di Martha L. Canfield
Addio Galeano! Volano gli abbracci verso di te!
Lo
scorso 13 aprile è morto a Montevideo Eduardo Galeano. Aveva soltanto 74 anni,
ma era da tempo malato di tumore ai polmoni. In Uruguay è stato immediatamente
dichiarato lutto nazionale ed è stata allestita la camera ardente nello storico
Salón de los Pasos Perdidos nel Palazzo Legislativo di Montevideo. Lì egli ha
ricevuto l’omaggio del presidente, Tabaré Vázquez, e di tutte le più alte
cariche dello stato. Tra di loro è stato particolarmente commovente il saluto
dell’ex-presidente, ora senatore, José Mujica, che lo definí un “vero eletto”
che ha saputo dignificare l’America Latina per quarant’anni.
È
chiaro che l’assenza di Galeano si sentirà dolorosamente, prima di tutto nella
sua città, dove era facile vederlo per strada e anche sedersi a chiacchierare
con lui in un bar della Ciudad Vieja,
come viene chiamato il quartiere più antico, risalente al Settecento e di
architettura prevalentemente coloniale, che lui frequentava quotidianamente. È
il “Café Brasilero”, in via Ituzaingó e “vicinissimo alla Cattedrale”, come lui
teneva a sottolineare quando fissava appuntamenti lì, dove gli piaceva
trascorrere le mattinate, leggendo, scrivendo e, appunto, parlando con chi
andava a trovarlo. Ma la sua assenza si sentirà anche a livello continentale e
internazionale, essendo stato uno dei principali fondatori di quello che a
partire dal secondo Novecento cominciò ad affermarsi nella coscienza storica e
culturale dell’America Latina, e cioè l’identità
latinoamericana. Per secoli, dopo la conquista e durante la colonia, ma
anche nei primi cento o forse anche centocinquant’anni delle nuove repubbliche
americane, predominava una forte incomunicabilità fra un paese e l’altro e ogni
repubblica guardava soprattutto verso l’Europa o verso gli Stati Uniti, succubi
di quella “nordomania” che José Enrique Rodó, conterraneo di Galeano, aveva
focalizzato e denunciato già nel 1900[1].
Eduardo Galeano
è stato uno di quelli che subito e con grande intensità si dedicò a studiare
gli elementi di collegamento tra le nazioni latinoamericane e gli interessi in
drammatico contrasto con gli Stati Uniti, così come con diverse potenze
europee. Il primo libro in cui affrontò questo argomento guadagnò subito una
grande accoglienza e diventò un punto di riferimento inevitabile per chi voleva
studiare la storia latinoamericana: il libro era Las venas abiertas de la América Latina, pubblicato in spagnolo nel
1971 e qualche mese dopo tradotto in italiano come Il saccheggio dell’America Latina. Ieri e oggi[2],
probabilmente perché sembrava che la drammatica metafora delle “vene aperte”
non si potesse riproporre ugualmente in italiano. Purtroppo a volte traduttore
o editore si lasciano condizionare da questi pregiudizi. Ma per fortuna qualche
volta ci ripensano, e in effetti qualche anno dopo uscì una nuova edizione di
questo libro – considerato “super best seller” nel mercato editoriale – con il
titolo tradotto letteralmente: Le vene
aperte dell’America Latina. Forse quello è avvenuto dopo che si diffuse
anche in Italia la canzone di Mercedes Sosa che, quasi come un’eco del libro di
Galeano, diceva:
Tenemos muchas heridas
Los latinoamericanos.
[…]
Tenemos
venas abiertas
Corazones
castigados
Somos
fervientemente
Latinoamericanos.

Eduardo Galeano in una foto recente
Le
vene aperte erano la metafora della ferita attraverso la quale fluiva non
soltanto il sangue latinoamericano, ma anche le ricchezze della terra, le
preziose risorse: l’oro, l’argento, il cacao, il cotone, il petrolio, il
caucciù, il rame, il ferro..., depredate sistematicamente, prima dalle potenze
coloniali, dopo dalle multinazionali europee e nordamericane. Questo valore di
denuncia è quello che Hugo Chávez ha voluto far presente a Obama quando gli
portò il libro come regalo al meeting delle Americhe del Sud, in Trinidad e
Tobago, nell’aprile 2009. Il gesto, che Obama interpretò come un invito al
dialogo, fece notizia in tutto il mondo, e si dice che le vendite del libro
aumentarono strepitosamente. Ma forse non ce n’era bisogno. Quel libro è sempre
stato un best seller.
Il
grande legato lasciato da Galeano è questa coscienza latinoamericana, questo
orgoglio di un’identità continentale che, malgrado le differenze di partenza,
si forma attraverso cinque secoli di storia comune e sboccia in una fierezza
identitaria: «Siamo ferventemente / latinoamericani», come dice la canzone già
citata di Mercedes Sosa. Eppure la sua eredità non finisce lì: lui ci ha
insegnato un modo diverso di affrontare la storia, un modo diverso di scriverla
e di accattivare di conseguenza il lettore: con Memoria del fuoco, tre sostanziosi volumi usciti in spagnolo nel
1986 e in traduzione italiana tre anni dopo, ci racconta in brevi capitoli
densi di contenuto e poetici nello slancio stilistico, la storia dell’America
dalla scoperta fino all’epoca contemporanea. La sua originalità risiede innanzi
tutto nel voler partire dalle radici preispaniche – troppo spesso dimenticate o
riassunte brevemente nei libri di storia generale o nelle antologie letterarie
–, evocando i vari miti delle varie culture originarie; e poi nel combinare
fonti storiche con notizie giornalistiche in modo da rendere il racconto agile,
incalzante e coinvolgente. Nessuno prima aveva combinato in questo modo
giornalismo e storia.
Forse
la cifra più personale di Galeano è stata quella di infrangere le frontiere dei
generi letterari, di combinare il rigore del documento con l’invenzione
narrativa, la cernita storica con il particolarismo giornalistico. Questa
combinazione irriverente e accattivante ha sedotto i lettori e ha trasformato
molti dei suoi libri in veri best seller, uno dei quali è senz’altro La canción de nosotros, scritto in
Argentina, già in esilio dopo il golpe in Uruguay, pubblicato nel 1975 e
vincitore subito dopo del prestigioso Premio Casa de las Américas di Cuba. Il
libro colpì critici e lettori perché mescolava la finzione narrativa con la
testimonianza degli orrori vissuti sotto la crudele repressione militare in
Uruguay, il linguaggio puramente informativo con lo slancio lirico. Forse la
migliore definizione di quest’opera la diede a suo tempo lo scrittore
paraguaiano Augusto Roa Bastos, che dalle pagine della storica rivista argentina
“Crisis” la definì come un «allucinante testimonianza sulla tragedia dei nostri
tempi: straziante presenza della realtà nel mondo mitico dell’immaginazione,
nell’ambito imperituro di un poema epico».
Il
legato di Eduardo Galeano
è ricco e duraturo e per quello la sua memoria accompagnerà noi e le
generazioni future. Per questo gli saremo sempre grati. Ma per chi l’ha
conosciuto e frequentato la sua assenza rimane un doloroso vuoto, come il
tavolo del Caffè Brasilero dove si offriva generoso alla conversazione e all’interscambio
di opinioni a chi lo voleva avvicinare. Personalmente cerco un inutile conforto
nelle pagine delle sue lettere, scritte a mano e invariabilmente concluse con
disegni espressivi, e soprattutto con frasi affettuose con le quali gli piaceva
congedarsi. “Vuelan los abrazos” era una delle sue preferite. Certo che sì,
Eduardo: volano gli abbracci. E volino verso di te, ovunque tu sia, e ti
portino la nostra nostalgia e la nostra riconoscenza.
***
Eduardo Galeano – Libri pubblicati
Los días siguientes,
1962.
China 1964. Crónica de un desafío, Buenos Aires, J. Alvarez, 1964.
Los fantasmas del día del
león y otros relatos, 1967.
Guatemala, un país ocupado, México, Editorial Nuestro Tiempo, 1967; trad. it. Guatemala. Una rivoluzione in lingua maya,
Bari, Laterza, 1968.
Reportajes. Tierras de
Latinoamérica, otros puntos cardinales, y algo más, 1967.
Su majestad el fútbol,
1968.
Siete imágenes de
Bolivia, 1971.
Las venas abiertas de America Latina, La Habana, Casa de las Américas, 1971; Il saccheggio dell'America Latina. Ieri e
oggi, Torino, Einaudi, 1972; Le vene
aperte dell’America Latina, prefazione di Isabel Allende, Sperling &
Kupfer, Milano, 2012
Violencia y enajenación, 1971.
Crónicas latinoamericanas, Montevideo,
Giron, 1972; trad. it. Voci da un mondo in rivolta, Bari, Dedalo, 1973.
Vagamundo y otros
relatos, 1973; Vagamundo, Roma, Coletti, 1992.
La canción de nosotros, Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 1975.
Conversaciones con
Raimón, 1977.
Días y noches de amor y de guerra, La Habana, Casa de las Américas, 1978; trad. it. Giorni e notti di amore e di guerra,
Roma, Edizioni Associate, 1987.
La piedra arde, 1980.
Voces de nuestro tiempo,
1981.
Memoria del Fuego, 3
voll., México-Madrid, Siglo Veintiuno, 1982-1986; Memoria del
fuoco, 3 voll., Firenze, Sansoni, 1989.
Contraseña,
Buenos Aires, Ediciones del Sol, 1985; trad. it., L'America non ancora scoperta, Roma, Edizioni Associate, 1987.
Ventana sobre Sandino,
1985.
Aventuras de los jóvenes
dioses, 1986.
La encrucijada de la
biodiversidad colombiana, 1986.
El descubrimiento de
América que todavía no fue y otros escritos, 1986.
Entrevistas y artículos
(1962-1987), 1988.
Nosotros decimos no.
Crónicas (1963-1988), 1989.
El libro de los abrazos, Madrid, Siglo Veintiuno de España, 1989; trad. it.
Il libro degli abbracci, Firenze,
Sansoni, 1992.
América Latina para
entenderte mejor, 1990.
Palabras: antología
personal, 1990.
El Tigre Azul y Otros Artículos, La Habana, Editorial de ciencias sociales, 1991;
trad. it. La conquista che non scoprì
l'America, Roma, Manifestolibri, 1992. ISBN
88-7285-035-5.
Ser como ellos y otros
artículos, 1992.
Amares (Antología de
relatos), 1993.
Las palabras andantes, Madrid, Siglo Ventiuno de España, 1993; trad. it. Las palabras andantes, Milano A.
Mondadori, 1996.
Úselo y tírelo, 1994.
El fútbol a sol y sombra, Madrid, Siglo veintiuno, 1995; trad. it. Splendori e miserie del gioco del calcio,
Milano, Sperling & Kupfer, 1997.
Mujeres (antología de textos), 1995.
Patas arriba. La
escuela del mundo al revés, Madrid, Siglo Veintiuno, 1998; trad. it. A testa in giù, Milano,
Sperling & Kupfer, 1999.
An Uncertain Grace, Taschenbuch
Verlag, München, 1997; Un
incerto stato di grazia, fotografie di Sebastião Salgado; testi di Eduardo Galeano e Fred Ritchin, Roma,
Contrasto, 2002.
Bocas del Tiempo, Madrid, Siglo Veintiuno de España, 2004; Le labbra del tempo, Milano, Sperling & Kupfer, 2004.
Carta al señor futuro,
2007.
Espejos. Una historia casi universal, Madrid, Siglo Veintiuno de España, 2008; Specchi. [Una storia quasi universale], Milano, Sperling & Kupfer, 2008.
Los hijos de los días, Buenos Aires, Siglo veintiuno, 2012; I figli dei giorni, Milano, Sperling
& Kupfer, 2012.