Versi sulla storia nell’autunno
È disastroso
riflettere sul disastro.
È perso il
colmo, che ci appariva;
qui
rimangono
gli ossi del
rompicapo cinese.
La bussola è
vaga sul mare di battaglia.
È perso,
frammenti dell’insieme,
rottami ondulatamente sfatti ognuno
sono i
gruppi di lotta.
C’è il
disequilibrio stabile, bene.
Io torno al
lavoro mentale e puro:
centomila,
ogni scritto in varie cartelle;
su
piedistallo all’ingresso colloco
curando l’ambiente,
una statua degna...
O salario
dell’improduttivo lavoro, o lavoro
con
svuotamento del tutto! o specchio
non della
felicità, né del fuoco!
Da
rovesciare era il torso del mondo...
Quali cifre
occorrono a finanziarsi o investirsi
o per sognare
l’assalto,
e quali
forze! mentre i vecchi dormono,
i nati si
sono dispersi,
con ritorno
e vitello; o senza ritorno,
in una
gabbia d’uccelli.
Concretamente
in città, uno per uno
si va in
fila camminando dietro
alcuni
simboli che non si vedono in cima...
Finché si
avanzerà, realmente,
nell’arte e
nell’impiego dell’umanità, è questo
a cui ci
siamo ridotti
‒ poemetto
o racconto o periodico ‒
un
monumentale residuo, sbocconcellato
a pezzi, del
gigante ribelle,
che ispira
frasi tali... un residuo
dell’integrità
dimenticata!
Altro manca.
E levigato e
bruto
è il cascame
immortale, l’arte, il pensiero.
Intanto si
prefigge il cranio
scopi da
svolgere altrove:
ovunque, con
guasto,
fuori d’incanto.
Uniamoci,
armiamoci ma globalmente...
Consideriamo
quanti siamo,
se una minoranza
oppure un resto,
e decidiamo
il minimo, almeno, comunque...
Duriamo, se
ci riesce, quali ieri,
nell’interruzione
della via o del passaggio,
con
negazione ancora dell’imbroglio e dell’esistente ‒
spettacolare
marcio.
Francesco Leonetti
(da In
uno scacco – nel settantotto,
Einaudi ,1979)
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