Centenario Futurista (1909-2009)
brani da: UCCIDIAMO IL CHIARO DI LUNA!
[…] – 3
A notte piena, eravamo quasi in cielo, sull’altipiano
persiano, sublime altare del mondo, i cui gradini smisurati portano
popolose città. Allineati all’infinito lungo il Binario ansavamo su crogiuoli
di barite, di alluminio e di manganese, che a quando a quando spaventavano le
nuvole con la loro esplosione abbagliante; e ci sorvegliava, in cerchio, la
maestosa ronda dei leoni che, erette le code, sparse al vento le criniere, foravano
il cielo nero e profondo coi loro ruggiti tondi e bianchi.
Ma, a poco a poco, il lucente e caldo sorriso della luna
traboccò dalle nuvole squarciate. E, quando ella apparve infine, tutta grondante
dell’inebbriante latte delle acacie, i pazzi sentirono il loro cuore staccarsi
dal petto e salire verso la superficie della liquida notte.
Ad un tratto, un grido altissimo lacerò l’aria; un
rumore si propagò, tutti accorsero… Era un pazzo giovanissimo dagli occhi di
vergine, rimasto fulminato sul Binario.
Il suo cadavere fu subito sollevato. Egli teneva fra le
mani un fiore bianco e desioso, il cui pistillo s’agitava come una lingua di
donna. Alcuni vollero toccarlo, e fu male, poiché rapidamente, con la facilità
di un’aurora che si propaga sul mare, una verdura singhiozzante sorse per
prodigio dalla terra increspata di onde inattese.
Dal fluttuare azzurro delle praterie, emergevano
vaporose chiome d’innumerevoli nuotatrici, che schiudevano sospirando i petali
delle loro bocche e dei loro occhi umidi. Allora, nell’inebbriante diluvio dei
profumi, vedemmo crescere distesamente intorno a noi una favolosa foresta, i
cui fogliami arcuati sembravano spossati da una brezza troppo lenta. Vi ondeggiava
una tenerezza amara (...)
Un sonno soavissimo vinceva lentamente l’esercito dei
pazzi, che si misero a urlare dal terrore.
Irruenti, le belve si precipitarono a soccorrerli. Per
tre volte, stretti in gomitoli balzanti, e con assalti uncinati di rabbia
esplosiva, le tigri caricarono gl’invisibili fantasmi di cui ribolliva la
profondità di quella foresta di delizie…
Finalmente fu aperto un varco: enorme convulsione di
fogliami feriti, i cui lunghi gemiti svegliarono i lontani echi loquaci
appiattati nella montagna. Ma mentre ci accanivamo, tutti, a liberar le nostre
gambe e le nostre braccia dalle ultime liane affettuose, sentimmo a un tratto la Luna carnale, la Luna dalle belle coscie calde,
abbandonarsi languidamente sulle nostre schiene affrante.
Si udì gridare nella solitudine aerea degli altipiani:
- Uccidiamo il chiaro di luna!
Alcuni accorsero alle cascate vicine; gigantesche
ruote furono inalzate, e le turbine trasformarono la velocità delle acque in
magnetici spasimi che s’arrampicarono a dei fili, su per alti pali, fino a dei
globi luminosi e ronzanti.
Fu cosí che trecento lune elettriche cancellarono coi
loro raggi di gesso abbagliante l’antica regina verde degli amori (…)
Filippo Tommaso Marinetti
(aprile 1909)
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