Un tempo erano il cuore delle comunità locali, oggi sopravvivono a fatica tra sagre e nostalgia
Una volta c’erano i fuochi, le bande, la processione e i panini con la porchetta. C’era la piazza piena e i bambini che aspettavano solo il momento dei palloncini o della ruota panoramica montata in fretta. Le feste di paese, da nord a sud, erano molto più che un appuntamento estivo: erano il punto di ritrovo dell’intera comunità, l’occasione per rivedere chi era andato via, per portare in strada il senso di appartenenza. Oggi quelle stesse feste arrancano, si spengono, vengono ridotte a eventi turistici o fiere gastronomiche. Manca il senso, spesso mancano anche i volontari. Rimane la nostalgia, certo, e qualche cartellone sbiadito che annuncia una serata di liscio o la pesca di beneficenza. Ma la struttura sociale che stava sotto, quella che univa generazioni e frazioni in un rito condiviso, si è assottigliata. E in molti paesi italiani non si fa più niente.
Sagre e bancarelle: quando la tradizione diventa solo consumo
Molti eventi che oggi chiamiamo feste di paese sono in realtà sagre commerciali, organizzate più per attrarre visitatori che per tenere viva la memoria collettiva. I fuochi d’artificio ci sono ancora, così come i banchi di dolci e i panini con la salamella, ma il legame con il territorio spesso si è spezzato. Manca il comitato parrocchiale, mancano le famiglie che per settimane si riunivano a preparare dolci, a cucire bandiere, a sistemare le sedie del teatrino in piazza. Al loro posto subentrano agenzie esterne, sponsor, impianti audio sparati a tutto volume e dj set senza nessuna connessione con la storia del luogo.

In alcuni casi la festa è ancora viva, ma ha cambiato pelle. Non c’è più la processione ma una corsa podistica. Non c’è più il ballo liscio ma una tribute band. Il rischio non è solo la perdita di un rito, ma anche lo svuotamento della funzione sociale che queste feste avevano. Chi era emigrato tornava per la festa del santo patrono, si ritrovavano amici di infanzia, si scattavano le foto con il gonfalone del quartiere. Oggi tutto questo avviene più raramente, e le nuove generazioni spesso nemmeno lo conoscono.
L’identità dei paesi passa anche dalla piazza: cosa succede quando si spegne
Quando una festa scompare, non è solo un giorno del calendario che salta. Si interrompe un filo, spesso sottile, che unisce passato e presente. Nei piccoli centri, dove già le scuole chiudono e le edicole spariscono, la perdita delle feste è come l’ultimo colpo. Non si vedono più le vecchie signore affacciate, né i bambini che fanno la fila per il gelato gratis. Gli artigiani non portano più i loro prodotti, e il palco resta vuoto. Alcuni comuni provano a salvare il salvabile con progetti culturali o iniziative per il turismo lento, ma quando si spegne la piazza, si spegne anche un pezzo dell’identità del luogo.
C’è chi dice che il mondo è cambiato e che queste feste non servono più. Ma chi le ha vissute sa che in quei giorni succedeva qualcosa di raro: si dimenticavano i litigi, si tornava bambini, si condivideva lo stesso spazio. Forse per salvare le feste di paese non servono grandi budget, ma la volontà di rimettere insieme le persone. Perché dietro una sagra o una banda, c’è sempre una comunità che cerca di ritrovarsi. E se quel tentativo sparisce, a poco a poco sparisce anche il paese.