di
Maria Teresa Ciammaruconi
E se l’Autore, prima di congedarsi,
avesse consegnato alle mani del lettore la chiave per entrare nel suo
labirinto? Se dietro l’ostentata semplicità del lessico si nascondesse un
misterioso gioco degli specchi dove il dentro/fuori si scambiano il ruolo con
il fine un po’ ingenuo un po’ perverso di smascherare il lettore supponente?
A questo fa pensare il trittico che
a pagina 88 chiude la raccolta: Poesia
alchemica, maneggiare con cautela.
Un tavolino a tre gambe dove i
primi dieci versi si dichiara in nota siano di altro poeta, altri dieci quasi
replicano i precedenti, se non fosse per un pericoloso slittamento dal tu all’io.
E finalmente la terza gamba, scritta a distanza di otto anni, solleva con tre
versi in più il piano dell’antica realtà, dove le certezze di un tempo
scivolano sotto la spinta della nuova consapevolezza.
Il tempo che passa opera sempre lo
stesso inquietante miracolo: i lineamenti, la struttura resta quella, solo un
po’ più vecchi. O, come dice la poeta a proposito della morte: Mentre
tutto torna come non è mai stato (p. 69). Ma ben venga questa vecchiaia se
gli odori si moltiplicano e crescono libertà e coraggio.
Nell’ultima poesia è la chiave,
forse. O così mi piace pensare. Poiché fin dai primi versi si avverte come un
sentimento del contrario, il contrario di quegli oggetti quotidiani che
costellano la vita di tutti e quindi del poeta che però nel guardarli li libera
dalla necessità contingente. Ginocchia scorticate, bicchieri afferrati con due
mani, fermate dell’autobus, stagioni che obbligano i vestiti, sciarpe o collant
dove si annida furtiva la seduzione. È il noto armamentario di una vita
“normale” , prevedibile allo scorrere di eventi programmati. Ma lo sguardo, lo
sguardo di chi vive soffrendo ogni gesto, soppesando le spinte contrarie, sceglie
tra infiniti dettagli quelli da sottrarre al flusso del caso e li nomina.
Ma nell’essere nominato da Mariella,
l’oggetto rubato ad una quotidianità necessaria non perde nulla della sua
fisicità, né diventa termine simbolico per un’ipotetica metafora. Nella
narrazione poetica la metropolitana, il pane, il fazzoletto / calpestato dal ladro (p. 48) si rigenerano e
diventano soggetto liturgico di un rito misterico. La coscienza inventa l’evento
da sottrarre alla banalità del divenire: piccole strategie di sopravvivenza
È troppo facile etichettare sotto
la rubrica di minimalismo una poesia come quella di Mariella De Santis costellata
di oggetti del quotidiano, il senso va cercato nelle incrinature, nel rimando
giocato sull’instabile equilibrio tra il dentro e il fuori, uno slittamento
pericoloso da vivere e da dire.
Non tragga in inganno questa poesia
che gioca con l’apparenza della semplicità o che spumeggia con l’esibizione a
volte quasi oscena di un sentimento feroce. Si copre subito dopo con un ironico
gioco linguistico, come quando ripete per quattro volte è andata così ( p. 48) e poi morde il cuscino, o chiama ars amandi acrobatica (p.45) la dolente
grammatica dei cuori clandestini
(seconda sezione) che inutilmente tentano di coniugare l’io e il noi .
Il segreto sta sempre nella qualità
dello sguardo che isola e ricompone.
In molte delle poesie della
raccolta si condensa in un verso nel finale, massimo un distico, il nucleo
germinativo al quale i primi versi conducono quasi con non curanza, l’incipit è
spesso scenografia accogliente che invita col sorriso ad entrare. Ma poi ecco
che lo specchio si spezza, capovolge le immagini e il cielo si fa terra e la
terra cielo. Inizia la conta delle assenze, la misura del vuoto, le occasioni
mancate: alla foto felice di noi è
rimasta / attaccata la nostra miglior vita (p. 51).
Le immagini si incatenano tra loro
nell’uso frequente e spiazzante dell’enjambement che spezza la prevedibilità del
ritmo; il verso si contrae quando il silenzio incalza (p. 54, p. 37), ma più
frequentemente si allarga nella parola che assolve e si adagia nel racconto, quello
fiabesco di Quello con gli stivali (p.
77) o quello pensoso di Elegia sulla
lapide (p. 73). Nel seguire non il vero, ma la verità di un percorso
accidentato e implacabile, Mariella De Santis tenta accordi nuovi, incurante
delle mode, ma sorvegliata nelle scelte. Ed eccola oscillare tra una musicalità
da madrigale e la perentorietà dell’epigramma per storie senza mai lieto fine (p. 80), o per salutarti sempre, te che sopra ogni altro amo / fingendo di ignorare
l’addio in agguato / in ogni nostro arrivederci (p. 59).
Le poesie raccolte appartengono a
epoche diverse, successivamente organizzate in quattro sezioni più una quinta
dove alcune di esse vengono riproposte nella traduzione in lingua inglese di
Anthony Robbins.
Il riordino in quattro sezioni ha
anch’esso valenze poetiche. Non si tratta di una distribuzione cronologica, ma –
nel tentare un ordine tematico – si concretizza la ricerca di quei nuclei
esistenziali da cui la molteplicità degli eventi ha avuto origine, è ricerca di
senso sotteso che dia degna collocazione anche a esperimenti quali AD ULTIMA ORA, frammenti (p. 65) o SALMO 45 (p. 83) o MEMORIALE IMMAGINALE per Armando Ilacqua (p. 85). Ed entra così a
far parte del mondo poetico di Mariella De Santis, se non la sperimentazione,
il tentativo spurio, il rischio di contaminarsi in situazioni linguistiche di
confine che mettano alla prova la vitalità ed eventualmente portino nuova linfa
ad un fare poetico nella sostanza riconducibile ai confini della poesia
lineare.
La proposta dei testi tradotti rafforza
l’intento già espresso nel titolo della
raccolta: la cordialità, ove per
cordialità si intenda il vivere in un “rapporto di cuore” che si alimenta di
territori sempre più ampi e il territorio linguistico è quello in cui cresce la
poesia.
In verità il merito di questa
iniziativa va anche allo spirito che connota le decisioni editoriali volte
sempre a varcare i confini tra i generi e ad alimentare la dimensione civile
della parola. Pertanto l’introduzione di una sia pur parziale traduzione va a
vantaggio di un’immediata più ampia fruibilità. Ad Anthony Robbins, traduttore,
il merito di rendere quanto meno approssimativo possibile il travaso di senso
senza rinunciare alle necessità ritmiche, direi sonore, di cui vive la poesia.
Vera guida alla lettura la
prefazione di Biagio Cepollaro in forma di epistola. Il critico e poeta si
inoltra nel corpo dei testi, sceglie senza tradire, accompagna nel viaggio con
rispetto, rinuncia alla propria visione delle cose e della poesia per aderire
ad un’esperienza umana e poetica di cui coglie i valori che più sente – dice –
ma che senza dubbio sono quelli fondanti di una Cordialità che si offre in
generoso abbandono.
Scarica in formato pdf
|