di Silvana Baroni
Varianti di stupro, edito dalla Joker in
Panopticon (collana di testi teatrali) ha goduto di una appassionata prefazione
di Lella Costa, che ha inoltre applaudito alla messa in scena del testo,
musicato e per la regia dello stesso Montalto, riconoscendogli una grande
capacità drammaturgica, dovuta a una rara, profonda e sincera immedesimazione
in un problema drammaticamente femminile.
E sono monologhi
d’arte il testo di Varianti di stupro,
uno scrigno di immagini altamente simboliche.
Dialoghi
monologanti di grande drammaturgia raccontano la cronaca d’oggi e di sempre avvalendosi
di quel ch’è l’archetipico nei miti, nelle fiabe; affrontano la Gorgone con
modalità numinosa fino alle radici dell’osceno, penetrandone l’anima e le carni,
e pur cercandone il principio rimovente.
La parola penetra
il caos, il terrore, smaschera ogni parvenza rassicurante e svincola l’incognito
dalla intricata custodia; consapevole l’Autore che non sia l’essere umano a
scegliere la tragedia, ma la tragedia a imporsi a chi è inconsapevole.
Parola-suono anche,
resistente alla collisione con il suo opposto, mai al di là del bene e del
male, o separandoli, ma aderente alle radici del bene e del male.
La vita, si sa, è
dinamismo, passaggio attraverso periodi significativi della evoluzione
psichica, quelli che l’antropologia indica come riti di iniziazione, archetipi
del necessario mutamento da realizzarsi in un preciso stadio della vita umana.
E solo un adeguato
procedere lungo questi stadi maturativi produce la maturità necessaria perché
la Psiche si organizzi pienamente nella totalità del Sé.
Ma la psiche che
ha mancato l’iniziazione e quindi non si è trasformata, mantiene la pregnanza
torbida di una vita non vissuta, la voluttuosità morbosa di fantasie inappagate,
sempre le stesse.
E spesso è un
complesso materno a far da corazza difensiva dalla realtà, a impedire la
corretta iniziazione, a evitare ai figli la diretta esperienza, a impedir loro
di toccare il mondo con le proprie mani, a far sì che si percepiscano
inadeguati, quindi frustrati.
La complessità,
non vissuta come alchimia rivelatrice di senso, come verifica di una propria
soggettività, non più traghetta l’individuo verso lo stadio evolutivo successivo,
ma lo incista in
un limbo infantile dal quale assisterà alla vita altrui con risentimento e un
perbenismo da “piccolo mondo antico”.
Inoltre, l’avvertita
incapacità d’avventurarsi nell’esperienza paralizza il soggetto in sentimenti
di colpa, lo serra nell’ossessiva ricerca di protezione, di piaceri sempre gli
stessi, e, come ben rappresentato nei monologhi di Montalto, lo può far esplodere
in comportamenti violenti per sola volontà animale d’esistenza.
Per trattare un
argomento così magmatico, come non scegliere il teatro e un minimalismo scenico
che assorba pienamente lo spettatore.
Dice bene Montalto “la letteratura e il teatro possono far
riflettere non tanto sui singoli casi quanto sulle matrici profonde…” . Matrici,
aggiungerei, di una comune piattaforma sotterranea che lega inesorabilmente i
protagonisti della tragedia, vittima e carnefice. Comune piattaforma in cui
scavare alla ricerca di quei miti relativi ai fenomeni naturali, di quelle
immagini archetipiche che pretendono una trasformazione individuale e collettiva,
immagini e simboli che hanno perduto vitalità e significato e che per questo
necessitano di essere rivitalizzati.
In un periodo di
accentuati mutamenti sociali come quello attuale, un Io troppo debole può correre
un duplice rischio: naufragare nel profondo delle strutture arcaiche o assumere
una posizione difensiva di totale rifiuto nascondendosi dietro stereotipi
sociali.
In questo
secondo caso l’Io si identifica con la Persona, la maschera che simula una individualità
non raggiunta. Questa Persona dal falso Sé sarà inevitabilmente in balia del
Perturbante, il rimosso ad alto contenuto emotivo che affiora all’improvviso
impossessandosi del soggetto.
Kerényi e Jung
ritengono le fiabe una rielaborazione dei miti, l’espressione più genuina di un
processo psichico che ha origine nell’inconscio collettivo.
E nel lavoro di
Montalto riecheggia la trama di quelle fiabe, quei miti in grado di mettere in
moto l’immaginazione, simboli che unici sono in grado di sollecitare le
esperienze rimosse.
E come non rifarci
alla fiaba di Cupido e Psiche (trascrizione di Apuleio di un romanzo greco del
quale è rimasto soltanto un epìtome) testo che ha dato inizio alla tradizione
fiabesca occidentale, che tratta della evoluzione della psicologia amorosa.
Psiche è deposta
in un letto di nozze e di morte, in attesa di essere posseduta da un mostro
serpentiforme; per volere di Afrodite non dovrà vedere il proprio sposo pur
congiungendosi ogni notte con lui. Un divieto che lei affronterà pagandone drammaticamente
lo scotto, tribolazioni che riecheggiano quelle di Cenerentola, la Bella
addormentata nel bosco, la Bella e la bestia, il Re Ranocchio, il Maiale
fatato, Capuccetto rosso…. Figure femminili prese tra due fuochi, agite
dall’interno da archetipi di divinità femminili e dall’esterno da stereotipi
culturali.
La vita
paradisiaca che Psiche conduce inizialmente nel palazzo incantato assieme all’anonimo
amante rappresenta l’accecamento dovuto all’esclusivo piacere sessuale. Soltanto
quando Psiche è in grado di rompere il tabù, e armata di rasoio accende la
lampada, può scoprire che il suo sposo è Cupido.
Da questo
momento iniziano per la coppia varie peripezie, riti di un contemporaneo ma
diverso processo di individuazione.
Psiche si
dibatte tra i voleri delle dee vergini e delle dee alchemiche, deve svincolarsi
dalla rivalità di Afrodite, dalla seduttività di Persefone, dalla numinosità
del mostro rapitore; insomma deve resistere agli intrighi di molteplici figure
d’ombra; mentre Cupido, con l’aiuto di Mercurio e Giove, dovrà affrontare le
astuzie della madre Afrodite, che vuol trattenerlo nel “uroboro matriarcale”.
Insomma: un
percorso iniziatico che trasformerà i due, da femmina a donna, da maschio a
uomo.
Contro la regressione
a comportamenti primitivi non v’è altra strada che la presa di coscienza dei
propri aspetti d’ombra, ombre che inevitabilmente stimolano le ombre dell’altro
in un processo esponenziale di guerriglia ostinata, drammaticamente mortificante,
fino alla tragedia.
Solo una approfondita
analisi dei conflitti, un dialogo costante e critico sui pregiudizi, una attenta
e armonica educazione familiare e scolastica, potranno
favorire la realizzazione della propria dignità e il rispetto per le difficoltà
che anche l’altro può incontrare nel suo processo di crescita.
Concludendo, per
ragioni di spazio e sensata modestia, un argomento così pregnante ed inesauribile,
non posso che congratularmi per l’intensità e la schiettezza drammaturgica sia del
testo e che della trasposizione scenica, e augurare a Montalto ulteriori iniziative
teatrali, capaci, come questa, di liberare catarticamente la mente del lettore
o spettatore che sia da emozioni troppo a lungo sedimentate e ancora indicibili.
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