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di Alessandro Ticozzi
Com’è
avvenuto il suo primo contatto con Dario Fo?
È
avvenuto a Londra nel 1983 quando sono stato a vedere, al Riverside Studios di Londra, il Mistero
Buffo: appena entrato nel teatro, ho visto Dario Fo che era seduto mentre
leggeva dei fogli. Mi sono avvicinato e l’ho salutato, e lui ha ricambiato molto
cordialmente, invitandomi a sedere con lui e chiedendomi se volevo bere
qualcosa.
Come
mai ha deciso di portare in scena alcune delle sue opere più significative?
Veramente
non l’avevo deciso: è stata quasi una cosa che mi si è catapultata addosso. Provavo
sempre un enorme senso di benessere e di piacere tutte le volte che vedevo
recitare Dario Fo e Franca Rame: in me era scattato un interesse e una
condivisione dei temi che loro trattavano a teatro. Durante una situazione favorevole,
dove un gruppo di bambini piuttosto discoli sui dieci-dodici anni non si comportavano proprio bene all’interno di un gruppo in
vacanza, mi sono deciso a raccontare loro, a mo’ di morale, una storia tratta
dal Mistero Buffo: il primo miracolo
di Gesù Bambino. Questi l’hanno così gradita e apprezzata che alla sera, con
gli insegnanti e tutti gli altri bambini presenti, mi hanno quasi obbligato a
rifare lo stesso pezzo: così mi sono scoperto quasi un attore, e, dopo una
settimana, ero in grado di recitare alcune delle giullarate
più famose del Mistero Buffo.
Che
ruolo ha avuto il teatro popolare nella presa di coscienza delle classi
subalterne secondo lei?
Il
teatro in genere ha sempre avuto un enorme presa: se non fosse stato così, non
sarebbe stato necessario censurarlo. Addirittura in alcuni momenti della storia
– non solo nostra, ma anche europea – venivano bruciati i teatri e banditi gli
attori, dopo essere stati spogliati di ogni avere e sepolti in terra infame: indegni
persino di ricevere i sacramenti, al pari dei suicidi o dei malfattori. Non
solo allora, ma anche oggi il teatro è sottoposto a grandi censure – più
sottili, oserei dire: oggi infatti la censura passa attraverso meccanismi “tecnici”,
come quello di non erogare più fondi alla cultura. Per cui il teatro in questo
momento sta passando una grandissima sofferenza: penso allora che il ruolo del
teatro ha avuto un’enorme importanza per le classi subalterne, anche perché era
l’unica fonte di intrattenimento accessibile per loro, dal momento che i
teatranti giravano di piazza in piazza, di cascina in cascina, di mercato in
mercato… Non parlo poi del Medioevo, quando era un giornale parlato: basti
pensare solo ai giullari, agli affabulatori o agli oratori. Pensi a uno come
Francesco d’Assisi, per esempio, che era chiamato il giullare di Dio, o a Ruzante, che era talmente famoso al suo tempo che, quando scrive
il testo sulla guerra, gli viene inibita la città di Venezia, dove non potrà
più recitare. Se il teatro non fosse stato popolare per le classi subalterne, non
ci sarebbe stata bisogno di tutta questa censura.
Quali
sono i potenti da cui ci dobbiamo guardare oggi secondo lei?
Chi
ha potere e può utilizzarlo è senza dubbio una persona che può avere un interesse
a creare delle difficoltà per il proprio vantaggio: è la natura del potere che
rende colui che lo detiene una persona non proprio cristallina. È il potere che
ti gestisce alla fine, non sei tu: tu pensi di essere in grado di gestire il
potere, ma alla fine è il potere che ti sovrasta. Per cui chi ha potere deve
possedere un enorme intelligenza nonché profonda conoscenza dell’uomo e dei
valori positivi, perché, se non ha questa grande tensione verso la società e il
bene comune, può arrecare grave danno.
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