo
# OC # che ti
spinge dentro un fosso # OC # per
spolparti
in un abbrivo # OC # a te manca il senno e il seno #
OC # e sai
solo blaterare # OC # ma
i saperi sui sapori # OC
# non ci possono sfamare # OC #
ma noi, se non si sa, nel silenzio
la coerenza bisogna continuare
are arare e snuare i conti
finanziari
marciare il marcire della deterrenza
la rugiada del sudore, la guida dell’onore
e se il movimento non è tutto è pena
capitale, sine orrore la morte degli oppressori
virtù e terrore è per loro come per noi
la spada ficcata nella roccia di re Artù
(non canti spirituali, non canti
carnali)
la falsa parola in terra
germoglia
come cera di fronte al fuoco
della tv
nostra dimora che tutto comprende
Lo sai tu, noi lo sappiamo
il moto lieve che
divella impercettibile,
o il vomere
implacabile di rabbia
che taglia teste,
riporta in superficie
la compagnia malvagia e scempia
o la sommerge, per
poco, come onda
anomala con città e
metropoli. Non
ci sarà sismografo o
veggente
a prevenire, ma topi
in fuga, volti cerei
il canto del cigno schiuso dallo scrigno
è sempre un batter di ciglia, una farfalla
che sogna, un vento di ponente che depone
o non c’è rivoluzione senza rivoluzione
e la grettezza vince la gentilezza, la lama
il taglio del bagliore e il saldo delle ore
Per quanto si
dispieghi l’arco
non resta che volo di farfalla
(seppure immune da vispeterese)
vuoi sognante mariposa borgesiana
vuoi lampo giro di valzer salto
di pantano
mini-moto di rivoluzione (pur
sempre
risoluzione) meglio evoluzione
dribblando il taglio di teste per
feste
di quartiere con mortaretti
putipù
e Napule Napule Napule Na’
Movimento, sono le voci che ci parlano dentro,
e i volti, che con una luce violenta come un lampo
rompono il vuoto e spaccano il velo falso, e il muro finto.
Follie sei tu, dentro il chiasso
assordante del silenzio
Dentro il mio cuore, le tue lettere sibilanti,
cadono a volte come tizzoni ardenti
e a volte rosse sanguinanti come un melograno ferito.
Chi sei tu? Con l’occhio interno ti vedo muovere ma non ti
conosco,
sei nero, sei rosso, sei giallo o sei bianco?
sei donna, sei uomo, sei adulto o sei un bambino?
È, forse, “la vittoria vera
su tempo e gravità: passare
senza lasciare tracce, senza
proiettare ombra
sui muri...
Forse – con la rinuncia
prendere? Cancellarsi da ogni specchio?”[i]
No, non siamo
per la rinuncia ma per la scelta
della traccia da lasciare, passo
dopo passo,
perché è tempo di sapere da che
parte stare:
passando lasciare non solo tracce
ma solchi
aprire varchi nei muri, buttarli
giù tutti;
ribaltare lo specchio delle mie
brame,
trasformarlo nello specchio da
oltrepassare
o Marina Cvetaeva, del tuo
mare è l’orgia
il solido del Capitale che evapora leggerezza
il dono della funeranza che avanza e m’imbrina
come una forca che lava il lavorosporco
quello di Sherasade al fin della freschezza
Il disperato bisogno di vincere
ogni silenzio, ombra stanziale,
poco m’appartiene – io esisto –
Oltre la morsa dell’organizzazione,
d’ogni negazione, libero sguardi
e coltivo cognizioni d’amore
S’avvicina il giorno dei cambiamenti,
l’utopia affila coltelli alternativi
e la storia attende nuovi titoli
Uscire dalle porte e dalle
finestre
e richiuderle forte su se stesse
perché nessuno guardi
ciò che qui si è lasciato?
Che poi cosa vuoi che sia?
I piatti, l’insalata, le solite cose
Del proprio trascinare la vita quotidiana.
Piuttosto dire: noi, noi siamo quelli
Che abbiamo il sapore del dolore e dell’inganno
Noi siamo la razza dei leoni e degli agnelli,
che non sanno ancora vivere insieme.
la cosa è semplice: dei poeti
veri
nulla è da spiegare, per le
metafisiche
ti basta
confessarti complice,
(Sciaverio crocifisso
tra le trine,
la sora bene bene
fine fine
gli porta via la casa
e la pensione)
e dietro il muro la
rivoluzione,
non temo – bada –
sentirmelo dire:
aspetto amore ancora
prima di morire,
ma so pure bene
vivere da solo: lo vedi:
lascio andare i miei passi nel
silenzio
sospeso è ogni sentire
la luce mi attraversa
ho sigillato ogni specchio
tutti
meno i tuoi occhi
il patibolo funziona come un postribolo
sulle cime tempestose dell’orgasmo
grammo più grammo meno è uno stronzo
che muore (e si può dire) in
grazia dei
e negazione di negazione che più
non finge
o proletaria esecuzione di giustizia terrosa
al muro del pianto il carnevale dell’ordine
il navale, il campale, l’aereo della guerra
planetaria intriga il poeta dell’alterità
non accetto l’assoluto
di debolezza e dubbi vivo
finisce la gloria la festa è rivoluzione
utopia o solo sogno che sognavo allora
quando leggera era l’età e il corpo
cantava ancora perch’era suo destino
ballando non soltanto primavere
su musiche e dita mozartiane
una trappola un destino ancora inquieto
che si trasforma in tomba
l’esperienza insegna – non è mai troppo igienico falsificare la storia /
istituire confronti taroccati. Finalmente conclusa – almeno pare –
la saltellante Parata dell’Inutile tra sorrisi promesse impegni solenni e
forse
più di un’arrière pensée a
favore dell’Aquila e degli altri uccelli
dispersi / l’Ytaglia spensierata / montana e marina / aprutina e
viareggina /
torna al suo naturale stato di emergenza perenne / con tanti saluti
tanta voglia di vacanza dimenticanza teatro-danza santa arroganza
diseguaglianza finanza nebulosa adunanza mafiosa panza piena / di Spagna
o Franza / di tolleranza noncuranza sudditanza latitanza impunita
di ignoranza tracotanza stolta iattanza mattanza pressoché quotidiana
e con Montaigne / inseguimento e
caccia / noi “es gibt zeit” vel “es
gibt sein” todavÍa
we are winning
vogliamo wing ballare
e con i lupi locuste inumane azzannare
l’intruso, e questa non è l’ultima guerra
emerge dalla contingenza con mille mani
ed è subito tsunami senza sera e nani
come un cane che si rispetta e aspetta
o la Cina
non è vicina senza Usa e getta
e more disallontana il disamore dall’amore
il re che nelle ore fa amo con potere e sedere
la rivoluzione è l’arte
dell’impossibile
ma a noi manca il dirigibile
quello che ci permetterà di
volare
e di andare dove dobbiamo andare
come Totò e Peppino
che si perdono nel quartiere più popolare
di Berlino alla ricerca di una
soluzione
per poter vivere e non fingere di
essere la maschera di carattere
del piacere
diletto è disfarsi con le dita di Bach
delle ceneri
“senza turbare l’eco”
e il tempo come l’oceano, lavico
insinuare “senza
allarmare le onde...”
dove più il coltello apre la
ferita
perché, vedi, poeta compagna marina
il monologo claunesco della
rapina
è fatto di 3 miliardi di teschi a
conto
e la febbre dell’economia ubriaca
di profitto non molla l’afflitto
ancora
la poesia e l’utopia sono in
trappola
e tagliola per noi, Il Sud e il
pianeta
suicidati di Stato, stallone in
stallo
il cibo la salute il lavoro il
giorno la notte
il cielo le stelle i viaggi
spaziali e marini
il cazzo che si ammoscia sui
ciglioni
dopo tanto desiderio fra le tue
cosce
e angosce di donna, bagnati
marciscono!
Ma proprio
da questa marcescenza
malata da millenni di angosce
versate
a inondarmi le cosce, da
quest’ombelico
dove languiscono recintate le
nostre utopie
voglio vacillare in preda alla
rabbia
di chi corre lontano per non
fuggire
ma per fermarmi più in là
e nel teatro della storia
riconoscere la mia casa
in questo andarsene colpevoli di
disubbidienza
colpevoli di credere ancora
La poesia e l'utopia
intrappolate
a rischio d'estinzione – dicevi –
amico mio guardando in tv
nani e ballerine alla corte del sultano.
Può darsi, può darsi, ma noi – come Neruda –
siamo le donne e gli uomini del pane e del pesce
e non deporremo le uniche nostre armi:
i versi e gli sberleffi.
la poesia e l'utopia sono in trappola
che spappola longa la spola di stola
la speranza che stimola l'ora
s’immola in fresca gola (: è sempre moneta di mora)
e tagliola per noi, il Sud e il pianeta
non senti questa strana odience
innanzi
questa odorance rating di sweat shop?
si pagano il funerale con il
nostro suicidio
Fmi (fondazione dell’impiccagione
mondiale)
e Bm ( Banda per monnezza e
bordello ),
ma c’è una Waterloo per il Wto e
per strada
è il teatro della biodiversità,
action direct net-
work, un urlo alla luna e un
gioco d’azzardo
Urla Munchiane che scoperchiano
edifici heideggeriani
auspici speciosi,
pareti infrante dal niente comunicativo
e tu a frignare, bestemmiare, odiare e campare
scordandoti d’Essere..
In luogo di genuflessioni stolte
ammaliati dall’assenza di conflitti
del Pensiero Debole,
ci siamo trovati a pisciare contro vento
senza nemmeno il coraggio di tenere aperti gli occhi
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