CHECKPOINT POETRY
CATERINA DAVINIO
 

 

 

Dilaudid

 

Sono stanca

di aspettare la morte

e me ne vado

in un giorno di pioggia

a cercare oppio

sotto il mio ombrello,

a pagarlo Western Union

dal Camerun

e dalla Nigeria,

dall’inferno;

le gambe vanno da sole,

ché ritrovano vigore

procacciando colpa,

edonismo e impostura;

il buio mi è

abbraccio spietato,

aspettando corrieri,

forniture,

prescrizioni

di mediche dipendenze;

il male è che la vita è finita

da tempo,

 

il carillon

mi deride con note saltanti:

drogata!, dice,

il pelo, ma non il vizio...

mi schermisco,

viandante di un martedì di novembre

per strade di cerca estenuata.

I tuoi veleni per posta elettronica danno

forza di buttare i passi

avanti e avanti,

cercare è vivere,

morphine

ms contin

dilaudid

pharmacy on line...

medica-menti

contro il male

di vivere

senza ricetta,

cercasi disperatamente,

 

e già mi balza in petto

il cuore

invaghito

di s-balli nuovi e antichi

mai guarito, mai,

mai redento,

guasto nella fibra,

nei recettori n-morfinici cerebrali

d'incensi e perdixione.

 

Non salvarmi,

non ora.

 

*

 

Calcutta

 

e brulichio festoso

di biciclette, di stracci

ossa nude e occhi raggianti

di vecchi santi

divertiti

dalla diversità

nostra,

barocci e

sorrisi pazienti di

madonne

dal velo policromo

screziato

tra banchi di frutta

e scranni di colore,

carri cigolanti e

marci chiodi ritorti;

 

rotolò nelle cose

animate

e in quelle inerti

con il suo fuoco

il grande uno.

 

Stracciandoci tutta

l’anima bianca,

quell’animella

da niente

desiderosa di stare al mondo,

di rallegrarsi

al senso

di una lunghissima

fine,

in quella capitale

d’impero

squassata

da un madore rosa

da pensieri rosa

da un infinito sudiciume rosa

dall’infinito tutto

rosa.

 

 

Da: “Sestante”, in AA.VV., Retrobottega II, CFR Edizioni, 2012

 

 

*

 

(Africa)

 

Tanto ti amai

che la notte

salivo sul tetto

per guardare

le tue stelle australi

e ignote

e quasi tremai

alla vertiginosa

distanza

come Ulisse

nell’ultimo viaggio;

le tue selvagge danze

addomesticate

per gli ospiti

stridevano lontano

sotto la luna

feroce,

 

mentre il palmeto nero fino al mare

con grandi foglie ricurve svettanti

contro il cielo blu-nero

come tratti precisi di penna,

mentre il palmeto fino al mare

con le sue onde nere

col suo vento nero

notturnarabo

sabbia tiepida.

Pregai sconcertata

dall’immaginazione

che avviluppava le cose

in una crisalide irreale,

con assoluta vertigine

m’inginocchiai

sul legno nudo,

sopra la terrazza

di pietra mite

inalai il profumo corrotto

dei frutti

dolce e straziato

da un’intima morte,

delle tue farfalle addormentate

nell’erba,

dei tuoi picchi curiosi

tra le fronde

golosi di fantasmi,

nella notte alacre

d’invisibili

serpeggiava il contagio

disfatto della fine.

E come un selvaggio

piansi di vita.

 

 

Da: “Alieni in safari / Luce dall’inferno”, in AA.VV., Dentro il mutamento, Fermenti, Roma 2011

 

 

*

 

Novoli

 

Il sapore negroamaro

Del Salento luminoso

Come un ricordo infinito,

Le palme

E le pietre gialle

Delle tue chiese

Arroventate sotto

Il sole degli oleandri.

 

E una stretta,

Forse ricordo

Che esita

Nel silenzio delle strade

Reticenti, deserte

Vado sola

Come un pellegrino senza tempo

E senza dimora

Alla vecchia casa

Dietro le persiane assolate;

È lì,

Disabitata e in rovina

Con tutti i sogni racchiusi,

Le parole dette,

I gesti degli avi,

I sorrisi

A uno a uno.

Mi accolsero a braccia aperte

Con gli spiriti inquieti

Nelle stanze vuote sbrecciate

Dove filtra il sole.

 

Tutti voi che riposate nell’eternità

Eppure mi ridete dinanzi

Come fantasmi accoglienti

Felici di un tempo remoto

In cui mi amaste

E vi amai,

Voi che siete me nella carne

Povera, tremula,

Stanca di futuro che incombe senza isole,

Lacerato di perdita,

Io vi penso, vi vedo

Da lenti quotidiane

D’ombra, negli angoli cupi

Della credenza,

Nella madia,

Nel tavolo modanato,

Mi parla un mondo

Irto di cose

Leggendarie,

Dietro il battente,

Dai vetri,

Luccica la presenza

Vostra,

Le voci

Filtrano come luci che

L’odiosa eternità non mitiga.

E vi voglio ancora,

I vecchi mattoni accarezzati dai nostri piedi

Le lunghe parabole dei soffitti

Profondi universi silenti e umidi,

Odori rancidi e favolosi

Tendevano agguati

Su per scale strette di solai

Ingombri di cose immaginarie,

Assiepate di misteri,

Fino a terrazze assolate

Dove il mondo a perdita d’occhio

Andava di tetto in tetto

In prospettiva scontrosa

Che diceva il mio nome.

 

Io vi amo ancora, e questo amore oltre la morte

Spezza la mia carne senza senso,

Recipiente mostruoso del mondo oltre misura;

Tirai la porta e sbatté

E fui fuori nella strada rovente

Senza nessuno;

Me la sento nel sangue

Come fuoco,

E intendo

Che la vita non ci appartiene,

La memoria non abitiamo

E se mai ci possiede,

Come immenso otre di venti,

A suo comando, con tutti gli arcobaleni

Trema nelle membra

Dinanzi agli occhi luminosa scia.

E come Ulisse non temo di cercare.

 

E vedo la madre della madre che entra

Dalla porta lattea

A doppio battente

Spinge l’imposta e scherziamo

Nella sala a volta

Gonfia di tempo,

Del primo amore della genitrice,

Della buia frescura lieta

Che ristora estati bianche di pietre brucianti,

Del tepore che rinfranca dalla paura,

Della felicità che accoglie gli esuli,

Gli dei erranti.

 

Padre, ricorda il mio lungo cammino

Mai sostai e mai mi volsi indietro

Ma oggi ritorno più che mai dolente

Alla casa,

In un patto di sangue,

Al mio paese.

Qui gli avi zapparono e abbracciarono le spose

Patirono il freddo e sognarono futuro avaro

Furono stanchi

Accesero bracieri

Chiusero gli occhi

Nacquero nel dolore,

Furono amici,

Ed ebbero timore

Rivalità, rimorsi,

E fu allegria

Ogni pietra, ogni vecchia sedia

È intrisa del loro cuore.

 

E io come l’urna che raccoglie

E le sue infinite storie

Perché mite è il poeta dinanzi al suo mandato,

Umile come un santo

Dinanzi alla materia incandescente di Dio,

Quella che ci trema dinanzi

A occhi impauriti,

Ogni uomo che incontrai

Nella nuda vita

Lo contengo,

Ogni passo, ogni foglia di vento

Ogni parola che lessi, ogni novella udita

Ogni viandante

Ogni occasione.

 

 

Da:  Alieni in safari, inedito, 2010. Questo testo è stato pubblicato, tradotto in Inglese, su “Atalanta Review” Spring / Summer 2011, USA.

 

 

 

*  Caterina Davinio (Foggia 1957) dopo la Laurea in Lettere si è occupata di scrittura e nuovi media come autrice, curatrice e teorica. Ha esposto in centinaia di mostre internazionali in molti Paesi del mondo, tra queste sette edizioni della Biennale di Venezia ed eventi collaterali, cui ha collaborato anche come curatrice, le Biennali di Sydney, di Lione, di Atene, di Merida, di Hong Kong e molte altre.

Tra i pionieri della poesia digitale, è la fondatrice della net-poetry italiana. Ha ricevuto riconoscimenti in Italia e all’estero per l’attività letteraria e artistica. Sue opere poetiche e saggistiche sono tradotte in inglese.

Tra le pubblicazioni i romanzi: Sensibìlia (2015), Il sofà sui binari (2013), Còlor còlor (1998); i saggi: Tecno-Poesia e realtà virtuali (2002) e Virtual Mercury House (2012); in poesia: Fenomenologie seriali (2010), Aspettando la fine del mondo (2012),  Il libro dell’oppio (2012), finalista nel XXV Premio Camaiore e tra i selezionati nel Premio Gradiva, New York; in corso di pubblicazione: Fatti deprecabili. Poesie e performance dal 1971 al 1996, Premio Tredici 2014.




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