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di Luca Succhiarelli
L’esperienza
artistico-letteraria di Emilio Villa, segnata da una grandiosa e progettata
noncuranza inimmaginabile nell’attuale panorama che soprattutto vede l’editore
vendere l’opera all’autore, è costellata non di cristallizzazioni, ma di
inchiostrazioni poetiche, da lui volute più o meno delebili, e di
manifestazioni del suo pensiero su – e a forma di – realtà profane e cartacee,
sassose, polistiroliche, plastiche, vitree e non solo. Riferendosi all’attività
di questo segreto poeta, sarebbe opportuno parlare di azioni tipografiche al
servizio della carcassa alterata e rianimata delle parole, non di operazioni
editoriali tout court che nel suo caso, laddove presenti (comunque
allestite attorno ad un materiale germinato da una straordinaria ed insolita
matrice), sono accidenti in quantità sufficiente per formare una manciata:
quanto a queste (che il macero ha salvato dal processo di irrigidimento, dal rigor
mortis che tanto piace agli scienziati umanistici), cadute – senza farsi
bollire – nel calderone dell’ufficialità, traghettate, destinate ad una
distribuzione formale (le sue altre ad una distruzione informale), è giusto nominare
qui la traduzione dell’Odissea (Guanda, 1964; poi Feltrinelli, 1994; in
ultimo DeriveApprodi, 2005) e Attributi dell’arte odierna. 1947-1967
(Feltrinelli, 1970). Intravide la mondanità anche la sua versione della Bibbia,
impresa invero mai abbandonata, per la quale Einaudi, negli anni Cinquanta,
complice Roberto Bazlen (altra figura certamente non autoreferenziale), erogò
fondi.
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Emilio Villa (1914-2003)
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Premesso che la
sua poesia sui generis trabocca dal recipiente poetico riversandosi su
generi ed àmbiti che l’ortodossia letteraria vorrebbe immacolati, si deve
ricordare che un’antologia di suoi versi (Opere poetiche I), diventata
presto un solido punto di riferimento per coloro che hanno voluto sentire la
voce della Sibilla villiana, fu pubblicata nel 1989 da Coliseum. Ecco un
ricordo di Nanni Cagnone, che ebbe allora un ruolo fondamentale:
Quando,
dopo dodici anni che non lo vedevo né sentivo (solo alcune lettere sue per i
miei libri), divenuto un quasi-editore, andai a trovarlo a Veruno,
convalescente, per proporgli di voler dare (in due volumi) qualche cenno della
sua opera poetica, e lui infine si rassegnò ad accettare, gli dissi: «Meno male che ti è venuto un
coccolone; se no, non sarei mai riuscito a persuaderti». E lui
rise, nel suo modo distrattamente amoroso.
Più tardi, mi fece capire che tutto ciò che più o
meno si conosce, di quel che ha scritto negli ultimi cinquant'anni, per lui non
conta granché; o meglio: «Sì, sì, va bene, ma...» (e sbuffa). Ci sono altre
cose, che ha cucinato lentamente, e accantonato, e stanno in una scatola rossa
sopra un armadio della sua casa piena di manoscritti inediti: ecco, quelle sì.
Ma non sono cose per adesso: «Dopo morto».
Il suddetto
progetto rimase in parte aptero, poiché il secondo – previsto – tomo, per cause
forse mai del tutto chiarite (chi sta scrivendo ha raccolto opinioni
discordanti), non fu dato alle stampe, né è stato svolto, negli anni
immediatamente successivi, un lavoro organico che colmasse la lacuna. L’inventore
della «pagina annientata», così si è
definito, dopo aver «buttato via il meglio che ha fatto […], quello stampato da
un tipografo che non c’è più», ha continuato a vivere «sotto, sotto, sotto», evidentemente
assecondando una sua profonda esigenza, curiosamente e traslativamente in
sintonia con quanto è sostenuto da Gaetano Volpi, per il quale il sole «offende
le coperte de’ Libri, se non ne vengano riparati; inarcandosi, e raggrinzandosi
senza rimedio».
A motivo di ciò,
la recente edizione de L’opera poetica di Villa (L’orma editore, 2014,
pp. 782, € 45,00) rappresenta un momento felice dell’editoria patria. A
metterla in piedi, con rispettosa competenza, è stata Cecilia Bello Minciacchi,
attenta studiosa delle avanguardie non istituzionalizzate (le dobbiamo la
ricomparsa in libreria di Patrizia Vicinelli) e già curatrice dei villiani Zodiaco
(Empirìa, 2000) e Proverbi e Cantico. Traduzioni dalla Bibbia
(Bibliopolis, 2005).
Preme dire che
questa sostanziosa cernita (che si chiude con una postfazione di Aldo
Tagliaferri) non è il completamento del precedente piano, cioè un
ritorno/chiusura come avvenuto nel 2008 con gli Attributi, ma una
riemersione autonoma, giacché in essa troviamo (offerti anastaticamente quando
ritenuto necessario) testi mai o raramente riapparsi (tra cui: 22 cause + 1;
pagine dalla rivista «EX»; L’homme
qui descend quelque: roman metamytique; Exercitations de tire en
io/cible; Hisse toi re / d'amour / da mou rire (romansexe); Le
mûra di t;éb;é; 8 case delle antiche vicende; Geometria Reformata
/ Renovatum Mundiloquium; Letania per Carmelo Bene) e
componimenti presenti nell’89: quelli di Oramai (che ha tutto per
distogliere un attimo i guardiani delle belle lettere dal culto per il laureato
Montale); E ma dopo; Omaggio ai sassi di Tot; Sì, ma
lentamente; 17 variazioni su temi proposti per una pura ideologia
fonetica e La tenzone. Compaiono altresì, riprodotti nella loro interezza,
lavori dai quali all’epoca della Coliseum furono ricavati degli estratti: 3
ideologie da piazza del popolo / senza l’imprimatur; Comizio
millenovecentocinquanta3; Heurarium; Verboracula e, in
appendice, l’esordiale Adolescenza. Tutti i titoli, ordinati in base
alla «data di edizione che fissa il testo
a un’altezza cronologica verificabile» (scelta saggia, essendo stato Villa «un
pervicace e divertito mescolatore di carte», come sottolinea la Bello
Minciacchi), sono introdotti da una Nota-portolano utile per attraccare
momentaneamente i battelli ebbri e nascosti di Villadrome.
Non fanno parte di questo fresco florilegio
(arricchito dall’inedito Pour amuser Voltaire, pour épater Staline)
quelle iniziative nelle quali forma, contenuto e contenitore regolano la loro
convivenza alimentandola con l’interdipendenza: sono esemplari Traitée de
pédérasthie céleste (fogli sciolti, piegati ed inseriti in una cartellina
di 7,5 x 5,8 centimetri), Green (34,1 x 49,6 cm, realizzato in 120 copie
differenti, perciò numerate da 1 a 1) ed Emilio Villa e Mario Diacono per
Ettore Innocente. XYZ A1 take one 1970 XYZ A2, catalogo oblungo (67 x 11
cm). Un’eventuale riproposta di siffatti oggetti richiederebbe senz’altro una
manifattura in aderenza, con totale deferenza verso i parametri – che sono poi
le idee in atto – che caratterizzano gli originali.
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Una tavola verbovisiva di Villa
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L’opera
poetica villiana (numero 4 della nuova serie di fuoriformato,
collana diretta da Andrea Cortellessa) non è una raccolta completa, cosa per
altro impossibile a farsi dal momento che la sua bibliografia è un work in
progress and regress come il fegato di Prometeo, per completare il quale
occorrerebbe un’ulteriore fatica da rabdomanti pronti ad inabissarsi e al tempo
stesso capaci di districarsi dalla parola e riemergere con la fiaccola ancora
accesa. Con essa, però, si risolleva quel «corp lombard della malora» convinto che «forse è // che forse qui
bisogna cambiar aria / tutti quanti».
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