I GELATI
Ma
d’ambrosia e di nettare gelato
anco
a i vostri palati almo conforto,
terrestri
deitadi, ecco sen viene;
e
cento Ganimedi, in vaga pompa
e
di vesti e di crin, lucide tazze
ne
recan taciturni; e con leggiadro
e
rispettoso inchin, tutte spiegando
dell’omero
virile e de’ bei fianchi
le
rare forme, lusingar son osi
de
le Cinzie terrene i guardi obliqui.
Mira,
o signor, che a la tua dama un d’essi
lene
s’accosta e con sommessa voce
e
mozzicando le parole alquanto,
onde
pur sempre al suo signor somigli,
a
lei di gel voluttuoso annuncia
copia
diversa. Ivi è raccolta in neve
la
fragola gentil che di lontano
pur
col soave odor tradì se stessa;
v’è
il salubre limon; v’è il molle latte;
v’è
con largo tesor culto fra noi
pomo
stranier che coronato usurpa
loco
a i pomi natii; v’è le due brune
odorose
bevande che pur dianzi,
di
scoppiato vulcan simili al corso,
fumanti,
ardenti, torbide, spumose,
inondavan
le tazze; ed or congeste
sono
in rigidi coni a fieder pronte
di
contraria dolcezza i sensi altrui.
Sorgi
tu dunque, e a la tua dama intendi
a
porger di tua man, scelto fra molti,
il
sapor più gradito. I suoi desiri
ella
scopre a te solo: e mal gradito
o
mal lodato almen giugne il diletto,
quando
al senso di lei per te non giunge.
Ma
pria togli di tasca intatto ancora
candidissimo
lin che sul bel grembo
di
lei scenda spiegato, onde di gelo
inavvertita
stilla i cari veli
e
le frange pompose in van minacci
di
macchia disperata. Umili cose
e
di picciol valore al cieco vulgo
queste
forse parran, che a te dimostro
con
sì nobili versi, e spargo ed orno
de’
vaghi fiori de lo stil ch’io colsi
ne’
recessi di Pindo; e che già mai
da
poetica man tocchi non furo.
Ma
di sì crasso error, di tanta notte
già
tu non hai l’eccelsa mente ingombra,
signor,
che vedi di quest’opre ordirsi
de’
tuoi pari la vita, e sorger quindi
la
gloria e lo splendor di tanti eroi
che
poi prosteso il cieco vulgo adora.
da Frammenti della “Notte”
Giuseppe
Parini
(1729-1799)
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