Dilaudid
Sono stanca
di aspettare la morte
e me ne vado
in un giorno di pioggia
a cercare oppio
sotto il mio ombrello,
a pagarlo Western Union
dal Camerun
e dalla Nigeria,
dall’inferno;
le gambe vanno da sole,
ché ritrovano vigore
procacciando colpa,
edonismo e impostura;
il buio mi è
abbraccio spietato,
aspettando corrieri,
forniture,
prescrizioni
di mediche dipendenze;
il male è che la vita è finita
da tempo,
il carillon
mi deride con note saltanti:
drogata!, dice,
il pelo, ma non il vizio...
mi schermisco,
viandante di un martedì di novembre
per strade di cerca estenuata.
I tuoi veleni per posta elettronica
danno
forza di buttare i passi
avanti e avanti,
cercare è vivere,
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medica-menti
contro il male
di vivere
senza ricetta,
cercasi disperatamente,
e già mi balza in petto
il cuore
invaghito
di s-balli nuovi e antichi
mai guarito, mai,
mai redento,
guasto nella fibra,
nei recettori n-morfinici cerebrali
d'incensi e perdixione.
Non salvarmi,
non ora.
*
Calcutta
e brulichio
festoso
di
biciclette, di stracci
ossa nude e
occhi raggianti
di vecchi
santi
divertiti
dalla
diversità
nostra,
barocci e
sorrisi
pazienti di
madonne
dal velo
policromo
screziato
tra banchi
di frutta
e scranni
di colore,
carri
cigolanti e
marci
chiodi ritorti;
rotolò
nelle cose
animate
e in quelle
inerti
con il suo
fuoco
il grande
uno.
Stracciandoci
tutta
l’anima
bianca,
quell’animella
da niente
desiderosa
di stare al mondo,
di
rallegrarsi
al senso
di una
lunghissima
fine,
in quella
capitale
d’impero
squassata
da un
madore rosa
da pensieri
rosa
da un
infinito sudiciume rosa
dall’infinito
tutto
rosa.
Da:
“Sestante”, in AA.VV., Retrobottega II, CFR Edizioni, 2012
*
(Africa)
Tanto ti
amai
che la
notte
salivo sul
tetto
per
guardare
le tue
stelle australi
e ignote
e quasi
tremai
alla
vertiginosa
distanza
come Ulisse
nell’ultimo
viaggio;
le tue
selvagge danze
addomesticate
per gli
ospiti
stridevano
lontano
sotto la
luna
feroce,
mentre il
palmeto nero fino al mare
con grandi
foglie ricurve svettanti
contro il
cielo blu-nero
come tratti
precisi di penna,
mentre il
palmeto fino al mare
con le sue
onde nere
col suo
vento nero
notturnarabo
sabbia
tiepida.
Pregai
sconcertata
dall’immaginazione
che
avviluppava le cose
in una
crisalide irreale,
con
assoluta vertigine
m’inginocchiai
sul legno
nudo,
sopra la
terrazza
di pietra
mite
inalai il
profumo corrotto
dei frutti
dolce e
straziato
da
un’intima morte,
delle tue
farfalle addormentate
nell’erba,
dei tuoi
picchi curiosi
tra le
fronde
golosi di
fantasmi,
nella notte
alacre
d’invisibili
serpeggiava
il contagio
disfatto
della fine.
E come un
selvaggio
piansi di
vita.
Da: “Alieni in safari / Luce dall’inferno”, in AA.VV., Dentro
il mutamento, Fermenti, Roma 2011
*
Novoli
Il sapore
negroamaro
Del Salento
luminoso
Come un
ricordo infinito,
Le palme
E le pietre
gialle
Delle tue
chiese
Arroventate
sotto
Il sole
degli oleandri.
E una
stretta,
Forse
ricordo
Che esita
Nel
silenzio delle strade
Reticenti,
deserte
Vado sola
Come un
pellegrino senza tempo
E senza
dimora
Alla
vecchia casa
Dietro le
persiane assolate;
È lì,
Disabitata
e in rovina
Con tutti i
sogni racchiusi,
Le parole
dette,
I gesti
degli avi,
I sorrisi
A uno a
uno.
Mi
accolsero a braccia aperte
Con gli
spiriti inquieti
Nelle
stanze vuote sbrecciate
Dove filtra
il sole.
Tutti voi
che riposate nell’eternità
Eppure mi
ridete dinanzi
Come
fantasmi accoglienti
Felici di
un tempo remoto
In cui mi
amaste
E vi amai,
Voi che
siete me nella carne
Povera,
tremula,
Stanca di
futuro che incombe senza isole,
Lacerato di
perdita,
Io vi
penso, vi vedo
Da lenti
quotidiane
D’ombra,
negli angoli cupi
Della
credenza,
Nella
madia,
Nel tavolo
modanato,
Mi parla un
mondo
Irto di
cose
Leggendarie,
Dietro il
battente,
Dai vetri,
Luccica la
presenza
Vostra,
Le voci
Filtrano
come luci che
L’odiosa
eternità non mitiga.
E vi voglio
ancora,
I vecchi
mattoni accarezzati dai nostri piedi
Le lunghe
parabole dei soffitti
Profondi
universi silenti e umidi,
Odori
rancidi e favolosi
Tendevano
agguati
Su per
scale strette di solai
Ingombri di
cose immaginarie,
Assiepate
di misteri,
Fino a
terrazze assolate
Dove il
mondo a perdita d’occhio
Andava di
tetto in tetto
In
prospettiva scontrosa
Che diceva
il mio nome.
Io vi amo
ancora, e questo amore oltre la morte
Spezza la
mia carne senza senso,
Recipiente
mostruoso del mondo oltre misura;
Tirai la
porta e sbatté
E fui fuori
nella strada rovente
Senza
nessuno;
Me la sento
nel sangue
Come fuoco,
E intendo
Che la vita
non ci appartiene,
La memoria
non abitiamo
E se mai ci
possiede,
Come
immenso otre di venti,
A suo
comando, con tutti gli arcobaleni
Trema nelle
membra
Dinanzi
agli occhi luminosa scia.
E come
Ulisse non temo di cercare.
E vedo la
madre della madre che entra
Dalla porta
lattea
A doppio
battente
Spinge
l’imposta e scherziamo
Nella sala
a volta
Gonfia di
tempo,
Del primo
amore della genitrice,
Della buia
frescura lieta
Che ristora
estati bianche di pietre brucianti,
Del tepore
che rinfranca dalla paura,
Della
felicità che accoglie gli esuli,
Gli dei
erranti.
Padre,
ricorda il mio lungo cammino
Mai sostai
e mai mi volsi indietro
Ma oggi
ritorno più che mai dolente
Alla casa,
In un patto
di sangue,
Al mio
paese.
Qui gli avi
zapparono e abbracciarono le spose
Patirono il
freddo e sognarono futuro avaro
Furono
stanchi
Accesero
bracieri
Chiusero
gli occhi
Nacquero
nel dolore,
Furono
amici,
Ed ebbero
timore
Rivalità,
rimorsi,
E fu
allegria
Ogni
pietra, ogni vecchia sedia
È intrisa
del loro cuore.
E io come l’urna che raccoglie
E le sue infinite storie
Perché mite è il poeta dinanzi al suo mandato,
Umile come un santo
Dinanzi alla materia incandescente di Dio,
Quella che ci trema dinanzi
A occhi impauriti,
Ogni uomo che incontrai
Nella nuda vita
Lo contengo,
Ogni passo, ogni foglia di vento
Ogni parola che lessi, ogni novella udita
Ogni viandante
Ogni occasione.
Da: Alieni in
safari, inedito, 2010. Questo testo è stato pubblicato, tradotto in
Inglese, su “Atalanta Review” Spring / Summer 2011, USA.
* Caterina Davinio (Foggia 1957) dopo la Laurea in Lettere si è occupata di
scrittura e nuovi media come autrice, curatrice e teorica. Ha esposto in
centinaia di mostre internazionali in molti Paesi del mondo, tra queste sette
edizioni della Biennale di Venezia ed eventi collaterali, cui ha collaborato
anche come curatrice, le Biennali di Sydney, di Lione, di Atene, di Merida, di
Hong Kong e molte altre.
Tra i pionieri della poesia digitale, è la fondatrice
della net-poetry italiana. Ha ricevuto riconoscimenti in Italia e all’estero
per l’attività letteraria e artistica. Sue opere poetiche e saggistiche sono
tradotte in inglese.
Tra le pubblicazioni i romanzi: Sensibìlia (2015),
Il sofà sui binari (2013), Còlor còlor (1998); i saggi: Tecno-Poesia
e realtà virtuali (2002) e Virtual Mercury House (2012); in poesia: Fenomenologie
seriali (2010), Aspettando la fine del mondo (2012), Il libro dell’oppio (2012), finalista
nel XXV Premio Camaiore e tra i selezionati nel Premio Gradiva, New York; in
corso di pubblicazione: Fatti deprecabili. Poesie e performance dal 1971 al
1996, Premio Tredici 2014.