LETTERATURE MONDO
SGUARDO DAL SUD (23)
Simha Siani: l’arte di far racconti in versi

      
La scrittrice israeliana, residente a Gerusalemme, ha ereditato dal padre originario dello Yemen, il ruolo di cantastorie, capace di mettere in forma poetica delle narrazioni popolari intessute di umorismo e di saggezza e che terminano con una ‘morale’ in guisa di insegnamento o ammonimento finale. Il tutto fluisce verso gli ascoltatori come una melodia.
      




   

 

 

di Anna Santoliquido

 

 

 

 

La scrittrice e cantastorie Simha Siani  (Foto Antoski)

 

 

Tra i personaggi incontrati nei congressi internazionali vi è la scrittrice israeliana Simha Siani residente a Gerusalemme. La conoscenza delle lingue straniere, la passione per la poesia e la cultura popolare ci hanno permesso di confrontarci su varie questioni.

Laureata in Pedagogia e folclore ha pubblicato racconti per bambini, articoli sull’amore e poesie. Delle opere si ricordano: Rumia e il tappeto magico, 1998, Siach Ohavim, 2002, Rumia torna in Israele, 2003, Le rose sono per sempre, 2006, La donna e i baffi dello sciacallo, 2010. Ha lavorato nel Ministero degli Esteri, del Lavoro e della Pubblica Istruzione. Ha ricoperto cariche  prestigiose e ottenuto premi per il master in folclore giudaico  e comparato e i volumi pubblicati.

Membro di organizzazioni femminili e dell’Associazione Scrittori di Gerusalemme ha recitato nella Compagnia Bimatenu, svolto il ruolo di cantastorie e di guida per passeggiate folcloristiche in Gerusalemme. Dal 1991 tiene conferenze sulla “narrativa folcloristica”.

Figlia d’arte, il padre Yosef Haim Siani era un cantastorie originario dello Yemen e usava mettere in rima i racconti popolari con i quali incantava il pubblico che lo ascoltava. In un viaggio culturale a Bari nel 2010 Simha ha dichiarato: “I racconti popolari sono stati sempre il mio pane quotidiano dalla mia prima infanzia. (…) I racconti di mio padre mi hanno legato alle mie tradizioni attraverso un filo incantato”. L’autrice, incoraggiata dal suo maestro, il Prof. Dov Noy, ha impiegato diversi anni a elaborare i racconti popolari e a metterli in rima sulla scia del genitore. Una sorta di missione, spinta dal desiderio di tramandare un patrimonio culturale, affinché “rimanga un tesoro per le generazioni future”.

I racconti – densi di umorismo e di saggezza – terminano con una morale che consente di capire ciò che è permesso e ciò che non lo è: “mi sono identificata con gli eroi dei racconti e ho capito dove sbagliavo e come potevo riparare ai miei piccoli peccati”, ha dichiarato la scrittice. E ancora: “Sono cosciente che fintanto che continuerò a raccontare queste storie, esse rimarranno in vita e saranno per gli ascoltatori come una melodia”.

Simha, classe 1946, è elegante, allegra e disinvolta. Viaggia spesso, specie in Germania, Spagna e negli Stati Uniti. Nell’incontro barese, ospite del Movimento Internazionale “Donne e Poesia” (coordina da vari anni la Sezione di Gerusalemme del sodalizio), ha parlato delle poete e della condizione femmininile in Israele, un “paese così piccolo e giovane “ come lei lo ha definito. La relatrice ha sottolineato che in quell’area geografica “in molti casi, la donna è costretta a lasciar perdere la propria creatività per la famiglia, e solo quando i figli saranno cresciuti come fiori nel vaso, tornerà alla sua vocazione. Ma alcune ‘rompono’ con il loro talento creativo e non tornano più a dedicarsi all’arte, nemmeno quando i figli sono sbocciati del tutto. In entrambi i casi, si determina una profonda frustrazione, una carenza… molte donne artiste in tutto il mondo sperimentano questa mancanza di speranza e questa tristezza”.

I racconti in versi della Siani hanno valenza pedagogica. Forse i conflitti si potrebbero evitare anche educando i giovani lettori con delle storie simili a quelle che l’autrice considera una specie di ‘agente di reciproca intermediazione sociale’.

 

***

 

 

 

 

Copertina del volume

La donna e i baffi dello sciacallo, 2010

 

 

Seguono quattro testi: i primi due sono stati tradotti dall’inglese dalla Prof.ssa Nova Blain dell’Anglo-Italian Association di Bari e dalla sottoscritta, mentre la trasposizione dall’ebraico dei successivi è stata effettuata dalla Prof.ssa Patrizia Acobas dell’Università Ebraica di Gerusalemme.

 

 

LA DONNA E I BAFFI DELLO SCIACALLO

 

C’era una volta in un villaggio molto lontano

Una donna che amava il marito ogni giorno

Un giorno scoprì che il suo uomo era andato via

Per la tenda di un’altra era partito

Le vennero le lacrime agli occhi e gli occhi le bruciavano

Era andato da un’altra

Andò alla sua tenda

Una donna giovane e carina

La prima era triste.

All’uomo saggio del villaggio andò

E gli raccontò la sua storia pietosa.

«Oh, signore, è triste ma vero

Mio marito è stato infedele

Ha lasciato la nostra casa nel cuore della notte

E ha trovato la gioia con un’altra».

«Va a prendermi tre peli dai baffi di uno sciacallo

Lo troverai nei campi, non farlo arrabbiare».

Così disse il vecchio

E non aggiunse parola

Dopo  avere ascoltato tutti i segreti della donna triste.

 

Ella comprò un pezzo di carne dal macellaio

E si avventurò nei campi lontano

Vide uno sciacallo con folti baffi

Un  baffo di quelli che l’avrebbe resa felice

Depose la carne

E osservò da lontano

Quanto lo sciacallo andasse matto e sbavasse

Per questa festa bizzarra.

Questo ella fece, e anche il giorno seguente

Lo sciacallo ritornò, mangiò e di nuovo si saziò.

 

Lo sciacallo fissò la donna un’altra volta

E così rifece per uno, due, tre, quattro giorni.

Così gli diede da mangiare, si avvicinò sempre di più

Fino a quando lo sciacallo si adddormentò sulle sue ginocchia e russò.

Con cura ella strappò tre peli dai baffi

«Guarda» disse

«Ne ho preso tre, non sono sciocca».

Sorridente il vecchio le disse

«Siediti donna! Ascolta ciò senza astuzia

Perché vieni da me piangendo e singhiozzando?

Riportare tuo marito sarà un compito facile

Tu che hai preso tre peli dai baffi dello sciacallo

Riavrài tuo marito

Non addolorarti, non preoccuparti».

 

 

 

IL PARADISO E L’INFERNO

 

In un bel giorno di sole, molto molto tempo fa

Il Samurai cavalcava con il mantello e la spada

Raggiunse il monaco seduto nella cella

E ascoltò per un po’ la sua preghiera, profonda come un pozzo.

 

«Oh, monaco santo», disse il Samurai,

«Ho una sola domanda da farti

Allora, dov’è il Paradiso

Dimmelo se puoi

E cos’è il Paradiso

Aiutami a fare un piano».

 

Il monaco rimase in silenzio

E fissò il Samurai

Con l’espressione tranquilla, più vecchia dei suoi anni

Il monaco parlò al Samurai

Usando queste parole

«Non sprecherò il mio tempo

Con uno sciocco come te

Anche se sei strano e smarrito, ho pietà di te».

 

Pieno di ira, il Samurai sguainò la spada

Adesso il tuo cuore rotolerà e il tuo sangue scorrerà

Ma il monaco alzò il dito

E disse  a bassa voce

«Questo è l’Inferno

E questo lo so bene».

 

Sbigottito il guerriero rinfoderò la spada

Pieno di vergogna, il suo cuore coraggioso si arrestò per un attimo

Si inchinò con riverenza davanti al monaco e disse:

«Oh, monaco perdonami, perdonami se puoi

La mia azione era avventata, non ho mai pensato di ucciderti».

 

«E questo è il Paradiso»

Sorrise il monaco nella cella

E gli diede un colpetto sulla spalla mentre il Samurai si inginocchiava davanti a lui

«Il Paradiso e l’Inferno sono come due sorelle

Solo noi possiamo decidere quale sia il vero amore».

                                                                                                                                                                                                                             

                                                                                                            

Traduzione dall’inglese

Nova Blain e Anna Santoliquido

 

 

 

FICHI IN TESTA

 

In un paese viveva felicemente un contadino

Che da tempo desiderava scendere in città

Per offrire un dono al Re nel suo castello

Frutta del suo orto con fierezza voleva donare

Così sua moglie con delizia gli consigliò

«Porta un cesto di carrube,  mio caro marito»

«No, disse egli, porterò un cesto di fichi

Sono frutti buoni e anche nutrienti»

Così disse il contadino e riempì il suo cesto

Prendendo  la strada della città a dorso del suo cammello.

 

Il Re era di carattere cangiante

Cattivo o buono, una volta così e un’altra volta cosà

Quando era contento il viso gli si illuminava

Ma quando era di cattivo umore non conosceva pietà

Così successe che il povero contadino

Capitò in un brutto giorno al cospetto del Re

Il Re si arrabbiò e ordinò ai suoi servitori

Di tirare addosso al poveretto tutti i fichi donati!

Così i frutti sulla testa gli tirarono i servitori

Uno per uno con precisione, senza fiatare

E invece di vedere l’uomo piangere

Lo videro ridere senza fare una piega.

 

«Non ti importa» gli  domandarono i servitori stupiti

«Che ti tiriamo in testa i fichi?»

«No e ancor no» rise egli davanti a loro

Mia moglie voleva che gli portassi in dono delle carrube

Figuratevi cosa ne sarebbe stato di me

Se avessi dato retta a mia moglie.

 

Morale:

 

Ascola tua moglie, dal fondo del cuore lei parla,

Ma non quando si tratta di un re crudele!                                   

 

 

 

I DUE VOLTI DELLA MELANZANA

 

Sulla veranda del suo castello, in un giorno caldo e umido

Sedeva il saggio Sultano Al Rashid

Guardando il poeta di corte Abu Nauas

Che mangiava con delizia una melanzana, che in bocca si squagliava

«Cosa hai da dire sulla melanzana?»

Chiese al poeta, Sua Maestà il Sultano

«Cosa ho da dire?» egli sorrise

Terminando la sua gustosa melanzana

«I dottori dicono che sia salutare

Facile da digerire, nutriente e anche buona

E raccontano gli anziani da noi nel villaggio

Che sia ottima per l’uomo

Cosa dirle Signor Sultano

Non v’è verdura come questa, la melanzana».

 

«Ne sei sicuro?» chiese il Sultano con stupore

Ma certo rispose egli ingoiando l’ultimo boccone

«Perché, sulla vita mia, non appena  io mordo la melanzana

Mi si rivolta l’intestino tutto»

Così disse il Sultano arricciando la bocca

E così Abu Nauas  lasciò cadere la melanzana dalla sua mano

«Ha ragione» disse il poeta spaventato

Pulendosi rapidamente la bocca con la manica della camicia

«La melanzana è pericolosa

La sua buccia è nera prima ancora di essere fritta

E c’è chi dice, mio signore, che è velenosa

Fa perdere la virilità diceva mio nonno

E chi mangia la melanzana oggi

Finisce la sua vita all’inferno!»

«Ne sei sicuro?» chiese il Sultano attonito

«Davvero» rispose Abu Nauas e tacque

«Un momento…» ribattè Al Rashid

«Le tue parole ti pongono in cattiva luce

Un momento fa hai detto che la melanzana

Sarebbe buona, anzi ottima e sana

E un minuto dopo che è pericolosa?!

Come farai a salvare la tua testa dalla menzogna?»

 

Con la saggezza negli occhi, sorrise Abu Nauas

Raddrizzò il suo Fez e disse con voce modesta:

«Parole sante, oh mio Signore

Così, e anche cosà, parlai della melanzana

Ma non bisogna scordare mio Sultano

Che io son servitore suo e non della melanzana».

 

 

Traduzione dall’ebraico

Patrizia Acobas




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