di Alessandra Fagioli
Dopo
aver volato sul vicolo di casa, Margherita capitò in un altro vicolo,
perpendicolare al suo, un vicolo lungo e tortuoso, tutto sbrecciato e
rabberciato, con la porta sbilenca dello spaccio del petrolio. Lo attraversò in
un baleno. (…) Il terzo vicolo portava dritto all’Arbàt.
(…) Prese a tuffarsi tra i cavi elettrici. Sotto di lei passavano tetti di
filobus, di autobus, di automobili, e sui marciapiedi, così le pareva
dall’alto, scorrevano fiumi di berretti, dai quali uscivano ruscelli, subito
inghiottiti dalle fauci illuminate dei negozi notturni. Attraversò l’Arbàt, salì un po’ più in alto, verso i terzi piani, e
passando davanti alle insegne al neon di un teatro all’angolo, si ingolfò in
uno stretto vicolo fiancheggiato da alte case.
Michail Bulgakov, Il maestro e Margherita
Mosca. Cremlino. Piazza
delle cattedrali
Mia
cara Shura,
ora
che sono qui, nulla ha più senso. La guerra civile, l’offensiva governativa, le
sanzioni economiche, l’espulsione dei ribelli… sono solo incubi lontani spazzati
via in un soffio dall’abbacinante splendore di questa piazza. Pensavo che per
sottrarsi alla rappresaglia di un Paese che aveva rovesciato il proprio governo
occorresse fuggire altrove, disperdendosi nelle campagne, nascondendosi nei
boschi, lontano da tracce di civiltà e di potere… invece proprio nel cuore
della grande Russia ho ritrovato me stesso, in questo spiazzo solenne dove
troneggiano tre cattedrali, due chiese e un affusolato campanile a ostentare le
proprie croci sulle cupole dorate, un vero trionfo dell’ortodossia che
annichilisce ogni tormento.
Come
un apolide ho girato errabondo in tutte queste chiese, dall’Annuciazione
all’Arcangelo Michele, dall’Assunzione ai Dodici Apostoli, incantandomi davanti
ai sanguigni affreschi delle colonne, alle scintillanti decorazioni delle
cappelle, soffermandomi sulle tombe di principi e patriarchi e restando
impietrito al cospetto di imponenti iconostasi… come a cercare in quella teoria
di figure una sorta di indennizzo per quello che avevo perduto nel fuggire dal
mio Paese. O meglio nell’esser cacciato, visto che di fatto sono un profugo, non
un fuggitivo. Perché essere ribelli non significa essere eversivi, anzi,
significa tutelare la propria autonomia da qualsiasi ingerenza e riconoscersi
assai più nella grande madre Russia che non in una miserabile Europa.
So
bene come la pensi ma per me è così, viva la Federazione russa che se la mangia
intera la Comunità europea! Cosa abbiamo a che spartire con questa accozzaglia
di paesucoli che si sono sempre scannati tra loro e ora
si sono anche messi in testa di colonizzare l’Oriente? Dobbiamo piuttosto
difendere le nostre origini, le nostre radici, che appartengono a tutta
un’altra storia, di grandi glorie e tradizioni! Per questo sono orgoglioso di
essere un separatista filorusso. Mi sono battuto sul mio territorio contro
l’infame colpo di stato che voleva mandarci in pasto agli occidentali! E i
russi sono venuti subito in nostro soccorso riprendendosi giustamente la Crimea.
Per questo sono orgoglioso di essermi rifugiato proprio nella loro Capitale.
Ora
devo soltanto riuscire a trovare la forza di liberarmi dall’ipnosi di questa
piazza, uscire dal Cremlino e appropriarmi di una città che tanto assomiglia a quel
gioiello fiabesco che è la cattedrale di San Basilio. Perché Mosca è imprevedibile
e sfolgorante come quell’incastro di cupole a onde, a rombi, a spirali, dai
colori sgargianti e dai tasselli bugnati, che tuttavia nasconde al suo interno
il suo maggiore tesoro. Perché come in quel labirinto di santuari incastonati
l’uno nell’altro si scoprono angoli arcani, nicchie remote, colme di rarità e
di dettagli, che irretiscono chiunque in un dedalo di cripte e di volte, così
in questa città si nascondono tra le sue pieghe simili epifanie, tra le quali
ora voglio perdermi proprio nell’intento di ritrovare me stesso.
Non
so dove mi porterà ma questa è la mia strada. Mi lascerò condurre dalla mia
anima di artista, sempre alla ricerca del bello in tutte le cose. In un Paese
in guerra non c’è spazio per la creatività, spero di ritrovarla almeno in
questa terra di pace. Mi auguro che anche tu possa trovare una via, quale che
sia, e riscoprire quella serenità che ormai credo tu abbia perso da tempo.
San Pietroburgo. Museo
dell’Hermitage. Galleria delle sculture
Mio
povero Tolik,
davvero non riesco più a riconoscerti. Quanto tempo è passato
dai nostri antichi anni di collegio! Allora eravamo davvero affiatati, ricordi?
Non c’era cosa che non riuscissimo a fare insieme, collettivi, dibattiti,
autogestioni, sempre sulla breccia della protesta e dell’impegno… vai a sapere
che poi ci saremmo trovati così distanti… Guerra civile? Colpo di stato? Ma ti
rendi conto di quello che dici? Il vero atto di forza l’hanno fatto i tuoi
amici russi quando hanno invaso il Paese perché ormai voi ribelli stavate
perdendo terreno, come se non fosse bastato annettere la Crimea! Il popolo
ucraino è insorto contro le misure antieuropeiste del governo e ha fatto bene a
rovesciarlo, altro che finire nella grinfie di Putin e ritrovarsi sotto il
regime russo!
Voi
separatisti pensate di essere le vittime di uno governo repressivo, quando invece
siete stati i carnefici di un popolo che puntava alla sua integrazione! Avete
alimentato spinte secessioniste, quando occorreva tenere unito il Paese, avete
occupato territori con la forza, quando occorreva fronteggiare le ingerenze, avete
rinnegato persino la vostra appartenenza pur di scongiurare un’associazione con
l’Europa! Come se la Russia vi desse invece tutta questa grande autonomia!
Quando ti ricordo che solo poco più in là della tua favolosa cattedrale di San
Basilio sorge quella mostruosità che è la Lubjanka,
regno delle grandi purghe e del terrore stalinista, in cui sono state torturate
e uccise centinaia di migliaia di persone, per non parlare di quelle deportate
in Siberia.
No,
te la lascio tutta la tua Capitale, anch’io ho abbandonato il Paese, ormai
perseguitata dalla polizia, ma per fuggire più a nord, e non certo per essere
accolta ma per destabilizzare un ordine capace di essere solo oppressivo, ormai
anacronistico nelle sue pretese di controllo e possesso, che occorre fronteggiare
con tutte le forze per far valere i propri diritti! Così ora ti rispondo dalla
città più europea della Russia, quella che forse meno la rappresenta ma che ne
costituisce senz’altro uno dei suoi più alti prestigi. D’altra parte a Mosca ci
sono già le mie amiche Pussy Riot che fanno il
diavolo a quattro, c’era bisogno piuttosto di smuovere le acque a San
Pietroburgo, fin troppo altera e defilata nella sua vanità artistica da essere
un’ottima base per l’attivismo di Femen.
Così
ora mi ritrovo nel cuore del Palazzo d’Inverno, non tanto per ammirare le
bellezze delle sue collezioni, quanto per immaginare cosa doveva essere stato il
suo assalto nell’ottobre del ’17, al culmine della rivoluzione, quando fino a
poco tempo prima, in questi regali saloni i membri della nobiltà russa
ballavano e bevevano ignari che presto sarebbero morti tutti. Cosa avrei dato
per essere tra gli assalitori, loro sì che vibravano di ideali! Invece ora mi
confondo tra centinaia di turisti che pascolano dentro gallerie labirintiche al
cospetto di troni e dipinti, arazzi e gioielli, di tutte le epoche e le
nazioni, da cui davvero si è sopraffatti, lo ammetto, se non altro per
l’infinita ricchezza di quello che si concentra qua dentro, impossibile persino
da immaginare.
Ma
il mio angolo preferito l’ho trovato proprio in questa stretta galleria di
sculture, in cui devi fare uno slalom tra marmi lucenti per ammirare la
sinuosità delle curve e la precisione delle fattezze. È davvero un concerto di
forme così perfette da volerle palpare, quasi a violare un’intimità troppo
misteriosa per poterla solo guardare. Ed è inutile dirti che per me le parti
più belle di questi corpi impossibili sono proprio i seni di vestali e di
grazie, così sensuali da poter ottenere qualsiasi riscatto. Se solo noi attiviste
li avessimo sapremmo come valorizzarli per le nostre battaglie, anziché
mammelle smunte o acerbi boccioli toniche rotondità intorno cui ricamare urla
di protesta, incitazioni di rivolta, tanto violente quanto impudenti appaiono
queste poppe marmoree.
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Manifestazione antigovernativa e filorussa in Ucraina
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Mosca. Metropolitana.
Linea ad anello
Già la Lubjanka. La si mette sempre in mezzo quando si deve
evocare l’orrore. Ormai non è più un luogo ma una metafora, come Auschwitz. Prigionia,
tortura, esecuzioni, deportazione, nei suoi sotterranei è stata perpetrata ogni
forma di efferatezza, un marchio che non si toglierà più di dosso anche se la
dovessero convertire in un luogo sacro.
Ma
in questa città non esistono solo i sotterranei che ricordano la barbarie,
esistono anche quelli che celebrano i fasti della rivoluzione, le glorie dell’armata
rossa, la grandezza dell’aeronautica sovietica, insieme a tante scene storiche colme
di pathos e a momenti quotidiani della vita dei bielorussi. Li chiamano i
“palazzi del popolo” e sono dei giganteschi musei geologici con pavimenti in
granito screziato, colonne in marmo purissimo e pareti in porfido granulare. Muovendoti
all’interno non fai che scoprire cappelle decorate da mosaici finissimi, volte
ornate da affreschi imponenti e gallerie illuminate da vetrate cromatiche. È un
tripudio di luce, forme, colori che intonano sempre stili diversi, dal barocco
al neoclassicismo, dal liberty al realismo socialista. E tutto questo non lo
trovi andando in giro per monumenti o musei, piazze o cattedrali, ma entrando
in edifici che assomigliano a templi greci o a ville palladiane, scendendo per
decine e decine di metri lungo scale mobili a perdita d’occhio e prendendo
treni sfreccianti che ti lanciano da una parte all’altra della città.
E
ti assicuro, Shura, che puoi capire meglio la
grandezza di questo Paese muovendoti sottoterra che non alla luce del sole,
lungo questi percorsi incrociati a raggiera e soprattutto lungo la linea ad
anello che possiede forse le stazioni più struggenti dell’intero circuito e
interseca ogni linea due volte in opposte direzioni. Solo l’ingegno russo
avrebbe potuto creare qualcosa del genere, un percorso circolare che gira
all’infinito e da cui puoi cambiare direzione più volte per convergere verso
tanti centri oppure diramarti verso lontanissime periferie, nelle quali per
altro ho scoperto stazioni ancora più stupefacenti di quelle storiche. Perché
se nelle fermate più antiche si può restare incantati di fronte a capitelli
corinzi, lampadari neoclassici, arcate romaniche e decorazioni art nouveau, in quelle più moderne sembra di essere finiti in
un mondo di fantascienza. Il marmo lascia il posto all’alluminio e il granito
al metallo, i mosaici si trasformano in scacchiere e gli affreschi in
reticolati, le gallerie assomigliano a navi spaziali e la luce si sprigiona da
pannelli a vela cromatici o da tortuose sequenze di oblò.
Eppure
è sempre la stessa città, con tutti i suoi eccessi e i suoi contrasti, estrema
e irrisolta, che tuttavia continua a stupire persino per quello che è riuscita
a fare nel ventre della terra. Questa è anche la Russia, non solo regime e
violenza. E comunque ci appartiene come arte e cultura assai più dell’Europa.
Per non parlare della sua lingua che nel nostro Paese è stata abolita senza nemmeno
pensare che i più grandi scrittori russi del Novecento sono ucraini e hanno
scritto i loro capolavori proprio in russo. Tanto che le future generazioni
ucraine non potranno leggere i propri connazionali in lingua originale, come
Bulgakov, Babel’, Grossman…
e questa ti sembra una dimostrazione di libertà? Al contrario è una forma
sterile, ottusa, militaresca di amministrare un Paese, intenta solo a rafforzarne
l’identità separata da ogni contesto storico, una manovra suicida che non porta
da nessuna parte, se non a un isolamento ancora più cupo con cui non voglio
avere più nulla a che fare.
San Pietroburgo. Navigazione
sui canali e il fiume Neva
Separazione? Isolamento?
Ti ricordo che il nostro presidente è fuggito perché il popolo si è rivoltato
contro il mancato accordo di libero scambio con l’Europa e centinaia di
manifestanti sono stati massacrati in piazza a Kiev, mentre tu giocavi alla
guerra nelle zone orientali! Noi ci siamo ribellati proprio alla corruzione di
quel governo filorusso che piuttosto di venire a patti con l’Unione europea ha
incassato i soldi sporchi di Putin, con cui si sono arricchiti solo i potenti
gettando gli ucraini ancora di più nella miseria! Bel servizio al Paese, non ti
pare? Tanto poi ci pensano le donne che emigrano a mandare le commesse in
patria, peccato solo che lo debbano fare attraverso lavori massacranti o peggio
ancora prostituendosi, quando non addirittura vendendosi a casa propria grazie
al turismo sessuale! E poi arrestano noi Femen che ci
denudiamo il petto per protestare contro il sessismo e lo sfruttamento delle
donne. Meglio allora sparare, come fanno i cecchini, che nel nostro Paese sono
più rispettati di chiunque altro voglia far valere i propri diritti!
Ma
io al posto delle pallottole ho le mie tette e con quelle voglio sfondare anche
qui. Almeno in questa città si respira un’altra aria, più internazionale, più cosmopolitica,
la si avverte anche solo girando nelle strade e soprattutto navigando sui
canali. Perché anziché andarmene sottoterra come te in caccia dell’orgoglio
sovietico e delle mitologie comuniste preferisco navigare a cielo aperto,
beandomi davanti a una gamma coloratissima di facciate signorili che seguono le
curve sinuose dei canali, sui quali svettano le cupole dorate delle cattedrali
e i grifoni alati dei ponti, tanto da illudermi di non essere più in Russia ma
ad Amsterdam o a Venezia! È davvero uno spettacolo, Tolik,
dovresti esserci per capire che emozioni può dare, ogni svolta è un’epifania,
si aprono improvvise prospettive che tolgono il fiato e non si riesce ad
abbracciare con lo sguardo tutto quello che appare, un castello di qua, un
parco di là, un teatro più giù, una chiesa di fronte, e alla fine di ogni giro
mi sono rintanata nel bagno e sono già tre volte che lo rifaccio, non riesco
più a scendere!
Ma
il trauma più grande è quando sfoci sulla Neva, che sembra un mare per quanto è
sconfinata. Lì ti accorgi che non stai in una città su un fiume, ma in un
arcipelago di grandi isole di cui percepisci solo alcuni piccoli tratti, l’uno
incastrato nell’altro a contrapporre in scala più grande le magnificenze incontrate
lungo i canali. Così il cuneo di un’isola affollato da tanti musei si protende
verso i bastioni della fortezza che occupa un’altra piccola isola, affacciata a
sua volta al cospetto della sterminata sequenza dell’Hermitage.
Una triangolazione diabolica tra palazzi settecenteschi, cittadelle
fortificate, accademie di arte e di scienza, case museali. Solo che in mezzo a
tant’acqua non ci si sente sopraffatti dall’architettura che incombe sui canali,
ma dalla vastità che distanzia i richiami prospettici e accoglie i venti forti
dell’ovest, portatori di quel senso di libertà che spira dal Baltico e arriva
dritto nel cuore della città.
Ma
nessuno sembra farci caso. Tutti i croceristi si illudono di catturare immagini
immortali attraverso futili scatti senza nemmeno rendersi conto di essere
poveri naufraghi in balia del vento della storia. Allora mi verrebbe proprio da
denudarmi, non per provocare la gente, ma per raggiungere subito a nuoto quella
terra libertà!
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Un gruppo di Femen ucraine
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Mosca. Ponte dei
Patriarchi. Cattedrale di Cristo Redentore
Gesù, Shura, ti sapevo libertaria, ma non così idealista! Quando
vuoi sai diventare persino lirica e tutta la tua rabbia svanisce nello slancio dell’ideale!
Così mi piacevi quando eri più giovane e sbavavo dietro quelle tue sode mammelle
prima che aggrinzissero per il troppo freddo che gli hai fatto prendere! Eri
davvero uno schianto e io sono sempre stato pazzo di te. Finché ho realizzato
che eri tu la pazza, ma non di me, piuttosto di un’idea di libertà che ti ha
sempre posseduto come un’ossessa. Forse ora, circondata da un nuovo scenario, potrai
finalmente scoprire altre realtà distanti dalle nostre miserie, un mondo senz’altro
più evoluto e civile che rispetta i diritti umani e soprattutto valorizza le
proprie bellezze.
Peccato
però che San Pietroburgo sia una città finta. Tutta costruita all’inizio del
Settecento secondo parametri classicisti che dovevano rispecchiare idealmente
la munificenza dell’impero zarista. Un’immensa dimora regale fatta solo di
lussi e di sfarzo interamente pianificata a tavolino, dai palazzi alle
cattedrali, dai parchi alle prospettive. Sembra di stare in un sogno perché tutto
è artificiale, non c’è stratificazione, non c’è storia, solo un’enorme città
museo in cui ogni edificio è un’opera d’arte e ogni scorcio una scena teatrale.
Qui invece come ti giri sprofondi nella storia,
dal medioevo in poi è tutto un intersecarsi di stili e di forme da non riuscire
più a distinguere gli innesti dalle contaminazioni. Una distesa sterminata di soluzioni
architettoniche che nemmeno dalla Collina dei Passeri riesci ad abbracciare
tutta in un solo sguardo, una grande sinfonia metropolitana che concerta il
classicismo barocco col realismo socialista, il costruttivismo russo col gotico
stalinista. Solo qui ti accorgi di essere in una città vera che pulsa vitalità
e sprigiona grandezza!
Quanto
all’acqua poi c’è la tortuosissima Moscova che si insinua in ampie volute nella
fitta densità degli abitati, tanto da influenzare l’impianto cittadino con la
sua stessa forma. Quando poi compie un’ampia arcata nel cuore della città e si
sdoppia in un canale parallelo le prospettive percepite dai ponti si
moltiplicano, tante sono le visioni che si squadernano davanti, lasciandoti in
preda a un gorgo di vertigini e tremori. Ma dovresti essere qui accanto a me per
capire, mentre percorro il ponte dei Patriarchi, l’unico interamente pedonale
che porta diritto all’immensa cattedrale di Cristo Redentore, dove le tue
amiche Pussy Riot hanno inscenato una preghiera punk
alla Vergine Maria perché mandasse via Putin, ne sarai stata senz’altro
orgogliosa!
Seppure
una chiesa così somma non andava certo profanata, nemmeno se si avevano ottime
ragioni per farlo, la sua storia è davvero leggendaria. Pensa che eretta a metà
dell’Ottocento come memoriale della vittoria russa su Napoleone, dopo la
rivoluzione Stalin la fa saltare in aria per costruirvi il Palazzo dei Soviet,
un’avveniristica struttura che doveva sostenere un’immensa statua di Lenin, ma
vengono meno i fondi, si allaga l’area e scoppia la guerra, i lavori si fermano
e nel buco allagato delle fondamenta Krusciov fa costruire la più grande piscina
aperta del mondo. Solo dopo la caduta del regime sovietico viene concesso di
ricostruire una perfetta replica della cattedrale originale, grazie anche ai
fondi di molti cittadini comuni che stanchi di nuotare a cielo aperto e
contenti di non dover abbattere altre statue volevano tornare a pregare finalmente
il proprio Cristo. Basterebbe allora questa storia per tenere fuori da un tale
luogo le proprie battaglie politiche!
San Pietroburgo. Chiesa
del Salvatore sul Sangue Versato
Quanto sei retorico,
Tolik, con le tue tirate moraliste. Ma dov’è finito
quell’idealista scapestrato che mi aveva fatto perdere la testa con i suoi
slanci creativi? Perché se tu sbavavi appresso alle mie tette io mi arrapavo invece
per le tue intuizioni originali! Vai a sapere che poi saresti diventato tanto
filorusso da vedere in Mosca solo gli aspetti eccellenti e non quelli deleteri!
Quando in quella città hanno patito di tutto, la fame, la povertà, la violenza,
il terrore, ed è stata molto più dura per i moscoviti affrancarsi dal regime
stalinista che non per qualsiasi altro Paese del blocco sovietico. Ma per
carità, tu sei un’anima bella, che si bea di architetture e paesaggi, e non
comprende come certi inviolabili luoghi possano essere profanati da amene proteste
civili!
Eppure
hai sparato anche tu nel mucchio e dovresti sapere che se non si colpiscono
certi luoghi per far valere i propri diritti non si otterranno mai risultati e
si sarà sempre schiavi del potere! E per farlo bisogna avere anche il coraggio di
mostrarsi a viso aperto e a petto nudo come facciamo noi Femen
e non incappucciate da balaclava colorati per
mantenere l’anonimato come fanno le Pussy Riot! Ma
loro sono artiste e improvvisano soprattutto performance di protesta attraverso
la musica rock, mentre noi siamo un movimento che aspira a estendere la propria
lotta in tutto il mondo. E lo abbiamo già fatto in tante città, solo che ci
dobbiamo organizzare meglio, in modo più organico e capillare, a partire
proprio da quei Paesi più avversi alle nostre battaglie.
Seppure
ormai mi sono persuasa che non sempre occorre trovare luoghi emblematici per
farsi valere, come ampie piazze, grandi cattedrali, bastano anche luoghi
piccoli, raccolti, purché significativi, in cui improvvisare dimostrazioni meno
eclatanti ma magari più incisive, proprio perché sei più a contatto con la
gente e non ti disperdi nell’anonima folla. Come in questo gioiello di chiesa
confinata lungo uno stretto canale, per esempio. Altro che le cattedrali di
Sant’Isacco o di Nostra Signora di Kazan, mastodontici edifici neoclassici
ormai diventati musei d’arte sacra assai più che intimi luoghi di culto.
Piuttosto una chiesa in stile russo medievale tutta ricoperta di mosaici
variopinti e affrescata da scene bibliche su pareti, cappelle, colonne, arcate,
tanto da stordire i sensi per l’intensità dei colori e la densità delle figure!
Davvero ti senti sopraffatto da così poco spazio, tutto ti piomba addosso e ti
costringe a guardare ovunque, come fossi irretito da un sortilegio da cui non sai più come sottrarti.
Quando
sono entrata nelle altre cattedrali mi sentivo persa, non sapevo dove andare né
cosa guardare,
qui invece ci si sente dominati da una sacralità che si respira nell’aria e si
tocca quasi con mano. Per questo basterebbe anche un piccolo gesto per farsi
notare, anche una sola parola per creare disordine, ma poi guardo la gente
intorno e mi specchio nella sua incredulità, come fossimo tutti posseduti da
una forza oscura che disarma ogni intenzione. Sarà forse per la matrice funebre
di questo luogo, sorto sul sangue versato dello zar Alessandro II ucciso in un
doppio attentato dinamitardo, dopo che più volte avevano cercato di farlo fuori
a suon di bombe. A quanto pare anche nell’Ottocento c’era il terrorismo e gli
imperatori talvolta riuscivano a salvarsi senza nemmeno l’aiuto dei servizi
segreti, solo per una questione di fatalità. Inoltre pure questa chiesa si è
salvata grazie alla guerra, perché è scoppiata prima che la demolissero, così
dopo essere stata un magazzino di verdure e un obitorio bellico è arrivata fino
a noi.
Vedi
che scherzi della natura a volte sono certi eventi, un conflitto salva le
chiese, un attentato le fa costruire, un assedio le riduce in obitori, insomma
come la metti le chiese la fanno sempre franca, per poi diventare però luoghi
di potere dove si esercita demagogia e repressione. Così a noi, novelle
vampire, non resta che abbattere croci…
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Il Museo Puškin a Mosca
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Mosca. Museo Puškin delle Belle Arti
Già, proprio così,
forse è quello che vi viene meglio, visto che poi riuscite sempre a scamparla…
solo che segando le croci non si risolve un bel niente e nemmeno profanando
altri simboli sacri come adorate fare… le vostre manifestazioni lasciano il
tempo che trovano e vengono subito sedate, ci vuole ben altro per cambiare le
cose che delle scritte blasfeme su seni nudi!
Ma
tant’è, ognuno ha i suoi modi per combattere, sempre che questo abbia un senso.
Da parte mia ormai ho deciso di deporre le armi, per me non ha più alcun valore
difendere un territorio o affermare un’ideologia, ciò che conta è l’identità di
ciascuno che in fin di conti si può raggiungere in tanti modi. E il mio è
quello di trovare una forma. Una forma per vivere, per intuire, per creare.
Dopo aver imbracciato il fucile ed essere stato in trincea ho capito che
l’unico strumento degno per lasciare un segno è in realtà solo il pennello o lo
scalpello. Non c’è traccia più valida da imprimere che non sia quella sulla
tela o sul marmo. È l’arte, mia cara Shura, l’unica strada
possibile per risollevarsi dallo scempio di questi tempi. Non c’è nulla che la
possa annientare, né la guerra tra i popoli, né la bramosia di potere, né la
crisi economica. L’arte sopravviverà ai nostri
destini per testimoniare quello che non siamo più.
Per
questo mi sono cacciato qua dentro, in uno dei templi più sommi dell’arte mondiale.
Non ci sono altre collezioni che tengano, ho visitato entrambe le gallerie Tret’Jakov, la vecchia e la nuova, la prima sgomenta, l’altra
disorienta, in una trovi la più grande collezione di icone del mondo,
nell’altra le più stupefacenti opere d’avanguardia russa, da una parte tante piccole
sale stipate da nove secoli di arte, dall’altra immense stanze occupate da capolavori
contemporanei, nulla che però regga il confronto col Museo Puškin
che di russo ha solo la capacità di aver assemblato inestimabili collezioni
straniere espropriate durante lo stalinismo, trafugate durante la guerra, importate
fin qui da tutti i Paesi del mondo. E così tra queste mura puoi trovare monumentali
reperti archeologici come affascinanti sculture classiche, un ricchissimo
assortimento di dipinti di tutte le scuole europee come una straordinaria
collezione di sole opere impressioniste.
Proprio
per questo ho deciso di violare la legge. Già, mica sei la sola a fare le
prodezze. Le faccio anch’io, sai, anche se meno eclatanti. C’era un unico modo
perché mi potessi godere a fondo tanta bellezza, ispirandomi a qualcosa per comporre
a mia volta. Nascondermi in un angolo remoto del museo e rimanere chiuso qua
dentro per tutta la notte. Libero di girare tra questi sommi capolavori,
nutrendomi dei misteri profondi che essi nascondono. Un bagno notturno di arte,
nel buio di sale deserte in attesa dell’alba, solo con i miei taccuini su cui schizzare
appunti e disegni.
L’unico
problema è sfuggire al controllo dei custodi che in questa città, insieme a
vigili e a poliziotti, hanno un approccio quasi carcerario alla sorveglianza e
alla sicurezza. Investiti della tutela dell’ordine diffidano di tutti,
ostentano severità, sono avari persino di informazioni. Tutto il contrario
della gente comune che invece appare tanto espansiva e generosa, tutta protesa
ad aprirsi col prossimo come se troppi anni di sacrifici e miserie le avessero scatenato
la voglia di rompere le righe, far saltare gli schemi, confondersi in maniera
più caotica con le sorti del mondo.
Così
ora ti scrivo questa mia ultima lettera rintanato dietro un grande portale
dell’antico Egitto in attesa di fare la mia ronda notturna tra le massime
scuole di pittura mondiale. Non so se ne uscirò illeso o cadrò dentro la morsa
del sistema russo. Sarà comunque sempre più dignitoso che cadere sotto il fuoco
nemico. Sappi comunque che, dopo l’arte, sei la cosa che ho amato di più.
Tuo Tolik
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Una veduta aerea della Fortezza dei Santi Pietro e Paolo a San Pietroburgo
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San Pietroburgo. Fortezza
dei Santi Pietro e Paolo
Dopo l’arte,
dunque dopo tutto… Perché cosa resta al di fuori di quella per uno che rischia
di farsi braccare nell’intento di contemplare un po’ di colori schizzati qua e
là? No, non riesco proprio a capirti, l’arte non è mai riuscita a parlarmi quanto
la vita, è troppo estranea ai miei ardori, troppo distante dai miei ideali,
sono più appassionata alle fattezze del mondo che non a quelle emulate sopra le
tele. Infatti dentro l’Hermitage non guardavo tanto i
quadri, quanto le persone che guardavano i quadri. Mi incantavo a osservare
come si intrattenevano di fronte a un’opera, cosa ammiravano, che espressioni
facevano, quasi a catturare da piccoli tratti i loro pensieri, indovinando
indole e umori, perplessità e turbamenti, come se la vera opera d’arte fosse la
svariata umanità che spiavo dagli angoli delle sale e non quella raffigurata in
pose astratte sulle pareti. Mi sono infilata persino dentro il Museo russo e
forse lì ho indugiato più sui quadri che non sulla gente, solo perché mi
incuriosivano i soggetti della pittura sovietica, tutta battaglie, drammi,
scene struggenti, più reali della realtà stessa, tanto da essere specchi di
vita piuttosto che metafore dell’esistenza.
Eppure
continuano ad affascinarmi molto più le chiese. Sarà perché sono
un’iconoclasta, una miscredente, una profanatrice. Di fatto i templi sacri mi
hanno sempre attratto proprio per la loro intima bellezza. Si respira molta più
arte in una cattedrale che non in qualsiasi altro museo. Inoltre è un luogo
dove non si transita ma ci si trattiene. Così è anche più facile osservare la
gente che si sofferma a contemplare, a pregare, a meditare. E a me piace
studiare proprio i suoi atteggiamenti, forse per indovinare le possibili
reazioni a eventuali provocazioni.
Ognuno
in fondo ha le sue predilezioni, tu studi i quadri, io le facce, tu ti rintani
in un museo io in una chiesa, tu preferisci le Belle Arti io le tombe degli
zar. Già, perché ho sempre avuto il culto per la morte, se poi è quella dei
potenti quasi un’adorazione. Puoi immaginare allora come possa sentirmi a mio
agio dentro la cattedrale dei santi Pietro e Paolo occupata in gran parte da massicce
tombe di marmo sovrastate da croci dorate che ne fanno un regale obitorio di
imperatori stecchiti. Tanto che qui, tra possenti colonne, affreschi murali,
iconostasi intagliate nel legno, sculture ricoperte di oro e pulpito in barocco
olandese, come ti muovi fai un macello. E come sai a me le sfide sono sempre
piaciute, soprattutto se il contesto ti stimola in un modo così seducente.
Ma
non è tanto la chiesa in sé che mi appassiona, quanto il luogo in cui sorge. Un
tempo era una fortezza che serviva a proteggere gli assalti degli svedesi da
Nord, poi è diventata una prigione di stato per i dissidenti del governo russo,
poi ancora le sede del tribunale che processava i membri delle società segrete,
infine ora è una ridente cittadella che ospita il museo della storia russa dove
vanno in pellegrinaggio cortei di turisti capeggiati da guide multicolori e
vanta spiagge dorate intorno ai bastioni dove si recano i pietroburghesi a
prendere il sole d’estate. Vedi poi come il tempo edulcora tutto e dove secoli
prima la gente moriva ora si abbronza, dove veniva torturata ora se ne va a spasso…
In
fondo basta spiare un po’ cosa dicono le guide per farsi un’idea di dove si sta. Ma tante altre cose
non te le dice nessuno. Come il fatto che anche qui ci sono molti sopravvissuti
agli orrori del regime e ancor più agli sfaceli del suo crollo, che tanta gente
ha dovuto cambiare lavoro e molta altra stenta a mantenersi, che per tanti la
libertà è ancora un sogno e l’emancipazione una vaga utopia. Ma il dramma più
grande è che qui la rivoluzione c’è già stata ed è difficile immaginarne
un’altra. Allora mi assale un gran freddo, Tolik, e
la nostalgia di te. Non sai quanto vorrei che tu fossi qui a stringermi tra le
braccia e a scaldarmi il cuore, ma soprattutto ad accarezzare i miei tristi seni
ormai stanchi di troppe lotte.
Tua Shura