LUOGO COMUNE
EMILIO VILLA: “L’OPERA POETICA”
Attributi multipli dell’arte
in versi


      
Dopo l’antologia del 1989 curata da Aldo Tagliaferri per Coliseum, esce presso L’orma Editore un nuovo ponderoso florilegio dei testi poetici dell’autore-critico di Affori, magistralmente curato da Cecilia Bello Minciacchi. Un volume di quasi ottocento pagine, necessariamente incompleto, che mette a disposizione di lettori appassionati e studiosi un thesaurum letterario incomparabile per ricchezza mistilinguistica e densità polisemantica e che illumina ancor più l’eccentrico percorso di uno scrittore extra-ordinario completamente tralasciato dal canone ufficiale del Novecento.
      



      

di Luca Succhiarelli

 

 

L’esperienza artistico-letteraria di Emilio Villa, segnata da una grandiosa e progettata noncuranza inimmaginabile nell’attuale panorama che soprattutto vede l’editore vendere l’opera all’autore, è costellata non di cristallizzazioni, ma di inchiostrazioni poetiche, da lui volute più o meno delebili, e di manifestazioni del suo pensiero su – e a forma di – realtà profane e cartacee, sassose, polistiroliche, plastiche, vitree e non solo. Riferendosi all’attività di questo segreto poeta, sarebbe opportuno parlare di azioni tipografiche al servizio della carcassa alterata e rianimata delle parole, non di operazioni editoriali tout court che nel suo caso, laddove presenti (comunque allestite attorno ad un materiale germinato da una straordinaria ed insolita matrice), sono accidenti in quantità sufficiente per formare una manciata: quanto a queste (che il macero ha salvato dal processo di irrigidimento, dal rigor mortis che tanto piace agli scienziati umanistici), cadute – senza farsi bollire – nel calderone dell’ufficialità, traghettate, destinate ad una distribuzione formale (le sue altre ad una distruzione informale), è giusto nominare qui la traduzione dell’Odissea (Guanda, 1964; poi Feltrinelli, 1994; in ultimo DeriveApprodi, 2005) e Attributi dell’arte odierna. 1947-1967 (Feltrinelli, 1970). Intravide la mondanità anche la sua versione della Bibbia, impresa invero mai abbandonata, per la quale Einaudi, negli anni Cinquanta, complice Roberto Bazlen (altra figura certamente non autoreferenziale), erogò fondi.





Emilio Villa (1914-2003)


Premesso che la sua poesia sui generis trabocca dal recipiente poetico riversandosi su generi ed àmbiti che l’ortodossia letteraria vorrebbe immacolati, si deve ricordare che un’antologia di suoi versi (Opere poetiche I), diventata presto un solido punto di riferimento per coloro che hanno voluto sentire la voce della Sibilla villiana, fu pubblicata nel 1989 da Coliseum. Ecco un ricordo di Nanni Cagnone, che ebbe allora un ruolo fondamentale:

 

Quando, dopo dodici anni che non lo vedevo né sentivo (solo alcune lettere sue per i miei libri), divenuto un quasi-editore, andai a trovarlo a Veruno, convalescente, per proporgli di voler dare (in due volumi) qualche cenno della sua opera poetica, e lui infine si rassegnò ad accettare, gli dissi: «Meno male che ti è venuto un coccolone; se no, non sarei mai riuscito a persuaderti». E lui rise, nel suo modo distrattamente amoroso.

Più tardi, mi fece capire che tutto ciò che più o meno si conosce, di quel che ha scritto negli ultimi cinquant'anni, per lui non conta granché; o meglio: «Sì, sì, va bene, ma...» (e sbuffa). Ci sono altre cose, che ha cucinato lentamente, e accantonato, e stanno in una scatola rossa sopra un armadio della sua casa piena di manoscritti inediti: ecco, quelle sì. Ma non sono cose per adesso: «Dopo morto».

 

Il suddetto progetto rimase in parte aptero, poiché il secondo – previsto – tomo, per cause forse mai del tutto chiarite (chi sta scrivendo ha raccolto opinioni discordanti), non fu dato alle stampe, né è stato svolto, negli anni immediatamente successivi, un lavoro organico che colmasse la lacuna. L’inventore della «pagina annientata», così si è definito, dopo aver «buttato via il meglio che ha fatto […], quello stampato da un tipografo che non c’è più», ha continuato a vivere «sotto, sotto, sotto», evidentemente assecondando una sua profonda esigenza, curiosamente e traslativamente in sintonia con quanto è sostenuto da Gaetano Volpi, per il quale il sole «offende le coperte de’ Libri, se non ne vengano riparati; inarcandosi, e raggrinzandosi senza rimedio».





A motivo di ciò, la recente edizione de L’opera poetica di Villa (L’orma editore, 2014, pp. 782, € 45,00) rappresenta un momento felice dell’editoria patria. A metterla in piedi, con rispettosa competenza, è stata Cecilia Bello Minciacchi, attenta studiosa delle avanguardie non istituzionalizzate (le dobbiamo la ricomparsa in libreria di Patrizia Vicinelli) e già curatrice dei villiani Zodiaco (Empirìa, 2000) e Proverbi e Cantico. Traduzioni dalla Bibbia (Bibliopolis, 2005).

Preme dire che questa sostanziosa cernita (che si chiude con una postfazione di Aldo Tagliaferri) non è il completamento del precedente piano, cioè un ritorno/chiusura come avvenuto nel 2008 con gli Attributi, ma una riemersione autonoma, giacché in essa troviamo (offerti anastaticamente quando ritenuto necessario) testi mai o raramente riapparsi (tra cui: 22 cause + 1; pagine dalla rivista «EX»; L’homme qui descend quelque: roman metamytique; Exercitations de tire en io/cible; Hisse toi re / d'amour / da mou rire (romansexe); Le mûra di t;éb;é; 8 case delle antiche vicende; Geometria Reformata / Renovatum Mundiloquium; Letania per Carmelo Bene) e componimenti presenti nell’89: quelli di Oramai (che ha tutto per distogliere un attimo i guardiani delle belle lettere dal culto per il laureato Montale); E ma dopo; Omaggio ai sassi di Tot; Sì, ma lentamente; 17 variazioni su temi proposti per una pura ideologia fonetica e La tenzone. Compaiono altresì, riprodotti nella loro interezza, lavori dai quali all’epoca della Coliseum furono ricavati degli estratti: 3 ideologie da piazza del popolo / senza l’imprimatur; Comizio millenovecentocinquanta3; Heurarium; Verboracula e, in appendice, l’esordiale Adolescenza. Tutti i titoli, ordinati in base alla «data di edizione che fissa il testo a un’altezza cronologica verificabile» (scelta saggia, essendo stato Villa «un pervicace e divertito mescolatore di carte», come sottolinea la Bello Minciacchi), sono introdotti da una Nota-portolano utile per attraccare momentaneamente i battelli ebbri e nascosti di Villadrome.

Non fanno parte di questo fresco florilegio (arricchito dall’inedito Pour amuser Voltaire, pour épater Staline) quelle iniziative nelle quali forma, contenuto e contenitore regolano la loro convivenza alimentandola con l’interdipendenza: sono esemplari Traitée de pédérasthie céleste (fogli sciolti, piegati ed inseriti in una cartellina di 7,5 x 5,8 centimetri), Green (34,1 x 49,6 cm, realizzato in 120 copie differenti, perciò numerate da 1 a 1) ed Emilio Villa e Mario Diacono per Ettore Innocente. XYZ A1 take one 1970 XYZ A2, catalogo oblungo (67 x 11 cm). Un’eventuale riproposta di siffatti oggetti richiederebbe senz’altro una manifattura in aderenza, con totale deferenza verso i parametri – che sono poi le idee in atto – che caratterizzano gli originali.





Una tavola verbovisiva di Villa


L’opera poetica villiana (numero 4 della nuova serie di fuoriformato, collana diretta da Andrea Cortellessa) non è una raccolta completa, cosa per altro impossibile a farsi dal momento che la sua bibliografia è un work in progress and regress come il fegato di Prometeo, per completare il quale occorrerebbe un’ulteriore fatica da rabdomanti pronti ad inabissarsi e al tempo stesso capaci di districarsi dalla parola e riemergere con la fiaccola ancora accesa. Con essa, però, si risolleva quel «corp lombard della malora» convinto che «forse è // che forse qui bisogna cambiar aria / tutti quanti».

 




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