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di Sergio D’Amaro
Dimmi
con che corpo parli
Òmmata (occhi), kephalé (testa), pròsopa
(volto), parèiai (guance), métopa (fronte), sphyrà (caviglie): sembra un trattato di anatomia risalente ad un
secolo remoto, con annesse considerazioni psicologiche o morali. E invece,
quelle riportate sono parole contenute nel dotto saggio di Dorella Cianci, Corpi di parole. Descrizione e fisiognomica nella
cultura greca, che mette il lettore di oggi in una situazione di
straniamento, abituato com’è costui a separare anima da corpo, parola da
aspetto fisico, bellezza da intelligenza. Eppure, per chi conserva ancora qualche
briciola di memoria liceale, non si può non ammettere una ben distinta
attenzione della cultura greca per il ruolo giocato dalla bellezza e dalla
prestanza fisica, seguito e sostituito più tardi per quello dell’immane flusso
retorico di argomentazioni e di distinguo dei Sofisti.
C’è, allora, un
rapporto più o meno carsico tra bellezza e parola, come se la cultura greca
avesse posto in evidenza l’educabilità dell’uomo attraverso il corpo,
servendosi anche dell’ideale della ‘kalokagathìa’, per cui il Bello si
identifica col Buono. Un concetto alto, nobile, sostanzialmente ribadito da par
suo da Platone nel Simposio e nel Fedro, in quei dialoghi nei quali si
esamina l’ascesa etica dell’uomo attraverso la visione sempre più ambiziosa
della Bellezza e dell’Amore. E qui, in questo libro di Dorella Cianci, sembra
risuonare proprio il concetto-chiave di una estetica che si fa etica, anzi di
una est-etica, di un’educazione o
‘paideia’ che va oltre ogni banale sentire e si attesta come sentimento morale,
come prefigurazione di una società più giusta, più armoniosa, più sintonizzata
col concetto di cosmo (e di ‘cosmesi’ o,
ancora meglio, ‘cosmosi’).
Le parti
centrali del saggio sono quelle dedicate all’‘ékphrasis’ e alla fisiognomica,
ovvero alla descrizione e all’interpretazione del corpo. Qui si potrebbe
invocare per tutte la catarsi aristotelica (riferibile ad opere teatrali),
incentrata sul potere della parola che esorcizza e universalizza anche il
brutto in una visione educativa: un conto è vedere la bruttezza nella realtà,
un altro rappresentarla in un dramma che ci regala emozioni e immagini. Quanto
alla pratica della fisionomia, il mondo greco ebbe una vera e propria passione
per i ritratti (statue e busti) e per le corrispondenze tra esterno e interno dei
volti. Se le origini sono probabilmente di carattere medico (Ippocrate
interpreta le malattie dall’aspetto dei pazienti), la fisiognomica poi evolve
verso rappresentazioni sempre più sofisticate, fino all’opera settecentesca di
Lavater e alle deformanti teorie di Lombroso.
Il libro della
Cianci implica considerazioni e sollecita ad una riflessione su cosa sono
diventati il corpo e la bellezza nell’epoca massmediatica e informatica. La
cura di sé, i centri benessere, le plastiche facciali aiutano a capire la
bellezza e a valorizzare l’anima? Dubbio ammissibile, in presenza di una
cultura diventata tutta ‘estetica’, esteriore, clamorosa e poco incline a
gettar ponti tra Bello e Buono.
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