di Anna Santoliquido

La scrittrice e cantastorie Simha
Siani (Foto Antoski)
Tra i personaggi
incontrati nei congressi internazionali vi è la scrittrice israeliana Simha
Siani residente a Gerusalemme. La conoscenza delle lingue straniere, la
passione per la poesia e la cultura popolare ci hanno permesso di confrontarci
su varie questioni.
Laureata in Pedagogia e
folclore ha pubblicato racconti per bambini, articoli sull’amore e poesie. Delle
opere si ricordano: Rumia e il tappeto
magico, 1998, Siach Ohavim, 2002,
Rumia torna in Israele, 2003, Le rose sono per sempre, 2006, La donna e i baffi dello sciacallo, 2010.
Ha lavorato nel Ministero degli Esteri, del Lavoro e della Pubblica Istruzione.
Ha ricoperto cariche prestigiose e
ottenuto premi per il master in folclore giudaico e comparato e i volumi
pubblicati.
Membro di organizzazioni
femminili e dell’Associazione Scrittori di Gerusalemme ha recitato nella
Compagnia Bimatenu, svolto il ruolo
di cantastorie e di guida per passeggiate folcloristiche in Gerusalemme. Dal
1991 tiene conferenze sulla “narrativa folcloristica”.
Figlia d’arte, il padre
Yosef Haim Siani era un cantastorie originario dello Yemen e usava mettere in
rima i racconti popolari con i quali incantava il pubblico che lo ascoltava. In
un viaggio culturale a Bari nel 2010 Simha ha dichiarato: “I racconti popolari
sono stati sempre il mio pane quotidiano dalla mia prima infanzia. (…) I
racconti di mio padre mi hanno legato alle mie tradizioni attraverso un filo
incantato”. L’autrice, incoraggiata dal suo maestro, il Prof. Dov Noy, ha
impiegato diversi anni a elaborare i racconti popolari e a metterli in rima
sulla scia del genitore. Una sorta di missione, spinta dal desiderio di
tramandare un patrimonio culturale, affinché “rimanga un tesoro per le
generazioni future”.
I racconti – densi di
umorismo e di saggezza – terminano con una morale
che consente di capire ciò che è permesso e ciò che non lo è: “mi sono
identificata con gli eroi dei racconti e ho capito dove sbagliavo e come potevo
riparare ai miei piccoli peccati”, ha dichiarato la scrittice. E ancora: “Sono
cosciente che fintanto che continuerò a raccontare queste storie, esse
rimarranno in vita e saranno per gli ascoltatori come una melodia”.
Simha, classe 1946, è
elegante, allegra e disinvolta. Viaggia spesso, specie in Germania, Spagna e
negli Stati Uniti. Nell’incontro barese, ospite del Movimento Internazionale
“Donne e Poesia” (coordina da vari anni la Sezione di Gerusalemme del
sodalizio), ha parlato delle poete e della condizione femmininile in Israele,
un “paese così piccolo e giovane “ come lei lo ha definito. La relatrice ha
sottolineato che in quell’area geografica “in molti casi, la donna è costretta a
lasciar perdere la propria creatività per la famiglia, e solo quando i figli
saranno cresciuti come fiori nel vaso, tornerà alla sua vocazione. Ma alcune
‘rompono’ con il loro talento creativo e non tornano più a dedicarsi all’arte,
nemmeno quando i figli sono sbocciati del tutto. In entrambi i casi, si
determina una profonda frustrazione, una carenza… molte donne artiste in tutto
il mondo sperimentano questa mancanza di speranza e questa tristezza”.
I racconti in versi della Siani hanno
valenza pedagogica. Forse i conflitti si potrebbero evitare anche educando i
giovani lettori con delle storie simili a quelle che l’autrice considera una
specie di ‘agente di reciproca intermediazione sociale’.
***

Copertina del
volume
La donna e i baffi dello sciacallo, 2010
Seguono
quattro testi: i primi due sono stati tradotti dall’inglese dalla Prof.ssa Nova
Blain dell’Anglo-Italian Association di Bari e dalla sottoscritta, mentre la
trasposizione dall’ebraico dei successivi è stata effettuata dalla Prof.ssa
Patrizia Acobas dell’Università Ebraica di Gerusalemme.
LA DONNA E I BAFFI DELLO SCIACALLO
C’era una volta in un villaggio molto lontano
Una donna che amava il marito ogni giorno
Un giorno scoprì che il suo uomo era andato via
Per la tenda di un’altra era partito
Le vennero le lacrime agli occhi e gli occhi le
bruciavano
Era andato da un’altra
Andò alla sua tenda
Una donna giovane e carina
La prima era triste.
All’uomo saggio del villaggio andò
E gli raccontò la sua storia pietosa.
«Oh, signore, è triste ma vero
Mio marito è stato infedele
Ha lasciato la nostra casa nel cuore della notte
E ha trovato la gioia con un’altra».
«Va a prendermi tre peli dai baffi di uno
sciacallo
Lo troverai nei campi, non farlo arrabbiare».
Così disse il vecchio
E non aggiunse parola
Dopo avere
ascoltato tutti i segreti della donna triste.
Ella comprò un pezzo di carne dal macellaio
E si avventurò nei campi lontano
Vide uno sciacallo con folti baffi
Un baffo di
quelli che l’avrebbe resa felice
Depose la carne
E osservò da lontano
Quanto lo sciacallo andasse matto e sbavasse
Per questa festa bizzarra.
Questo ella fece, e anche il giorno seguente
Lo sciacallo ritornò, mangiò e di nuovo si saziò.
Lo sciacallo fissò la donna un’altra volta
E così rifece per uno, due, tre, quattro giorni.
Così gli diede da mangiare, si avvicinò sempre di
più
Fino a quando lo sciacallo si adddormentò sulle
sue ginocchia e russò.
Con cura ella strappò tre peli dai baffi
«Guarda» disse
«Ne ho preso tre, non sono sciocca».
Sorridente il vecchio le disse
«Siediti donna! Ascolta ciò senza astuzia
Perché vieni da me piangendo e singhiozzando?
Riportare tuo marito sarà un compito facile
Tu che hai preso tre peli dai baffi dello
sciacallo
Riavrài tuo marito
Non addolorarti, non preoccuparti».
IL PARADISO E L’INFERNO
In un bel giorno di sole, molto molto tempo fa
Il Samurai cavalcava con il mantello e la spada
Raggiunse il monaco seduto nella cella
E ascoltò per un po’ la sua preghiera, profonda
come un pozzo.
«Oh, monaco santo», disse il Samurai,
«Ho una sola domanda da farti
Allora, dov’è il Paradiso
Dimmelo se puoi
E cos’è il Paradiso
Aiutami a fare un piano».
Il monaco rimase in silenzio
E fissò il Samurai
Con l’espressione tranquilla, più vecchia dei suoi
anni
Il monaco parlò al Samurai
Usando queste parole
«Non sprecherò il mio tempo
Con uno sciocco come te
Anche se sei strano e smarrito, ho pietà di te».
Pieno di ira, il Samurai sguainò la spada
Adesso il tuo cuore rotolerà e il tuo sangue
scorrerà
Ma il monaco alzò il dito
E disse a
bassa voce
«Questo è l’Inferno
E questo lo so bene».
Sbigottito il guerriero rinfoderò la spada
Pieno di vergogna, il suo cuore coraggioso si
arrestò per un attimo
Si inchinò con riverenza davanti al monaco e
disse:
«Oh, monaco perdonami, perdonami se puoi
La mia azione era avventata, non ho mai pensato di
ucciderti».
«E questo è il Paradiso»
Sorrise il monaco nella cella
E gli diede un colpetto sulla spalla mentre il
Samurai si inginocchiava davanti a lui
«Il Paradiso e l’Inferno sono come due sorelle
Solo noi possiamo decidere quale sia il vero amore».
Traduzione
dall’inglese
Nova Blain e
Anna Santoliquido
FICHI IN TESTA
In un paese viveva felicemente un
contadino
Che da tempo desiderava scendere
in città
Per offrire un dono al Re nel suo
castello
Frutta del suo orto con fierezza
voleva donare
Così sua moglie con delizia gli consigliò
«Porta un cesto di carrube, mio caro marito»
«No, disse egli, porterò un cesto
di fichi
Sono frutti buoni e anche
nutrienti»
Così disse il contadino e riempì
il suo cesto
Prendendo la strada della città a dorso del suo
cammello.
Il Re era di carattere cangiante
Cattivo o buono, una volta così e
un’altra volta cosà
Quando era contento il viso gli si
illuminava
Ma quando era di cattivo umore non
conosceva pietà
Così successe che il povero
contadino
Capitò in un brutto giorno al
cospetto del Re
Il Re si arrabbiò e ordinò ai suoi
servitori
Di tirare addosso al poveretto
tutti i fichi donati!
Così i frutti sulla testa gli
tirarono i servitori
Uno per uno con precisione, senza
fiatare
E invece di vedere l’uomo piangere
Lo videro ridere senza fare una
piega.
«Non ti importa» gli domandarono i servitori stupiti
«Che ti tiriamo in testa i fichi?»
«No e ancor no» rise egli davanti
a loro
Mia moglie voleva che gli portassi
in dono delle carrube
Figuratevi cosa ne sarebbe stato
di me
Se avessi dato retta a mia moglie.
Morale:
Ascola tua moglie, dal fondo del
cuore lei parla,
Ma non quando si tratta di un re
crudele!
I DUE VOLTI DELLA
MELANZANA
Sulla veranda del suo castello, in
un giorno caldo e umido
Sedeva il saggio Sultano Al Rashid
Guardando il poeta di corte Abu
Nauas
Che mangiava con delizia una
melanzana, che in bocca si squagliava
«Cosa hai da dire sulla melanzana?»
Chiese al poeta, Sua Maestà il
Sultano
«Cosa ho da dire?» egli sorrise
Terminando la sua gustosa
melanzana
«I dottori dicono che sia salutare
Facile da digerire, nutriente e
anche buona
E raccontano gli anziani da noi
nel villaggio
Che sia ottima per l’uomo
Cosa dirle Signor Sultano
Non v’è verdura come questa, la
melanzana».
«Ne sei sicuro?» chiese il Sultano
con stupore
Ma certo rispose egli ingoiando
l’ultimo boccone
«Perché, sulla vita mia, non
appena io mordo la melanzana
Mi si rivolta l’intestino tutto»
Così disse il Sultano arricciando
la bocca
E così Abu Nauas lasciò cadere la melanzana dalla sua mano
«Ha ragione» disse il poeta
spaventato
Pulendosi rapidamente la bocca con
la manica della camicia
«La melanzana è pericolosa
La sua buccia è nera prima ancora
di essere fritta
E c’è chi dice, mio signore, che è
velenosa
Fa perdere la virilità diceva mio
nonno
E chi mangia la melanzana oggi
Finisce la sua vita all’inferno!»
«Ne sei sicuro?» chiese il Sultano
attonito
«Davvero» rispose Abu Nauas e
tacque
«Un momento…» ribattè Al Rashid
«Le tue parole ti pongono in cattiva
luce
Un momento fa hai detto che la
melanzana
Sarebbe buona, anzi ottima e sana
E un minuto dopo che è pericolosa?!
Come farai a salvare la tua testa
dalla menzogna?»
Con la saggezza negli occhi,
sorrise Abu Nauas
Raddrizzò il suo Fez e disse con voce
modesta:
«Parole sante, oh mio Signore
Così, e anche cosà, parlai della
melanzana
Ma non bisogna scordare mio
Sultano
Che io son servitore suo e non
della melanzana».
Traduzione dall’ebraico
Patrizia Acobas