PRIMO PIANO
PROPOSTE SCENICHE
“1933”: per un teatro delle voci dei grandi intellettuali


      
‘Mise en espace’ lo scorso marzo alla sala Porta Portese di Roma di un testo dello scrittore-critico romano che pone felicemente in risonanza e in indiretto dialogo politico-culturale e ideale-ideologico, nel fatidico anno dell’ascesa al potere di Hitler, alcune eminenti figure letterarie e filosofiche: da Gramsci a Joyce, da Artaud a Bachtin, da García Lorca a Walter Benjamin – interpolati da Gadda e Virginia Woolf, Breton e Céline, Majakovskij e Bertolt Brecht. Pubblichiamo qui l’intero copione rielaborato rispetto all’originale pubblicazione in “Verbigerazioni catamoderne” (Tracce, 2012).
      



      

 

 

di Francesco Muzzioli

 

 

Nel quadro di un ciclo organizzato dall’Associazione Entroterra, ho portato in teatro il mio testo 1933, nei giorni di marzo 20 e 21 2015, con la partecipazione degli attori Susy Sergiacomo e Tonino Tosto e l’assistenza tecnica di Francesca Foglietta.

Il testo era compreso in Verbigerazioni catamoderne (Tracce, 2012) insieme ad altri testi “polifonici”, attestanti una vocazione teatrale attiva da tempo (già in Recitazioni, Le impronte degli uccelli, 2000), ma che con questo esperimento si è venuta precisando attraverso una serie di sottrazioni: un teatro senza scena vera e propria, senza costumi, senza caratteri psicologici, insomma senza nulla dell’apparato della finzione antropomorfa. Direi quasi senza gesto, in quanto la carica espressiva avrebbe dovuto concentrarsi tutta nella recitazione. Quanto più immobili i corpi e tanto più dinamica e in movimento sarebbe stata la performance vocale. La formula: per un teatro delle voci.

1933 è evidentemente una data storica. Il testo vuole essere uno “spaccato” che coglie la situazione dei grandi intellettuali dell’epoca, in un momento molto problematico in tutte le parti d’Europa. Vengono focalizzati sei “quadri”: in Italia, Gramsci è in carcere in pessime condizioni di salute; Joyce (rappresentante dell’area di lingua inglese) è sotto processo per l’Ulisse; in Francia, Artaud ha rotto con i surrealisti ed è sulla soglia della follia; in Russia, Bachtin è stato condannato al confino in Kazakistan per attività sovversiva; in Spagna, García Lorca fa le sue letture pubbliche e si occupa del suo teatro, ma sta per essere travolto dalla guerra civile; in Germania, Benjamin lascia definitivamente Berlino dopo l’avvento del nazismo. Tutti si trovano in grande difficoltà e pericolo, sono misconosciuti ed emarginati, non possono certo sapere che per noi diventeranno i massimi ingegni del secolo.

Il testo accenna a materiale biografico, quindi mette i piedi nel fulcro dell’ideologia attuale, questa arrembante personalizzazione delle idee che riduce tutto a quotidianità affettive empaticamente consumabili; in questo caso, però, i personaggi – pur richiamandosi al loro proprio “dato” – assumono valenze allegoriche in quanto rappresentano e sostengono ciascuno una posizione teorico-letteraria. Non a caso, in ciascun quadro, vengono accompagnati da altre figure – che magari non hanno mai conosciuto personalmente – ma che sostengono un ruolo dialettico: accanto a Gramsci compare Gadda, cauto durante e infuocato dopo il fascismo; Joyce ha per contraltare femminista Virginia Woolf; Artaud è stretto tra Breton a sinistra e Céline a destra; nel quadro di Bachtin, appare Majakovskij, che però nel ’33 si è già suicidato ed ha quindi sostanza di spettro ammonitore; García Lorca ha il coro del suo teatro; accanto a Benjamin risuona la voce dell’amico Bert Brecht che è partito per l’esilio poco prima di lui.

Perché proprio il 1933?, mi ha domandato qualcuno. Non andavano bene anche l’anno prima o quello dopo? Rispondo che è una data davvero decisiva per l’ascesa di Hitler e l’incendio del Reichstag. Però, ha influito sicuramente anche la sonorità della cifra, che sta nell’orecchio: gli anni di Cristo, il dottore “dica 33”, lo scioglilingua dei “trentantrè trentini entrarono in Trento…”.

Il senso? Ho pensato a un senso consolatorio, addirittura duplice: primo, noi non siamo messi così male, quando ci lamentiamo pensiamo a loro che stavano peggio. Secondo: se anche le cose dovessero peggiorare, allora il 1933 ci dimostra che nelle strettezze si acuisce l’intelligenza, e quindi potrebbe crescerci anche a noi... Consolazioni magre tutt’e due: resta una indicazione di valenza, la voglia di stare sulla scia di questo Novecento eterodosso e irriducibile, rigoroso e radicale. Ma non solo nella caratura intellettuale, anche e soprattutto nella sensibilità per la dissonanza, per il ritmo interrotto, per la varietà di passo. Di qui un “teatro di parola”, indubbiamente, al seguito di un testo che ricerca la complessità dello spessore poetico; per quanto, piuttosto, come dicevo, è fondamentalmente un “teatro delle voci”, che ha la sua istanza primaria nella pulsione fonica.

Poiché durante il lavoro di allestimento abbiamo apportato varie modifiche al testo in volume, soprattutto per adattarlo e farlo combaciare ai tempi del commento musicale, mi pare giusto riproporre qui l’ultima versione a tutti gli effetti nuova.

 

***

 

1933

recitativo teorico-critico a più voci

in sei quadri, un prologo e un  finale

 

 

PROLOGO

 

Dove se sono andati i giganti

i crani grondanti di grandi visioni?

forse quando il mondo s’è stretto

nelle distanze divenute brevi

che in poco tempo mete transcontinentali,

varchi ovunque…

e dunque senza altrove

dunque

quelli non hanno più avuto spazio

lo spazio necessario a esercitare la mente

– ora è demandata al calcolo spicciolo e dunque

non sono stati più possibili.

 

Non resta ora che far capo alle tracce

da omuncoli schizzati quali siamo

facendo finta di essere geologi

per mera rilevazione d’atti

assumere l’atteggiamento

di visitatori provenienti da lontano

dato il tempo trascorso e soprattutto

la differenza delle condizioni

con strumenti adatti

provare

a captarne le voci frantumate

 

andare a uno spaccato e farli muovere vorremmo

 per una soddisfazione momentanea

(zitti, che nessuno ci sentisse)

restituirli come ombre

sul telone miserabile di un testo

dove vecchio e nuovo

e tempo e spazio si confondono

e questo ingorgo che siamo

si rimescola

e forse intriga chissà

noi catamoderni nani

 

disperati e folli andarono spinti

dalla tempesta europea

elati per spicco

senza volerlo

senza saperlo neppure





I quadro

 

GRAMSCI

 

SPEAKER

bisogna che a questo cervello

sia impedito di funzionare

(rumori)

 

GRAMSCI

pezzo per pezzo foglio su foglio

faccio lo spoglio minimo appiglio

se mi ci applico senza ribrezzo

corpo d’un mondo testare voglio

fosse un abbaglio fosse un bisbiglio

non conta un fico se resto a mezzo

mozzo quaderno che cazzo dico?

 

come è possibile che lo comprenda

recluso in interno incistato nella cella?

serve solo per non diventare pazzo per

resistere, -istere, -istere

….a questi rumori

 

SPEAKER

nelle condizioni attuali

non potrà sopravvivere a lungo

se non trasferito in altro luogo

lontano dai rumori

ai quali è particolarmente sensibile

 

GRAMSCI

la rivoluzione contro il c(C)apitale

è stata la miglior battuta della mia ironia

perché l’aurora rossa che ha dato inizio alla storia

del comunismo era contraria alle previsioni

del suo principale teorico non lo conferma

quindi ma lo smentisce o meglio dimostra

il materialismo della contingenza

e infatti perché nell’ircania sì nell’ausonia no

entrambe arretrate cosa è mancato a noi

perché abbiamo perso la guerra di classe?

 

non è soltanto il caso

né vale il purchessia

ma quel che conta

è l’egemonia

 

SPEAKER

(lo ripete parodisticamente)

non è soltanto il caso

né vale il purchessia

ma quel che conta

è l’egemonia

 

l’egemonia è nostra e quindi se ci pare

a quel cervello impediamo di pensare

(riprendono i rumori)

 

GRAMSCI

se la politica è una guerra di posizione

molto dipende dai rifornimenti

dalle casematte della cultura

 

la presa di potere con la forza delle armi

necessita comunque del consenso

il quale a sua volta si fonda

sulla base del senso comune

 

senza cambiare il senso comune

non c’è verso di poter prevalere

o anche se la fortuna arridesse

non di cambiare veramente il mondo

 

perciò la lotta culturale è essenziale

per il formarsi di una controegemonia

(perché l’egemonia è della classe dominante ovviamente)

e perciò occorre studiare i gruppi intellettuali

come si formano come si muovono come si posizionano

le strategie il divenire della cultura attraverso le riviste, i periodici,

ed anche agli artisti si deve chiedere

un peso culturale oltre che un valore estetico

né l’estetico è mai separabile da quell’incidenza

che nell’insieme produce la nuova cultura

 

SPEAKER

oggi nell’alzarsi dal letto

è caduto lungo disteso

senza riuscire a rialzarsi

rimanendo in uno stato

di debolezza e di torpore allucinato

si sospetta l’anemia cerebrale

 

GRAMSCI

distruggere gerarchie spirituali, idoli, tradizioni irrigidite sì

ma quanto modesta la polemica contenutisti contro calligrafi

un dibattito scontato entro suoi precisi limiti

in quanto non può venire detto il centro della questione

che per l’appunto consiste nella violenta censura

sembra davvero di perdersi dentro questi rumori

 

GADDA

(parla sporgendo il capo da un bidone)

 

il tenore encomiastico degli scritti tecnici

non tragga in inganno

– io l’ingenuo ingegnere

il mite matematico il meritevole retore

dovendo pur nel lesso intingere

ora ne pago a soprammercato in questo lezzo –

 

ma lascia che il rospo velenoso lo risputi

lascia che l’ammiraglio s’avvii s’avventi

per vent’anni dietro a suoi navigli di carta

comandati a farsi fottere dove faranno rotta

e sarà rotta davvero e rotto il culiseo

burbanzoso somaro dell’enfiate cazzate

sgrondate di mascella

er sommo buce

ne verrò per legittima vendetta ­– dopo –

scarno oco di povero madrigale

a riscattarne le sillabe dallo sconciato parletico

a forza di tenace verbigerazione

 

 

GRAMSCI

come chi qui si occupa di calze e di mutande

tutti sono intellettuali ed è intellettuale

la loro convinzione che implica mente e corpo

e per questo non può essere mutata

attraverso il solo ragionamento

 

e come il cervello è un organo del corpo

né funziona se gli si guasta il corpo

così degli intellettuali è il corpo

quel che è detto lo “spirito di corpo”

che è un modo per proteggersi il corpo

per espandere e prolungare il corpo

 

che poi acclarandosi infine in un io

una semplice unità non credo l’io

ma come un’assemblea discorde io

devo trovarvi se posso equilibrio

è come un blocco storico anche l’io

psicologia è politica nell’io

 

SPEAKER

non che non vedesse nostro tiranno mediatico

da tardimpero altroché priapesco

né tampoco di poi il liquidatore generale

ma peccato che non vedesse

quei 25, di luglio e di aprile





James Joyce


II quadro

 

JOYCE

 

JOYCE

farfugliofungo m’ho cuccat’o soccappio e sblattero

tristramio paa la squallanza dii temp’ismortoli

la caducta sbadabalka d’ona granchia olturia

c’avè prestitigghio di maggiù scolo antàn-tàn

la pftichjute de humselfio ca fa strolimar de risi

li orangi e le mancruspie – oh bell’allori

e l’allore c’allure du profespior le sborze bozzute

co’ portateur assistonto coschedun i’era bon

a grancult – mo’ misteabondo e parlicarenzo

la cervicocchia sbrodata no inzucchia unqua

intraductibile scatonfia sbraghese si liquesfinge

di borbogligmi scurrevoli svianze cronniche

(VM fa icché ti vo’ telemit)

alluma ’l vetropendolo

clama bebestemmi nell’inclitoride clesia

mentr’inviticchio salumato sviperonzolo e

mi spesseggio con lucy alla sveglia di Pazzigan

 

SPEAKER

non è forse questa l’opera di una mente disordinata?

 

JOYCE

tumescenza e detumescenza, l’effetto di lingerie,

nel soffuso rossore della sera, fuochi artificiali,

in modo che non si notasse l’andatura zoppa,

in mezzo al banale quotidiano, chiassosi gemelli,

si rialzò la gonna, ma soltanto un poco,

con le tonanti armonie di un organo,

la fece vibrare nervo per nervo, solo l’occhio,

calciò la palla, risalì la spiaggia con il cappello,

l’istinto le disse che aveva risvegliato il diavolo,

se ne accorse dall’irritazione della pelle,

risistemò il cappello, è per te, cominciarono a prepararsi,

soffocò una mezza esclamazione, il volto soffuso,

un lampo al di là degli alberi, azzurro verde violetto,

le giarrettiere erano azzurre, tremava in ogni parte,

in un silenzio teso, a tutti mancò il fiato,

poteva vedere quel che voleva, avrebbe voluto gridare,

il lungo bengala scoppiò con una pioggia di fili d’oro,

tutto si sciolse in forma di rugiada nell’aria grigia

 

SPEAKER

e non è lo sguardo malizioso del sensualista

teso a fomentare gli impulsi sessuali

e condurre a pensieri lussuriosi e atti impuri?

 

JOYCE

farlo finire con sì almeno non direte ch’è negativo farci

la presa diretta almeno non direte che non è spontaneo

che non è autentico mica uno scherzo farlo dilungare

farlo dilinguare non metterci manc’un punto fisso un flusso

ma di quei flussi sì e abbondantissimi

un insieme di supposizioni di suppurazioni uno scatenato

delirio che comprende e ingloba le interferenze esterne

frseeeeeeeefronnnng persino il fischio del treno che passa

farci salire a galla quel che di solito non trapela ma riciccia

tra il lusco e il brusco tra veglia e sonno nelle adiacenze

nelle intercorrenze farle salire dal vecchio letto bozzoloso

tintinnante con qualche fantasia goduriosa nelle analogie

in una abbondanza di fregole sfarfallanti in una logica

culinaria perché indefinibile pasticcio con citazioni

farlo concitare farlo sobbalzare come se non finisse

come se continuasse in eterno di digressione in digressione

anche se invece farlo finire con l’assoluta affermatività

così non direte ch’è negativo sì lo voglio sì sì e sì

 

SPEAKER

e non si dica che non contiene titillazioni sessuali…

 

JOYCE

ridicole proiezioni di chi sente

appunto su di sé l’effetto sovversivo

e non vuol riconoscerlo per proprio

 

ma basta – a questo bipede sgangherato

che sta in piedi per scommessa e provvisoriamente

affetto da una miriade di sofferenze

di incomprensioni di dubbi

di angosce di illusioni di sfortune

di fitte di occlusioni di pericoli

di sfibramenti di ansie di tormenti

sia lasciato almeno il breve sfogo

di un minimo di godimento

 

nemmeno quello? allora ditelo…

 

SPEAKER

Ma il giudice di New York decreta

che sebbene molti passi dell’Ulisse

facciano davvero venir da vomitare

sono di fatto catartici,

cioè calcolati per placare

piuttosto che per eccitare

quindi non tendono

ad effetti “afrodisiaci”

 

giudicato non osceno e

da ritenersi non pornografico

è ammesso alla pubblicazione

 

da notare che nello stesso anno

è proibita in Germania

l’opera di Freud

 

 

VIRGINIA WOOLF

(affacciandosi sulla soglia del tribunale)

 

se volessimo con gli occhi dell’immaginazione

aprire la porta dalla quale siamo escluse

apparirebbe allo sguardo uno strano rituale

qualcuno al centro con una buffa parrucca

ogni tanto suona con forza un campanello

alcuni stanno impalati forse cuciti o fusi

dentro uniformi colorate con i secchielli in capo

un altro in palandrana strepita agitando una carta

davanti a uno studentello malaticcio che si gratta i brufoli

da dirsi sicuramente segaiolo dal solo aspetto

gli domanda se veramente ha scritto lui le parolacce

gli astanti ogni tanto esprimono meraviglia

e si scandalizzano a un segno convenuto

 

Con gli occhi dell’immaginazione guardiamo

il corteo dei figli degli uomini colti

che passa cantando l’allegro ritornello

 

girotondo del mondo giocondo

proprietà proprietà proprietà

 

una raccolta di fondi per combattere il fascismo? bene

ma perché invece non parliamo del fascismo domestico?

quello che – secondo l’opinione dei molti –

è il vero uomo la quintessenza del virile

che si ritiene in dovere di asserire di asservire

di imporre il volere, chiamato tiranno o dittatore

non solo nel pubblico ma nel privato di norma

ancor più ritiene di detenere potere e dominio

lo assapora con il contorno di aggettivi possessivi

noi le “sue” donne le chiude a chiave nelle proprie dimore

dalla voce prepotente dal pugno duro puerilmente

gioca a tracciare sulla superficie della terra

cerchi di gesso per suddividere e ammassare esseri

 

di nuovo con l’immaginazione guardiamo

il corteo dei figli degli uomini colti

che passa cantando l’allegro ritornello

 

girotondo del mondo giocondo

proprietà proprietà proprietà

 

flush la donna, il cane

la donna è un cane? è meno?

il cane scompare senza accorgersene

e la donna? (basta lasciarsi andare

nella corrente e flush?)

lei era donna lui era cane

ecco tutto – tutto





Antonin Artaud


Nel 1933, il Distretto di New York fu chiamato a decidere in merito alla libertà di espressione sancita dal Primo Emendamento: sotto accusa nientepopodimeno che James Joyce per il romanzo “Ulisse”, dichiarato osceno. In particolare, per "Nausicäa episode", in cui Joyce descrive una masturbazione, pubblicato prima della stampa del libro su una rivista che veniva inviata per posta a potenziali abbonati: una copia finì nelle mani di una ragazza di età sconosciuta che rimase scioccata dalla lettura e mandò una lettera di protesta. Ne scaturì un caso giudiziario. Dato che il capitolo era stato pubblicato a parte, non poteva essere giudicata l’opera nel suo intero. La Corte affermò che il romanzo sembrava «

» e condannò gli editori della

rivista che dovettero sospendere le pubblicazioni negli Stati Uniti per più di dieci anni. Gli Stati Uniti dichiararono l’opera di Joyce oscena e quindi non

importabile, soggetta a confisca e distruzione. La casa editrice del libro, la Random House, obiettò che l’opera era protetta dal Primo Emendamento. Dopo un primo patteggiamento tra le parti, l’opera di Joyce, specialmente nel soliloquio di Molly Bloom (il noto flusso di coscienza di cui Joyce è considerato un maestro, ndr); di essere blasfema, in particolare anti-cattolica; di portare in superficie pensieri e desideri che solitamente sono repressi. Tutto ciò fu considerato una minaccia alle «credenze morali, religiose e politiche». In breve, fu ritenuta un’opera sovversiva. La difesa cercò di minimizzare gli elementi sovversivi

o potenzialmente offensivi e di enfatizzare l’integrità artistica dell’opera e la sua serietà morale, sostenendo che si trattava di un classico. Il giudice John M. Woolsey stabilì che l’Ulisse non era da poiché non vi era nulla che facesse pensare allo « ». Riconoscendo lo straordinario successo dell’uso che aveva fatto Joyce della tecnica del flusso di coscienza, il giudice dichiarò che si trattava di un romanzo importante e che il suo autore era stato sincero e onesto nel mostrare cosa pensano e il modo in cui operano le menti dei suoi personaggi. Stabilito dunque che l’opera non era stata concepita con intenti pornografici, bisognava stabilire se fosse da considerarsi oggettivamente oscena secondo le leggi in vigore, ovvero se poteva « ».

Di conseguenza, fu negli Stati Uniti. Cento copie dell’Ulisse furono pubblicate prontamente nel gennaio del 1934 ed ottennero il copyright americano: fu la prima pubblicazione legale dell’Ulisse in una

 

nello stesso anno in Germania fu messo al bando Freud

 


 

III quadro

 

ARTAUD

 

BRETON

(dall’alto di un podio)

 

la sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta

 

non sarà la paura della pazzia a farci lasciare a mezz’asta la bandiera dell’immaginazione

 

diamo un’adesione totale senza riserve al principio del materialismo storico

 

il poeta futuro supererà la deprimente idea dell’irreparabile divorzio dell’azione e del sogno

 

queste percezioni presentano un carattere sconvolgente rivoluzionario nel senso che chiamano imperiosamente nella realtà esterna qualcosa che gli risponda

 

se volete la pace preparate la guerra civile

 

trasformare il mondo cambiare la vita queste due parole d’ordine ne fanno una

 

alla luce del sole

 

 

ARTAUD

no nella notte più fonda

 

disprezzo troppo la vita

almeno quanto essi l’amano

 

avere uno scopo utile

mi è sempre parso rivoltante

 

“impegnare” è lasciare qualcosa in pegno

alla realtà per potervi rientrare

e non lasciare che il mondo

non si regga più in piedi

 

la voce collettiva è sempre quella di uno

 

il movimento che va da una sola parte

non va da nessuna parte

 

il gruppo è un finzione ridicola

che inanella sentenze arbitrarie

piovute ad effetto dall’alto

e si genuflette al dio del momento

adesso è la rivoluzione?

non c’è buona rivoluzione altro che quella

che mi riguarda personalmente

fin nei pori e nelle flussioni del corpo

 

 

CÉLINE

(come voce dal fondo)

 

allora sono al di là di chiunque

uscito fuori dall’altro lato

davvero e tutt’intero

fino al termine della notte

nella merda dell’abiezione

 

nazista? collaborazionista?

razzista? antisemita?

bagattelle, bagattelle,

lasciateli dire,

gli servirà un mostro

e allora eccomi qua: voilà

 

io il pustoloso l’errante

il pagliaccio il pezzente

l’isterico rabbioso

l’impenitente il vigliacco

il fanatico il sordido

il proditorio il perverso

(continua allontanandosi)

 

 

ARTAUD

no la crudeltà non è sanguinolenta

ma è lucidità e rigore implacabili

è controllo e coscienza applicata

proprio là dov’è una pestilenza

e l’ordine crolla e tutti i soli sono neri

dove fa cadere la maschera e rivela

alla collettività il suo oscuro fondo

è necessario un atteggiamento eroico

 

la significazione del corpo

riscattarla dalla dittatura della parola

il teatro ciò che gli appartiene riprenda

dal cinema, dal musical, dal circo

l’idea dello spettacolo totale

uno spettacolo cifrato

un geroglifico

dove si rimetta in discussione l’uomo

 

l’attore si ricordi di avere un corpo

si esprima attraverso il gesto il respiro

ampio denso sostanziale

carico di riflessi

il resto finisca in grida

 

SPEAKER

Aveva il volto convulso

i capelli bagnati di sudore

gli occhi dilatati

i muscoli irrigiditi

le dita lottavano per conservare

la loro agilità

si sentiva la gola secca

la febbre le viscere

era una tortura

urlava sproloquiava

rappresentava la sua stessa morte

 

era animato da qualcosa di bestiale

bisognava farlo tacere

(gli mette un bavaglio)

 

 

ARTAUD

(sbuffando da sotto il bavaglio)

 

vi è in cima ai monti l’ozono d’una elettricità digestiva

che non fu mai altro che lo stomaco di tutti i corpi

polverizzati andati persi

 

(con sforzo)

un impotere (…) a cristallizzare inconsciamente

(…) il punto (…) infranto (…) dell’automatismo

 

(stentoreo per quanto è possibile)

chi mi opprime con lettere di elogi

ci si pulisca al gabinetto

unico posto in cui l’io si confessa per quel che è

 

(canticchiando)

kama il treno se n’è andato in ule

ha visto rapire la krule di tulé

 

(sillaba per sillaba)

ri-tro-var-si in uno sta-to di e-stre-ma scos-sa

una spe-cie di co-stan-te sper-di-mento

del li-vel-lo nor-ma-le di re-al-tà

 

(rabbioso)

se soltanto si potesse assaporare il proprio nulla

 

(sputacchiando)

(…) scorbuto di seta

(…) dialettica della scienza

 

(soffiando)

che me ne fffffffffffffaccio

di questi sssssssssssimboli?

 

(mormorando)

ora bulda nerkita

 

CORO

(trasformando in slogan pubblicitario urlato)

 

ora bulda nerkita

ora bulda nerkita!

ora bulda nerkita!!

ora bulda nerkita!!!

ora bulda nerkita!!!!





Michail Bachtin


IV quadro

 

BACHTIN

 

SPEAKER

la collettivizzazione compagni

promette il più radioso dei futuri

non più nomadi barbari ma

civilizzati avanzati organizzati

compagni kolchoziani sovietici

della cooperativa distrettuale di consumo

abbiamo qui il nuovo contabile

(il primo contabile perché

non ne abbiamo mai avuto nessuno)

 

BACHTIN

la condanna coincide buffamente

con l’autocondanna

intorsolato tra torsoli esperisco

lo scoronamento completo

delle prerogative intellettuali

il rovescio carnevalesco della ragione

 

e però pur essendo il tutto una parodia

ne manca ogni qualità liberatoria

la esperisco in forma di punizione

comminata da un potere ingiusto

insomma in qualità degradata

 

SPEAKER

ti conosciamo bene tu sei

il professorino borghese

espression del culturame

lurido avanzo dell’oppressione

impicciato nelle cretinerie dei popi

inviato a rieducazione qui in quanto

corruttore della gioventù

cazzuto cacacazzo cazzesco

che vorresti insegnarci a noi

ma ci servi pezzo di merda

tu porco nemico di classe proprio

per la contabilità del mangiare dei porci

 

BACHTIN

ah come suona alle mie orecchie

la cara invettiva popolare

sia pure inconsapevole

il linguaggio di piazza

il dialogismo ingiurioso

delle fiere e dei mercati

l’arrembante ambivalenza

del realismo grottesco

il riso prorompente

del mondo alla rovescia

del carnevale

(a voce alta)

il riso sia con te

dans le nom de Rabelais

 

SPEAKER

rabe-che? non conosciamo

questo tipo di riso

– e poi questo è grano

il buon grano kazako che già

con tutta la collettivizzazione

comincia a scarseggiare

 

anche il compagno contabile

non è poi tanto bene in arnese

ha una gamba mezza cionca

anche le gambe borghesi si guastano

evidentemente

 

MAJAKOVSKIJ

(apparendo come spettro, invisibile ai più)

 

per l’allegria questo pianeta è poco attrezzato

bisogna strappare la gioia ai giorni futuri

Si deve, semplicemente, rifare la vita

 

SPEAKER

basta compagno con le utopie

non abbiamo più bisogno

di compensazioni immaginarie

adesso conta quella cosa là la…

– la prassi?

già, la prasci

e quindi datti da fare

già che ci sei conta anche

il mucchio delle soprascarpe

 

MAJAKOVSKIJ

Cerchiamo il futuro.

Non abbiamo percorso chilometri di strada per sistemarci da noi stessi in un cimitero!

Troppo presto per cantar vittoria

Ci vuol altro:

cambiar di giacca fuori è poco compagni

rivoltatevi dentro

 

SPEAKER

che ha detto? non prenderci in giro

con parole che non intendiamo

è proprio perché non sappiamo contare

che il contabile sei tu – quindi attacca a contare

 

BACHTIN

il canto col ballo va bene in rimando

ma il conto col ballo? contare ballando

adesso ci provo coi numeri in fila

un sacco due sacchi la lista si stila

tre sacchi e poi quattro aggiungo all’istante

aggiungo un saltello un po’ zoppicante

la gamba fa male ma il passo farò

secondo la gamba così passerò

in mezzo alle purghe piccino piccino

non visto in disparte come in nascondino

sei sacchi poi otto e un altro scambietto

se posso sfuggire all’orrore sovietto

e poi nove sacchi a contare arrivo

ma qui l’importante è rimaner vivo

 

contare e ballare come vuole il regime

contare il grano e pesare il concime

coi bravi kazaki nel kolchoz felice

dieci undici sacchi e sette camice

poi dodici sacchi di povero grano

un quanto di pane e un quanto di guano

tra mosche e cimici a lavoro eseguito

ti capita pure il commissar di partito

di tredici sacchi quanti se ne piglia?

e ci mette pure politica striglia

che nel comunismo non ci sono cristi

tutti han da essere stakanovisti

 

ma in fondo che importa ballate kazaki

per festa farete la corsa nei sacchi

e belli ubbriachi vedrete nel sogno

che il cibo è tanto secondo il bisogno

i sacchi son venti son trenta son cento

son mille moltiplicano in un momento

vertigine è il ballo per voi kolchoziani

muovete nel ritmo i piedi e le mani

il contabile spara la cifra che vuole

intanto nel ballo si alzan le suole

coi salti da terra il corpo si stacchi

ballate e ridete i piedi nei sacchi

la testa nel sacco

 

SPEAKER

                           così un letterato

con grande fortuna non venne epurato

lo tenevan d’occhi i suoi superiori

aspettando il momento per farlo fuori

però proprio a loro toccò un po’ più presto 

di essere messi in stato d’arresto

da amico a nemico era facile passo

in quei tempi duri di ferro e di sasso

sicché bellamente la storia dimostra

che il riso prevale e il serio si prostra

 

tra i due alla fine lo dice la rima

stalino è quello che è morto prima





Federico García Lorca


V quadro

 

GARCÍA LORCA

 

GARCÍA LORCA

pendule mele edeniche che un prete statuario

trafigge con spadini argentei da cuore mariano

oppure nuvole che strappa la mano di corallo

(l’immagine cambia) vedi una mandorla di fuoco

pescatori fanciulli sul dorso di pesci d’arsenico

pescecani imbandierati apposta per accecare la folla

aghi e spine che crescono nei tubi del sangue

cadranno su di te (mondo che si rovescia) cadranno

sulla cupola che lingue militari attempate

ungono d’olio mentre un uomo orina nel labirinto

come una splendente colomba (falò tra le canne)

carbone sottomesso al processo e subito masticato

sobbalza per mille campanelli insidiato dal vento

(canne tra i falò) vedi molti mondi nemici

digli che invece vogliamo perenne tenerezza

 

SPEAKER

VM deve gridare finché le rompano la testa nel muro

deve gridare pazza di fuoco

deve gridare pazza di neve

deve gridare con la testa piena di escremento

deve gridare come tutte le notti insieme

deve gridare con voce così lacerata

finché le città non tremino come bambine

e rompano le prigioni dell’olio e della musica

 

LORCA

pane ne avresti fame ma è separato dal vino

in bocca al morto starà terra senza rifugio

(verranno a prenderti per fucilarti nella notte)

 

il riposo sarà un sogno ma nemmeno nel sogno

dove si colgono in flagrante ferite elefantiache

vedrai attrarsi convenientemente i corpi degli animali

invece di milioni di fabbri intenti a battere catene

(secondo l’avanzata di un incontenibile incubo:

la colomba decaduta nel falò nelle canne

un uomo orina mentre lo ungono d’olio nel labirinto

aghi e spine imbandierate di carbone masticato)

i falegnami le casse l’agnello col fagiano si scambia

l’irritante moneta annulla il bacio prodigioso

il vestito nero fonderà i suoi anelli con un telefono

le vesti si apriranno in attesa della pallottola

il cielo è un elefante ed è strano chiamarsi federico

 

SPEAKER

deve gridare finché le rompano la testa nel muro

deve gridare pazza di fuoco

deve gridare pazza di neve

deve gridare con la testa piena di escremento

deve gridare come tutte le notti insieme

deve gridare con voce così lacerata

finché le città non tremino come bambine

e rompano le prigioni dell’olio e della musica

 

GARCÍA LORCA

New York di ferro e di fango (qui dall’alto) non sono venuto

per vedere il cielo ma gli interminabili treni con le rose ammanettate

che ogni giorno trasportano milioni di anitre

di maiali di vacche d’agnelli di galli e infine

di colombe sotto un cielo che cade a pezzi

non si può sopportare quest’alba di gocce

di moltiplicazioni di buchi di denti di monti di cemento

di sputi (ma gli animali non si dimenticano) le anitre

le colombe i maiali gli agnelli sotto le moltiplicazioni

sono venuto per vedere il sangue le macchine nelle cateratte

di New York (i treni dei profumieri con il latte di rose

i milioni interminabili nel sogno di un cielo a pezzi

il sangue delle macchine dei dormitori tenero sotto le somme

sotto le divisioni interminabili sotto i treni) l’immagine

si ferma nell’ambito di movimenti di insetti –

non è l’inferno è la strada soltanto una bottega

 

SPEAKER

deve gridare finché le rompano la testa nel muro?

deve gridare pazza di fuoco?

deve gridare pazza di neve?

deve gridare con la testa piena di escremento?

deve gridare come tutte le notti insieme?

deve gridare con voce così lacerata

finché le città non tremino come bambine

e rompano le prigioni dell’olio e della musica?

 

GARCÍA LORCA

denuncio tutta la gente che ignora l’altra metà

che ignora l’altra metà quella irredimibile

vi sputo in faccia sento il canto del lombrico

negli uffici deserti denuncio un mucchio di fiumi impediti

 

i maestri avrebbero una luce da far vedere ma viene adesso addosso

un insieme di cloache che arrembano da statuarie cupole di carbone

dal nero orripilante del definitivo cristallo

inondazione dalle lunghe gambe sulla minuscola capanna

sui fossi inadempiuti dei serpenti asciutti della fame

vedi un triste mare (poi il mondo cambia) uno peggiore

di guanciali pungenti un fondale oscurissimo trema

mani trasparenti applaudono milioni di moribondi

(l’immagine si rovescia) dice amore amore amore

oppure pace pace pace affilando i coltelli

oppure pacchi di dinamite (l’immagine li opprime)

e noterai che le sue labbra sono d’argento vivo

talmente vivo da diventare portatore di guasti

intanto intanto deve gridare tenerezza sgranata

(verranno per fucilarti di notte sporco frocio)

il cielo è un elefante ed è strano chiamarsi federico

 

SPEAKER

deve gridare finché le rompano la testa nel muro

deve gridare pazza di fuoco

deve gridare pazza di neve

deve gridare con la testa piena di escremento

deve gridare come tutte le notti insieme

deve gridare con voce così lacerata

finché le città non tremino come bambine

e rompano le prigioni dell’olio e della musica





VI quadro

 

BENJAMIN

 

BENJAMIN

non solo dalle svastiche astretto espatrio

ma sotto la costellazione dell’esilio

da me stesso nato sotto saturno

l’astro dell’esitazione e del ritardo

e ho il nome segreto di Agesilaus Santander

amante della diversione e della fuga ritratto

come l’angelo dalle ali affilate

non si affretta su colei che ha avvistato

ma retrocede per attrarla nel suo vortice

in cui alla fine è solo lui che precipita

l’angelo della storia che guarda a ritroso

per la ricomparsa delle cose disperse

mentre la bufera della storia lo spinge

avanti

 

BRECHT

(già sul treno in viaggio per la Danimarca)

 

profughi è il nome dovuto

al nostro errare braccati

dall’avanzar delle armate del reich

salirai anche tu col carrozzone

più a nord al nord del nord?

non ci resta che l’artico…

 

 

BENJAMIN

messo fuori dall’istituzione la tecnica

è quanto avverto e quanto ad essa la scelta

valutabile nel senso direzionale

della tendenza specifica in rapporto

con la tendenziosità politica non

immediatamente scorciatoia usuale

non l’adesione al partito ma la tecnica

è il punto decisivo per l’autore

come produttore

 

autore come produttore

l’assunto apparentemente marxista

che manda a gambe all’aria

il marxismo schematico

autore come produttore

vuol dire non esprimersi

ma costruire oggetti testuali

l’attore è un attrezzo per niente antropomorfo

l’arte ha un che d’inumano sta composta

di parti in un montaggio, in un assemblaggio

che si tengono e non si tengono insieme

 

SPEAKER

si terranno e non si terranno sull’erta

il peso del corpo il peso della borsa

verso il porto della sfortuna

 

BRECHT

(ormai arrivato in Finlandia)

 

ma i sigari non son sigari

e la birra non è birra

e il caffè? è o non è caffè?

 

BENJAMIN

arrivare passando da tutta un’altra parte

è il modo giusto di assumere la distanza

dire una cosa per significarne un’altra

non con un misticismo evocatore e vaghe

atmosfere misteriose ma con le tracce

dell’enigma pezzo dopo pezzo e senza

l’illusione della piena resurrezione

 

SPEAKER

ma per avere un impatto politico

non è meglio dire le cose come stanno?

non è forse meglio il realismo?

se dobbiamo comunicare con gli esclusi

cioè con gli incolti

perché si ribellino

non è opportuno usare il linguaggio più semplice

le parole più comuni?

 

BENJAMIN

no

la mimesi antropomorfa non fa

che raddoppiare le nostre certezze

che sono poi quelle che vogliono farci credere

per uscire dal mondo stregato del capitale

bisogna risvegliarsi dal suo sogno

e vedere che si tratta di fantasmi

 

perciò

l’alternativa è il vecchio allegorismo

riscritto pezzo per pezzo dalla modernità:

allegoria è il non essere di ciò che rappresenta

che mortifica la falsa vitalità

ed ha dunque un implicito valore critico

ma nello stesso tempo le restituisce

un significato nuovo assegnandoglielo

ed ha quindi un implicito valore utopico

 

via via non è bugia

questa finzione è allegoria

 

SPEAKER

via via via

 

BRECHT

(che non sa più dove andare: dovunque, tranne che in Unione Sovietica)

 

altro modo di diversione

si definisce lo straniamento

provare a guardarsi da fuori

con sguardo antiantropocentrico

finché tutto quanto è innocente

non lo si capisca politico

(e contare su di un pubblico distratto…)

 

BENJAMIN

non c’è alcuna speranza perché la speranza

è data solo ai disperati – e non è

possibile neanche costruire in base

a una rivoluzione perché è un intervallo

la rivoluzione è una intercapedine

la rivoluzione è uno strappo nel continuum storico dei vincitori

 

la rivoluzione

è soltanto una interruzione nel corteo

del dominio

una momentanea interferenza

di felice irruzione della libertà

non altro che ci valga che il tempo-ora

in qualsiasi momento diventi esigibile

una ancorché debole carica messianica

sotto il segno della discontinuità

 

(fischio del treno)

 

SPEAKER

non c’è tempo

non c’è più tempo!

presto

 

BENJAMIN

aspettate non ho finito a ciò si accorda

la discontinuità nello spazio il frammento

significa che non si dovrebbe coprire

l’infranto costitutivo se non spezzando

la superficie ben levigata del testo

composizione parziale e imperfetta

incompleta lacunosa e precaria

l’immagine vi si oscura repentina

degenera per l’intervento del concetto

come una rovina ne resta il segno

lungo le stazioni del suo fallimento

 

immagine dialettica…

 

dialettica in stato di stallo…

 

inquietudine irrigidita…

 

via via non è follia

questa figura è allegoria

 

SPEAKER

j-a j-a ja

 

BRECHT

(arrivato a Hollywood, Los Angeles, parla dal futuro, dopo aver appreso del suicidio di Benjamin alla frontiera spagnola, per uno scherzo della sorte, durante il tentativo di fuga)

 

stancare l’avversario

il gioco che facevi

nella partita a scacchi

non funziona sempre

non con il nemico

che dai libri t’ha cacciato

 

 

 

FINALE

 

SPEAKER

perduti e caduti

nella tempesta europea

sono finiti i giganti

senza volerlo e senza saperlo

lungo il corso che si devia

 

CORO

via via via via via





Bertolt Brecht





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