AMLETO
Ho portato il mio vecchio corpo rotto da malattie
che non danno più la pace dello Spirito fino al teatro
dove Amleto carezzava la sua imperatrice madre
cacciatrice di mode pur di evitare la servitù
dell'amore filiale o il coraggio di un incesto
per bene, quasi fosse la mia, di madre, tenera madre
dimenticata nelle sue nevrosi mattutine
di casalinga inquieta, nelle inquiete stanze
della verità amara di un tempo. Ero giovane,
ero ragazzo, ero libero, ero cascamorto giullare
di un invito al ristorante con la grande artista
melodiosa del verbo incarnato del Cristo.
Ora lo sento il tempo distante da me che vivo
fuori del tempo e nessuno mi ha in simpatia,
neppure quando grido che in Italia si può
essere, o ironia di una citazione!, solo
ideologici o arcadici. Sempre al servizio
di qualche re buffone, arlecchino dalle cento
piaghe. Diventare vecchi bacucchi significa
mangiare la foglia della schiavitù corrigenda,
della fulminea posta al direttore delle carceri
divine. Non c'è spazio per te, qui, Dario caro,
dittelo con tutta la fosca ottenebrata concessione
alla limitazione temporale degli editti di morte.
Qualcuno ti ha condannato a morte; e non è la carità
che spinge il tuo cuore a trasmettere il turpe messaggio
al cervello, né la paura solitaria della mano
sul membro in erezione continua,
ma la visione di Amleto, tuo simile,
spia terrena del Diavolo, traditore dei traditori
che s'infiamma nella ricerca della verità inesistente.
Eppure il suo pazzo consiglio nel dramma è identico
al tuo: "Di avercela tanto con i traditori,
avendo da sempre tutti, senza esclusione, tradito".
Dario Bellezza
(da Morte segreta, 1976)
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