PRIMO PIANO
EDUARDO GALEANO
(1940-2015)
Uno scrittore ferventemente latinoamericano


      
È morto lo scorso 13 aprile a Montevideo il grande autore uruguayano, che ha saputo combinare in modo mirabile la riflessione storica e culturale e lo slancio letterario fin dal suo capitale libro del 1971 “Le vene aperte dell’America Latina”. La sua inimitabile cifra è consistita nella capacità di infrangere le frontiere dei generi letterari, mescolando il rigore del documento con l’invenzione narrativa, con il particolarismo giornalistico. Tra i suoi volumi da ricordare: “La canción de nosotros” (1975) sulla repressione militare nel suo paese e la straordinaria, mitopoietica trilogia “Memoria del fuoco”.
      



      

 

 

di Martha L. Canfield

 

Addio Galeano! Volano gli abbracci verso di te!

 

Lo scorso 13 aprile è morto a Montevideo Eduardo Galeano. Aveva soltanto 74 anni, ma era da tempo malato di tumore ai polmoni. In Uruguay è stato immediatamente dichiarato lutto nazionale ed è stata allestita la camera ardente nello storico Salón de los Pasos Perdidos nel Palazzo Legislativo di Montevideo. Lì egli ha ricevuto l’omaggio del presidente, Tabaré Vázquez, e di tutte le più alte cariche dello stato. Tra di loro è stato particolarmente commovente il saluto dell’ex-presidente, ora senatore, José Mujica, che lo definí un “vero eletto” che ha saputo dignificare l’America Latina per quarant’anni.

È chiaro che l’assenza di Galeano si sentirà dolorosamente, prima di tutto nella sua città, dove era facile vederlo per strada e anche sedersi a chiacchierare con lui in un bar della Ciudad Vieja, come viene chiamato il quartiere più antico, risalente al Settecento e di architettura prevalentemente coloniale, che lui frequentava quotidianamente. È il “Café Brasilero”, in via Ituzaingó e “vicinissimo alla Cattedrale”, come lui teneva a sottolineare quando fissava appuntamenti lì, dove gli piaceva trascorrere le mattinate, leggendo, scrivendo e, appunto, parlando con chi andava a trovarlo. Ma la sua assenza si sentirà anche a livello continentale e internazionale, essendo stato uno dei principali fondatori di quello che a partire dal secondo Novecento cominciò ad affermarsi nella coscienza storica e culturale dell’America Latina, e cioè l’identità latinoamericana. Per secoli, dopo la conquista e durante la colonia, ma anche nei primi cento o forse anche centocinquant’anni delle nuove repubbliche americane, predominava una forte incomunicabilità fra un paese e l’altro e ogni repubblica guardava soprattutto verso l’Europa o verso gli Stati Uniti, succubi di quella “nordomania” che José Enrique Rodó, conterraneo di Galeano, aveva focalizzato e denunciato già nel 1900[1]. Eduardo Galeano è stato uno di quelli che subito e con grande intensità si dedicò a studiare gli elementi di collegamento tra le nazioni latinoamericane e gli interessi in drammatico contrasto con gli Stati Uniti, così come con diverse potenze europee. Il primo libro in cui affrontò questo argomento guadagnò subito una grande accoglienza e diventò un punto di riferimento inevitabile per chi voleva studiare la storia latinoamericana: il libro era Las venas abiertas de la América Latina, pubblicato in spagnolo nel 1971 e qualche mese dopo tradotto in italiano come Il saccheggio dell’America Latina. Ieri e oggi[2], probabilmente perché sembrava che la drammatica metafora delle “vene aperte” non si potesse riproporre ugualmente in italiano. Purtroppo a volte traduttore o editore si lasciano condizionare da questi pregiudizi. Ma per fortuna qualche volta ci ripensano, e in effetti qualche anno dopo uscì una nuova edizione di questo libro – considerato “super best seller” nel mercato editoriale – con il titolo tradotto letteralmente: Le vene aperte dell’America Latina. Forse quello è avvenuto dopo che si diffuse anche in Italia la canzone di Mercedes Sosa che, quasi come un’eco del libro di Galeano, diceva:

 

Tenemos muchas heridas

Los latinoamericanos.

[…]

Tenemos venas abiertas

Corazones castigados

Somos fervientemente

Latinoamericanos.

 

 

                                                  

                                     Eduardo Galeano in una foto recente

 

 

Le vene aperte erano la metafora della ferita attraverso la quale fluiva non soltanto il sangue latinoamericano, ma anche le ricchezze della terra, le preziose risorse: l’oro, l’argento, il cacao, il cotone, il petrolio, il caucciù, il rame, il ferro..., depredate sistematicamente, prima dalle potenze coloniali, dopo dalle multinazionali europee e nordamericane. Questo valore di denuncia è quello che Hugo Chávez ha voluto far presente a Obama quando gli portò il libro come regalo al meeting delle Americhe del Sud, in Trinidad e Tobago, nell’aprile 2009. Il gesto, che Obama interpretò come un invito al dialogo, fece notizia in tutto il mondo, e si dice che le vendite del libro aumentarono strepitosamente. Ma forse non ce n’era bisogno. Quel libro è sempre stato un best seller.

Il grande legato lasciato da Galeano è questa coscienza latinoamericana, questo orgoglio di un’identità continentale che, malgrado le differenze di partenza, si forma attraverso cinque secoli di storia comune e sboccia in una fierezza identitaria: «Siamo ferventemente / latinoamericani», come dice la canzone già citata di Mercedes Sosa. Eppure la sua eredità non finisce lì: lui ci ha insegnato un modo diverso di affrontare la storia, un modo diverso di scriverla e di accattivare di conseguenza il lettore: con Memoria del fuoco, tre sostanziosi volumi usciti in spagnolo nel 1986 e in traduzione italiana tre anni dopo, ci racconta in brevi capitoli densi di contenuto e poetici nello slancio stilistico, la storia dell’America dalla scoperta fino all’epoca contemporanea. La sua originalità risiede innanzi tutto nel voler partire dalle radici preispaniche – troppo spesso dimenticate o riassunte brevemente nei libri di storia generale o nelle antologie letterarie –, evocando i vari miti delle varie culture originarie; e poi nel combinare fonti storiche con notizie giornalistiche in modo da rendere il racconto agile, incalzante e coinvolgente. Nessuno prima aveva combinato in questo modo giornalismo e storia.

Forse la cifra più personale di Galeano è stata quella di infrangere le frontiere dei generi letterari, di combinare il rigore del documento con l’invenzione narrativa, la cernita storica con il particolarismo giornalistico. Questa combinazione irriverente e accattivante ha sedotto i lettori e ha trasformato molti dei suoi libri in veri best seller, uno dei quali è senz’altro La canción de nosotros, scritto in Argentina, già in esilio dopo il golpe in Uruguay, pubblicato nel 1975 e vincitore subito dopo del prestigioso Premio Casa de las Américas di Cuba. Il libro colpì critici e lettori perché mescolava la finzione narrativa con la testimonianza degli orrori vissuti sotto la crudele repressione militare in Uruguay, il linguaggio puramente informativo con lo slancio lirico. Forse la migliore definizione di quest’opera la diede a suo tempo lo scrittore paraguaiano Augusto Roa Bastos, che dalle pagine della storica rivista argentina “Crisis” la definì come un «allucinante testimonianza sulla tragedia dei nostri tempi: straziante presenza della realtà nel mondo mitico dell’immaginazione, nell’ambito imperituro di un poema epico».

Il legato di Eduardo Galeano è ricco e duraturo e per quello la sua memoria accompagnerà noi e le generazioni future. Per questo gli saremo sempre grati. Ma per chi l’ha conosciuto e frequentato la sua assenza rimane un doloroso vuoto, come il tavolo del Caffè Brasilero dove si offriva generoso alla conversazione e all’interscambio di opinioni a chi lo voleva avvicinare. Personalmente cerco un inutile conforto nelle pagine delle sue lettere, scritte a mano e invariabilmente concluse con disegni espressivi, e soprattutto con frasi affettuose con le quali gli piaceva congedarsi. “Vuelan los abrazos” era una delle sue preferite. Certo che sì, Eduardo: volano gli abbracci. E volino verso di te, ovunque tu sia, e ti portino la nostra nostalgia e la nostra riconoscenza.

 

                                                                                   ***





Eduardo Galeano – Libri pubblicati

 

Los días siguientes, 1962.

China 1964. Crónica de un desafío, Buenos Aires, J. Alvarez, 1964.

Los fantasmas del día del león y otros relatos, 1967.

Guatemala, un país ocupado, México, Editorial Nuestro Tiempo, 1967; trad. it. Guatemala. Una rivoluzione in lingua maya, Bari, Laterza, 1968.

Reportajes. Tierras de Latinoamérica, otros puntos cardinales, y algo más, 1967.

Su majestad el fútbol, 1968.

Siete imágenes de Bolivia, 1971.

Las venas abiertas de America Latina, La Habana, Casa de las Américas, 1971; Il saccheggio dell'America Latina. Ieri e oggi, Torino, Einaudi, 1972; Le vene aperte dell’America Latina, prefazione di Isabel Allende, Sperling & Kupfer, Milano, 2012

Violencia y enajenación, 1971.

Crónicas latinoamericanas, Montevideo, Giron, 1972; trad. it. Voci da un mondo in rivolta, Bari, Dedalo, 1973.

Vagamundo y otros relatos, 1973; Vagamundo, Roma, Coletti, 1992.

La canción de nosotros, Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 1975.

Conversaciones con Raimón, 1977.

Días y noches de amor y de guerra, La Habana, Casa de las Américas, 1978; trad. it. Giorni e notti di amore e di guerra, Roma, Edizioni Associate, 1987.

La piedra arde, 1980.

Voces de nuestro tiempo, 1981.

Memoria del Fuego, 3 voll., México-Madrid, Siglo Veintiuno, 1982-1986; Memoria del fuoco, 3 voll., Firenze, Sansoni, 1989.

Contraseña, Buenos Aires, Ediciones del Sol, 1985; trad. it., L'America non ancora scoperta, Roma, Edizioni Associate, 1987.

Ventana sobre Sandino, 1985.

Aventuras de los jóvenes dioses, 1986.

La encrucijada de la biodiversidad colombiana, 1986.

El descubrimiento de América que todavía no fue y otros escritos, 1986.

Entrevistas y artículos (1962-1987), 1988.

Nosotros decimos no. Crónicas (1963-1988), 1989.

El libro de los abrazos, Madrid, Siglo Veintiuno de España, 1989; trad. it. Il libro degli abbracci, Firenze, Sansoni, 1992.

América Latina para entenderte mejor, 1990.

Palabras: antología personal, 1990.

El Tigre Azul y Otros Artículos, La Habana, Editorial de ciencias sociales, 1991; trad. it. La conquista che non scoprì l'America, Roma, Manifestolibri, 1992. ISBN 88-7285-035-5.

Ser como ellos y otros artículos, 1992.

Amares (Antología de relatos), 1993.

Las palabras andantes, Madrid, Siglo Ventiuno de España, 1993; trad. it. Las palabras andantes, Milano A. Mondadori, 1996.

Úselo y tírelo, 1994.

El fútbol a sol y sombra, Madrid, Siglo veintiuno, 1995; trad. it. Splendori e miserie del gioco del calcio, Milano, Sperling & Kupfer, 1997.

Mujeres (antología de textos), 1995.

Patas arriba. La escuela del mundo al revés, Madrid, Siglo Veintiuno, 1998; trad. it. A testa in giù, Milano, Sperling & Kupfer, 1999.

An Uncertain Grace, Taschenbuch Verlag, München, 1997; Un incerto stato di grazia, fotografie di Sebastião Salgado; testi di Eduardo Galeano e Fred Ritchin, Roma, Contrasto, 2002.

Bocas del Tiempo, Madrid, Siglo Veintiuno de España, 2004; Le labbra del tempo, Milano, Sperling & Kupfer, 2004.

Carta al señor futuro, 2007.

Espejos. Una historia casi universal, Madrid, Siglo Veintiuno de España, 2008; Specchi. [Una storia quasi universale], Milano, Sperling & Kupfer, 2008.

Los hijos de los días, Buenos Aires, Siglo veintiuno, 2012; I figli dei giorni, Milano, Sperling & Kupfer, 2012.

 

 

 



[1] Si veda il suo celebre Ariel, presente anche in traduzione italiana: J. E. Rodó, Ariele, introduzione, bibliografia e indici a cura di Martha Canfield, traduzione di Diego Símini, Alinea Editrice, Firenze, 2000.

[2] Eduardo Galeano, Il saccheggio dell’America Latina. Ieri e oggi, Einaudi, Torino, 1972; Le vene aperte dell’America Latina, Sperling & Kupfer, Milano, 1997.




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