LETTURE
DORELLA CIANCI
      

Corpi di parole. Descrizione e fisiognomica nella cultura greca

 

prefazione di G. Tognon

 

Pisa, ed. ETS, 2014, pp. 131, € 15,00

    

      


di Sergio D’Amaro

 

Dimmi con che corpo parli

 

Òmmata (occhi), kephalé (testa), pròsopa (volto), parèiai (guance), métopa (fronte), sphyrà (caviglie): sembra un trattato di anatomia risalente ad un secolo remoto, con annesse considerazioni psicologiche o morali. E invece, quelle riportate sono parole contenute nel dotto saggio di Dorella Cianci, Corpi di parole. Descrizione e fisiognomica nella cultura greca, che mette il lettore di oggi in una situazione di straniamento, abituato com’è costui a separare anima da corpo, parola da aspetto fisico, bellezza da intelligenza. Eppure, per chi conserva ancora qualche briciola di memoria liceale, non si può non ammettere una ben distinta attenzione della cultura greca per il ruolo giocato dalla bellezza e dalla prestanza fisica, seguito e sostituito più tardi per quello dell’immane flusso retorico di argomentazioni e di distinguo dei Sofisti.

  

C’è, allora, un rapporto più o meno carsico tra bellezza e parola, come se la cultura greca avesse posto in evidenza l’educabilità dell’uomo attraverso il corpo, servendosi anche dell’ideale della ‘kalokagathìa’, per cui il Bello si identifica col Buono. Un concetto alto, nobile, sostanzialmente ribadito da par suo da Platone nel Simposio e nel Fedro, in quei dialoghi nei quali si esamina l’ascesa etica dell’uomo attraverso la visione sempre più ambiziosa della Bellezza e dell’Amore. E qui, in questo libro di Dorella Cianci, sembra risuonare proprio il concetto-chiave di una estetica che si fa etica, anzi di una est-etica, di un’educazione o ‘paideia’ che va oltre ogni banale sentire e si attesta come sentimento morale, come prefigurazione di una società più giusta, più armoniosa, più sintonizzata col concetto di  cosmo (e di ‘cosmesi’ o, ancora meglio, ‘cosmosi’).

  

Le parti centrali del saggio sono quelle dedicate all’‘ékphrasis’ e alla fisiognomica, ovvero alla descrizione e all’interpretazione del corpo. Qui si potrebbe invocare per tutte la catarsi aristotelica (riferibile ad opere teatrali), incentrata sul potere della parola che esorcizza e universalizza anche il brutto in una visione educativa: un conto è vedere la bruttezza nella realtà, un altro rappresentarla in un dramma che ci regala emozioni e immagini. Quanto alla pratica della fisionomia, il mondo greco ebbe una vera e propria passione per i ritratti (statue e busti) e per le corrispondenze tra esterno e interno dei volti. Se le origini sono probabilmente di carattere medico (Ippocrate interpreta le malattie dall’aspetto dei pazienti), la fisiognomica poi evolve verso rappresentazioni sempre più sofisticate, fino all’opera settecentesca di Lavater e alle deformanti teorie di Lombroso.

  

Il libro della Cianci implica considerazioni e sollecita ad una riflessione su cosa sono diventati il corpo e la bellezza nell’epoca massmediatica e informatica. La cura di sé, i centri benessere, le plastiche facciali aiutano a capire la bellezza e a valorizzare l’anima? Dubbio ammissibile, in presenza di una cultura diventata tutta ‘estetica’, esteriore, clamorosa e poco incline a gettar ponti tra Bello e Buono.




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