INTERVISTE
PAOLO JACHIA
La poetica di Ivano Fossati
tra viaggi e naufragi,
incanti e disincanti,
tra amore e disamore


  
Presentiamo una lunga conversazione con l’autore del volume “Ivano Fossati. Una vita controvento” (Zona, 2004), che propone una interessante, articolata e appassionata riflessione sui temi fondamentali toccati dai brani del 64enne cantautore genovese. Un percorso interpretativo sviluppato attraverso i testi di dodici canzoni tra le più significative del suo repertorio. In coda una testimonianza di Patty Pravo che incise il suo famoso pezzo “Pensiero stupendo”.
  



  

 

 

A cura di Alessandro Ticozzi

 

 

“Ho preferito impostare questa ‘conversazione intervista’ su Fossati (nato nel 1951, a Sanremo con Jesahel nel 1972 che possiamo considerare, all’incirca, il suo debutto artistico) come una riflessione sui grandi temi che attraversano la poetica di Fossati, ovvero sul ‘modo’ di scrivere e fare musica di uno dei più importanti cantautori contemporanei italiani e di cui, detto affettuosamente, non voglio credere sia finita la carriera (recentemente Fossati ha annunciato il suo ritiro dalle scene). Vedremo in questo rapidissimo percorso alcuni temi costanti delle canzoni di Fossati e cercheremo di approfondirli. In particolare vedremo il viaggio come metafora esistenziale; il viaggio come riflessione sull’‘etica del viaggio’ e poi la guerra come rappresentazione della desolazione contemporanea e poi, ancora, la musica come forma di resistenza all’orrore di oggi, ma preferisco cominciare da un’immagine e da una canzone che ci offre una sintesi di quanto ora accennato, ossia la Canzone Popolare del 1992. Infatti, nascosta in versi brechtianamente didascalici quali ‘Alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora / ce lo dirà / se c’è qualcosa da imparare ancora / ce lo dirà’, troviamo una coppia di parole (sostantivo ed aggettivo) quali ‘esistenza tremante’ che non solo definisce la nostra cifra umana ultima ma ci dà anche l’oggetto ultimo complessivo dell’intero corpus delle canzoni del cantautore genovese e la tensione etica che attraversa tutto il suo lavoro artistico:

 

La canzone popolare / 1 / ‘Alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, se c’è qualcosa da fare / alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da imparare ancora, ce lo dirà. / Sono io oppure sei tu, che hanno mandato più lontano / per poi giocargli il ritorno sempre all’ultima mano / e sono io oppure sei tu, chi ha sbagliato più forte / che per avere tutto il mondo fra le braccia / ci si è trovato anche la morte / sono io oppure sei tu, ma sono io oppure sei tu / Alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, se c’è qualcosa da fare / alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da capire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da imparare ancora, ce lo dirà / Sono io oppure sei tu la donna che ha lottato tanto / perché il brillare naturale dei suoi occhi / non lo scambiassero per pianto / e invece io lo vedi da te, arrivo sempre l’indomani / e ti busso alla porta ancora e poi ti cerco con le mani / sono io, lo vedi da te, mi riconosci, lo vedi da te / Alzati che sta passando la canzone popolare / sono io, sono proprio io, che non mi guardo più allo specchio / per non vedere le mie mani più veloci, né il mio vestito più vecchio / e prendiamola fra le braccia questa vita danzante / questi pezzi di amore caro, quest’esistenza tremante / che sono io e che sei anche tu, che sono io e che sei anche tu / Alzati che sta passando la canzone popolare / alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da capire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da chiarire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da cantare ancora, ce lo dirà”.

 

Ecco è proprio questa ‘idea progetto’ di qualcosa da fare INSIEME che ora vorrei approfondire richiamando un ragionamento importante che fa Fossati in un suo importante libro biografico Per niente facile scritto in collaborazione con il giornalista Massimo Cotto nel 1994. Dice Fossati ‒ commentando in particolare Non è facile danzare del 1986, ma il discorso vale più in generale ed anche per la canzone appena sentita ‒ ‘nessuno di noi è il solista. Balliamo come in uno stage. Ci sembra di essere da soli, ma siamo sempre in compagnia, in mezzo agli altri, su di un palcoscenico immenso. ... E non è una contraddizione. La nostra danza ha senso solo con gli altri’. Se questo è vero in generale, vale poi anche per la musica (come metafora esistenziale e in senso diretto) dove valgono le stesse regole di abnegazione e di impegno etico.

 

Fossati precisa questo nodo di pensieri che mi pare davvero affascinate e che davvero ci permette di ridere di coloro che ancora parlano per l’arte di fare canzoni come ‘musica leggera’ in un’altra splendida canzone che ora vorrei ricordare Una notte in Italia, del 1986 dove troviamo proprio l’idea di ‘essere popolo’, certo un’idea difficile da spiegare oggi ma che mi pare importante e che credo vada ascoltata con una precisazione: popolo è gente di tutto il mondo senza confine né razzismo ma torneremo tra un attimo su questi grandi concetti di Fossati:

 

/ 2 / È una notte in Italia che vedi / questo taglio di luna / freddo come una lama qualunque / e grande come la nostra fortuna / la fortuna di vivere adesso / questo tempo sbandato / questa notte che corre / e il futuro che arriva / chissà se ha fiato. / / È una notte in Italia che vedi / questo darsi da fare / questa musica leggera / così leggera che ci fa sognare / questo vento che sa di lontano / e che ci prende la testa / il vino bevuto e pagato da soli / alla nostra festa. / / È una notte in Italia anche questa / in un parcheggio in cima al mondo / io che cerco di copiare l’amore / ma mi confondo / e mi confondono più i suoi seni / puntati dritti sul mio cuore / o saranno le mie mani / che sanno così poco dell’amore. / / Ma tutto questo è già più di tanto / più delle terre sognate / più dei biglietti senza ritorno / dati sempre alle persone sbagliate / più delle idee che vanno a morire / senza farti un saluto / di una canzone popolare / che in una notte come questa / ti lascia muto / / È una notte in Italia se la vedi / da così lontano / da quella gente così diversa / in quelle notti / che non girano mai piano / io qui ho un pallone da toccare col piede / nel vento che tocca il mare / è tutta musica leggera / ma come vedi la dobbiamo cantare / è tutta musica leggera / ma la dobbiamo imparare. / / È una notte in Italia che vedi / questo taglio di luna / freddo come una lama qualunque / e grande come la nostra fortuna / che è poi la fortuna di chi vive adesso / questo tempo sbandato / questa notte che corre / e il futuro che viene / a darci fiato.





Ivano Fossati


Commenta con precisione Fossati ancora parlando con Cotto: ‘Una notte in Italia mi piace moltissimo. Me la porto dietro con grande piacere in ogni concerto. Canto la bellezza di esserci comunque, anche se il momento non è dei migliori, 'la fortuna di vivere adesso in questo tempo sbandato'. Perché se hai la capacità di analizzare le cose e gli anni senza lasciarti trascinare, è meglio essere qui che altrove. Come è meglio cantare, anche una canzonetta, piuttosto che stare zitto. Per questo dico: 'E' tutta musica leggera, ma come vedi la dobbiamo cantare'. Ed è vero. Ed è bello ritrovarsi con l’umiltà e la felicità di cantare una canzone qualunque perché è da lì che si può passare a qualcosa di più complesso e profondo. La semplicità della musica leggera è la base su cui si possono innalzare grattacieli... Non dico che si debba stare fermi e ancorati alla musica leggera perché ne morirei, ma senza l’umiltà di confrontarsi con essa non si va avanti di un metro’.

 

Proprio alla luce di questa coscienza dei limiti, e del valore, della musica leggera potremmo dire che la musica di Fossati è caratterizzata, in ultima analisi, da una forte compenetrazione etica tra pensieri musica e parole... ma tornando ai temi che attraversano e sostanziano il canzoniere di Fossati, se possiamo dire che viaggio, fuga, sogno, destino, storia sono temi ricorrenti (e l’amore, che spesso cuce tra loro temi e motivi anche apparentemente lontani dal tema d’amore tradizionalmente inteso), quello di Fossati non pare un paesaggio illuminato dal sorriso di Dio; insomma se esiste un Dio, non pare essere misericordia e molta della nostra terra è (per usare un’immagine di Eliot), una ‘landa desolata”:

 

Labile: / 3 / Scivolo come le nuvole di notte / e sto contento / amore che t’avevo caricato / nel mio sangue / non ti ci vedo, non ti ci sento / passo sul ciglio del mondo / disattento / dal lato occidentale delle cose / m’incanto, mi disincanto / scivolo come le acque delle regioni / senza vento / quanto amore andò sprecato / amando disanimando / ti ricorderai di me? / ti ricorderai? / Labile / Comprendo appena la ragione stessa / del mio canto / e cerco un confessore ideale, sì / un’alleanza, un controcanto / inseguo qualcosa che migliori / profondamente / la Storia è inabitabile / è labile / e il suo tempo non vale niente / mi dicono che Dio esiste / ma si accontenta / di camere doppie con la vista siderale / mentre qui da noi / piove sempre / si ricorderà di me? / si ricorderà / Labile. / / Meno che umano / sto fra le gambe del mondo / lubrificato facile / con la faccia di terra / e di gesso / maledetto tirassegno futile / accoltellato alle radici / gonfio di canto come una tromba / suonata da un dio / senza note di passaggio / solo un vortice tardo-barbarico. / / Ho sognato una vita / di stagioni sicure / ero il padre e la madre / di azioni del caso e dell’orgoglio.

 

Ne segue che ‘in un posto così’, ‘dove il bisogno della violenza è molto più forte della (nostra) volontà (di pace)... solo un grande dio può accudire i disperati’; un grande dio, ma Fossati qui Dio lo scrive (e lo canta) in minuscolo, in una musica e in una voce che è disperazione (da ricordare per inciso ‒ ma non è un inciso casuale come non è casuale da parte di Fossati aver fatto questa citazione ‒ il richiamo alle pavesiane Poesie del disamore: ‘quanto tempo andò sprecato / amando-disanimando / Ti ricorderai di me? / Labile’). Non stupisce che alla luce di tutto questo, di questa guerra che non ha nome ed è eterna, si possa dire: ‘Vivo con prudenza / come un buon mercante dentro un grande affare / Più spesso, come i topi / sento la mia ombra fra i muri / scivolare’, dove è la seconda immagine che spiega la prima. La disperazione esistenziale di Fossati, infatti, non smette mai di essere polemica rispetto a un mondo dove tutto è un affare, dove tutto si riduce a un dialogo tra mercanti e topi, le due facce di una stessa anima capitalistica e mercantile nel senso più deteriore ed è in questa rivolta che muta di segno. A riprova di questa concezione faticosa, disperante ma non disperata, basta ricordare che i versi appena citati sono tratti da una canzone che si intitola ‒ con forte sarcasmo ed altrettanto esacerbato dolore ‘resistente’‒  Bella Speranza (ti telefono da una guerra):

 

/ 4 / Scusa se non telefono / ma ho già il mio bel daffare / a non morire / qui le donne non sanno più muovere / quel bellissimo mucchio di carne / che nasconde la Bella Speranza / la Bella Speranza. / / Adesso ho giorni buoni / e aria lunga / ma ho tanto desiderato essere nessuno / solo un grande scrittore fa muovere insieme / i vivi e i morti / e solo un grande dio può accudire i disperati / in un posto così / Ci sono luoghi dove il bisogno di violenza / è molto più forte della volontà / ci sono ore in cui il bisogno di violenza / è molto più in alto della volontà / ed è ben altro che bastoni e coltelli / non essere visto e non vedere / essere piombo caduto fuso / sulla terra. / / Quanto a me, vedi, le persone non cambiano / è che col tempo, il tempo le complica / più di un po’ / Così rimando a farmi fischiare le orecchie / fra questi alberghi lontani e devastati / in questi paesi poveri e salati / Vivo con prudenza / come un buon mercante in un grande affare / Più spesso, come i topi / sento la mia ombra fra i muri / scivolare.

 

Se tutto questo è un lato preciso dell’agire artistico di Fossati, non vorrei che venisse meno che veicola comunque una forma di ‘Resistenza’ etico-morale molta alta e molto precisa. È cioè necessario, se ben comprendo il senso ultimo di Fossati, rispetto a tutta questa apocalisse contemporanea ribadire una fratellanza, un umanesimo altrettanto radicale e fortissimo: Mio Fratello Che Guardi Il Mondo.

 

/ 5 / Mio fratello che guardi il mondo / e il mondo non somiglia a te / mio fratello che guardi il cielo / e il cielo non ti guarda. / / Se c’è una strada sotto il mare / prima o poi ci troverà / se non c’è strada dentro al cuore degli altri / prima o poi si traccerà. / / Sono nato e ho lavorato in ogni paese / e ho difeso con fatica la mia dignità / Sono nato e sono morto in ogni paese / e ho camminato in ogni strada del mondo che vedi. / / Mio fratello che guardi il mondo / e il mondo non somiglia a te / mio fratello che guardi il cielo / e il cielo non ti guarda. / / Se c’è una strada sotto il mare / prima o poi ci troverà / se non c’è strada dentro al cuore degli altri / prima o poi si traccerà.





Di nuovo credo che a ribadire questa posizione di Fossati non servano delle altre mie parole (tanto spesso le interviste ai cosiddetti ‘critici’ diventano degli sfoggi di compiacimenti autobiografici del tipo: ‘siamo amici - amici ?! - da tanti anni e mi ricordo quella volta che...’, io preferisco dare dignità al lavoro artistico di Fossati e dire quello che ne penso e dire che il lavoro artistico di Fossati mi è compagno, amico, fratello da quasi quarant’anni) ma piuttosto riascoltare uno de tantissimi capolavori di Fossati Pane e Coraggio:

 

/ 6 / Proprio sul filo della frontiera / il commissario ci fa fermare / su quella barca troppo piena / non ci potrà più rimandare / su quella barca troppo piena / non ci possiamo ritornare. / / E sì che l’Italia sembrava un sogno / steso per lungo ad asciugare / sembrava una donna fin troppo bella / che stesse lì per farsi amare / sembrava a tutti fin troppo bello / che stesse lì a farsi toccare. / / E noi cambiavamo molto in fretta / il nostro sogno in illusione / incoraggiati dalla bellezza / vista per televisione / disorientati dalla miseria / e da un po’ di televisione. / / Pane e coraggio ci vogliono ancora / che questo mondo non è cambiato / pane e coraggio ci vogliono ancora / sembra che il tempo non sia passato / pane e coraggio commissario / che c’hai il cappello per comandare / pane e fortuna moglie mia / che reggi l’ombrello per riparare. / / Per riparare questi figli / dalle ondate del buio mare / e le figlie dagli sguardi / che dovranno sopportare / e le figlie dagli oltraggi / che dovranno sopportare. / / Nina ci vogliono scarpe buone / e gambe belle Lucia / Nina ci vogliono scarpe buone / pane e fortuna e così sia / ma soprattutto ci vuole coraggio / a trascinare le nostre suole / da una terra che ci odia / ad un’altra che non ci vuole. / / Proprio sul filo della frontiera / commissario ci fai fermare / ma su quella barca troppo piena / non ci potrai più rimandare / su quella barca troppo piena / non ci potremo mai più ritornare.

 

Fossati chiede insomma, come De Andrè e De Gregori, non a caso suoi amici e compagni e collaboratori etico-musicali, di scegliere da che parte stare, se dalla parte degli ultimi o dalla parte degli uomini del potere e va rilevato in questo senso che in Fossati esiste ‒ a differenza del Pavese prima ricordato e che pure è tra gli autori più amati da Fossati ‒ un più forte saper riconoscere gli altri, la storia degli altri, che, se non apre alla speranza, apre almeno alla certezza dell’impegno: I treni a vapore del 1993.

 

 / 7 / Io la sera mi addormento / e qualche volta sogno perché voglio sognare / e nel sogno stringo i pugni / tengo fermo il respiro e sto ad ascoltare. / Qualche volta sono gli alberi d’Africa a chiamare / altre notti sono vele piegate a navigare. / Sono uomini e donne piroscafi e bandiere / viaggiatori viaggianti da salvare. / Delle città importanti mi ricordo Milano / livida e sprofondata per sua stessa mano. / E se l’amore che avevo non sa più il mio nome. / E se l’amore che avevo non sa più il mio nome. / Come i treni a vapore come i treni a vapore / di stazione in stazione di porta in porta / e di pioggia in pioggia / di dolore in dolore / il dolore passerà. / Come i treni a vapore / come i treni a vapore / il dolore passerà. / Io la sera mi addormento / e qualche volta sogno perché so sognare / e mi sogno i tamburi della banda che passa / o che dovrà passare. / Mi sogno la pioggia fredda e dritta sulle mani / i ragazzi della scuola che partono / già domani. / Mi sogno i sognatori che aspettano la primavera / o qualche altra primavera da aspettare ancora / fra un bicchiere di neve / e un caffè come si deve / quest’inverno passerà. / E se l’amore che avevo non sa più il mio nome. / E se l’amore che avevo non sa più il mio nome. / Come i treni a vapore come i treni a vapore / di stazione in stazione e di porta in porta / e di pioggia in pioggia / di dolore in dolore / il dolore passerà.

 

Ed ecco che siamo arrivati al tema del viaggio e dei ‘viaggiatori viaggianti’ ‒ come dice il verso della canzone appena ascoltata. Questo tema nasce in Fossati sul piano di una precisa ispirazione autobiografica ma si sposta immediatamente su quello della metafora poetico-esistenziale. Prendiamo tra le tante Panama: qui, ad esempio, si ripete ‒ con un evidente richiamo a Conrad di Cuore di tenebre, una lettura importantissima in Fossati assieme, significativamente, ad Henry Miller ‒ la metafora del viaggio come concezione di vita, faticosa ma esaltante, occasione che può essere anche dolorosa ma da affrontare in funzione di un arricchimento interiore. È facile scorgere qui ‒ come d'altronde dietro la complessiva metafora del viaggio ‒ un’attenta lettura del Mestiere di vivere di Pavese, dei suoi romanzi e delle sue poesie (‘ho cominciato proprio da ragazzino a leggere Pavese’), e non meraviglia quindi trovare in Fossati anche alcuni altri tratti tipici del modo di raccontare ‒ e di essere ‒ di Pavese. Dice, ad esempio, Fossati ricordando la poesia di Pavese I mari del Sud: ‘A volte i mondi lontani sono da vivere senza nemmeno oltrepassare le nostre colline. È il sogno di Pavese...’; oppure: ‘Cesare Pavese... ha saputo inventare una Langa che sembrava l’America e un’America che assomigliava tanto alla Langa. Nei libri di Pavese entra in scena una campagna dalle aperture immense, gigantesche... fino a far diventare le strade statali del Piemonte più ampie delle freeways americane. Non so dire come e quando mi avvicinai a lui. Ero ragazzo comunque. Portavo in tasca i suoi libri...’ (cfr. Fossati-Cotto 1994, pp. 61 e 119).

 

L’ultima riflessione di Fossati ci permette ora di provare a passare dal piano dei contenuti alla tecnica narrativa di Fossati a parlare e vorrei iniziare da un esempio concreto riferito alla sua appena citata canzone Panama e dire una parola sul protagonista di questa canzone, il comandante di una nave contrabbandiera in viaggio per Panama. Qui Fossati, come spesso nelle sue canzoni, nasconde un dato biografico dietro un alter-ego e dietro una maschera letteraria (il richiamo è Conrad e ai suoi romanzi ‘marinareschi’) per rivelare, in modo indiretto, un proprio effettivo disagio esistenziale (‘di andare a cocktails con la pistola / non ne posso più’), ossia, come esattamente dice Fossati, a ‘teatralizzare in luoghi lontanissimi e sconosciuti storie che potrebbero tranquillamente avvenire dietro casa tua’.

 

 Panama / 8 / Di andare ai cocktails con la pistola / non ne posso più / piña colada o coca cola / non ne posso più / / Di trafficanti e rifugiati / ne ho già piena la vita / oh maledetta traversata / non sarà mai finita, ma / / Vedete a nove nodi appena / si è un punto fisso nel mare / che sa di nafta e lo nasconde / con l’odore del tè e dell’erba da fumare. / / Oh mamaçita Panama dov’è / ora che stiamo in mare / sull’orizzonte ottico non c’è / si dovrà pur vedere / signori ancora del tè / il nostro porto di attracco darà segno di sé. / / Quando a Londra il comando / di questa galera mi sembrò un affare / un comandante per quanto giovane / dovrebbe stare in mare / / La compagnia non fece storie / no no no e lo credo bene / portare esplosivo ai fuoriusciti / mica a tutti conviene. / / Oh mamaçita Panama dov’è / ora che stiamo in mare / sull’orizzonte ottico non c’è / si dovrà pur vedere / signori ancora del tè / il nostro porto di attracco darà segno di sé. / / Della francese che si sente sola / non ne posso più / sta a proravia di un cameriere / che invece guarda giù / / Con l’ambasciata portoricana / è al quinto mambo stasera / chissà le facce sapessero di agitarsi / su una polveriera. / / Di andare ai cocktails con la pistola / non ne posso più / piña colada o coca cola / non ne posso più / / Signori un ultimo tè / il nostro porto di attracco non dà segno di sé.





Il tema del viaggio, del racconto del viaggio (tipico di uno dei grandi miti artistici ed esistenziali di Fossati il romanziere primonovecentesco Joseph Conrad) è dunque in Fossati occasione e pretesto per gettare lo sguardo dentro noi stessi, scoprendo, senza pietà e con asciutto rigore, limiti d’egoismo e slanci di generosità. È poi da notare che questa scabra tecnica di narrazione di Fossati (parlare dell’altrove per parlare di noi stessi, una caratteristica molto ligure ma tipica più di De Andrè che di Gino Paoli o Tenco) si lega a qualcosa di estremamente importante in Fossati e che riguarda non tanto il viaggio come metafora esistenziale (il viaggio come metafora della vita) quanto ‘il tema dell’etica del viaggio’: non si ‘viaggia’ infatti, per Fossati, per commercio o come avventurieri, ma per una ricerca interiore: Il senso del grande viaggiare è in realtà ‒ interpretando questa canzone del 1988 ‒ oltre che di ‘guardarsi nel cuore’, di acquisire il rispetto delle piccole cose e del loro essere preziose: ‘ha ben piccole foglie la pianta del tè’ che vorrei ora riascoltassimo:

 

La Pianta Del / 9 / Come cambia le cose / la luce della luna / come cambia i colori qui / la luce della luna / come ci rende solitari e ci tocca / come ci impastano la bocca / queste piste di polvere / per vent’anni o per cento / e come cambia poco una sola voce / nel coro del vento / ci si inginocchia su questo / sagrato immenso / dell'altipiano barocco d'oriente / per orizzonte stelle basse / per orizzonte stelle basse / oppure niente. / / E non è rosa che cerchiamo non è rosa / e non è rosa o denaro, non è rosa / e non è amore o fortuna / non è amore / che la fortuna è appesa al cielo / e non è amore / / Chi si guarda nel cuore / sa bene quello che vuole / e prende quello che c’è / / Ha ben piccole foglie / ha ben piccole foglie / ha ben piccole foglie / la pianta del tè.

 

Fuori di metafora, l’individualismo esasperato di Fossati contiene al suo interno un fortissimo senso della solidarietà (il rispetto e l’amore per le piccole grandi cose), ma è questo, ancora in Fossati ligure, un valore d’ascendenza anche marinaresca e da ‘viaggiatore’.

 

C’è però qualcosa di cui finora non ho parlato e che è stato uno dei grandi motivi di successo di Fossati, un successo (posso permettermi di dirlo senza che questo sia pettegolezzo o gossip come ora si preferisce dire?) davvero artistico prima che meramente ‘sentimentale’: insomma Fossati è (ops... è stato?) un grande cantore di donne e un grande complice delle donne (Mimi Martini, Loredana Bertè, Patty Pravo, Mannoia, con la quale recentemente ha scritto una bellissima canzone, ecc.): e credo che la canzone che andremo ad ascoltare ci mostri come sia delicato e profondo il suo modo di parlare di donne:

 

Il Talento Delle Donne (Time and silence) / 10 / Om Mani Padme Hum. / / Guarda l’orologio amore mio / ricordati questo tempo / guarda l’orologio dovunque sei / da qualunque sentimento / qui è mezzanotte da un minuto / tutta la strada è accesa / ma è fin troppo diritta / perché mi porti a casa. / / Che gusto di selvatico / di nessun pentimento / mi trovo sulla bocca, sulle mani / di tempo in tempo / l’amore ha i suoi fastidi / io ne sto al riparo / meglio un ergastolo sentimentale / che la vita innaturale senza te. / / Time and silence. / / Così il tempo che è già stato / l’ho traslocato ieri / io che sognavo e ti sognavo / credendo di pensare / oggi è la corsa delle cose / che mi lascia senza fiato. / / Il talento delle donne / è così naturale / il talento delle donne / sperdutamente amate. / / Time and silence. / / L’innocenza con cui puniscono / per le cose non avverate / allo scadere di un giorno / senza un miracolo da invocare / né un fazzoletto piccolo per salutare / ma il coraggio certe volte / è così naturale. / / Time and silence. / / Om Mani Padme Hum. / / Guarda l’orologio amore mio / ricordati questo tempo / guarda l’orologio dovunque sei / da qualunque sentimento / qui è mezzanotte da un minuto / tutta la strada è accesa / ma ci vorrebbe un miracolo / per riportarci a casa / noi due. / / Time and silence. / / Om Mani Padme Hum.





Fossati e Mia Martini, fidanzati alla fine degli anni '70


Se ci rimane un po’ di tempo vorrei parlavi di una strana canzone che presenta uno strano personaggio che, se l’osservate bene, deve essere, come spesso nell’arte contemporanea, un Cristo travestito (e alla ‘leggenda cristica’ rimandano l’addio nella notte, il chiedere che la prova possa passare, l’aceto e l’amore, il bacio... e la violenza del potere)

 

Treno di ferro / / (Ai ragazzi che partono in pace e in guerra) / 11 / Buonanotte / buonanotte che vado / vado e non c’è appello / e nemmeno l’ombrello trovo questa notte / così vado anche se piove / anche se dietro le nuvole è tutta luna nuova / vado senza di te / vado senza di te. / / Coraggio fratelli miei / il cappotto che vado / che vado avanti / vado senza di lei / tu stai in gamba che vado / come dicono di là dal mare / abbi cura / abbi cura di te. / / Che anche quest’ora passerà / come una notte di campagna / quest’ora passerà / se vorrò bene al mio sogno / come a un abito di fiamma / quest’ora passerà. / / Sono i mesi del vento / l’uomo che sogna / l’asino che vola / e tutto il resto che va. / / È che là fuori / c’è un treno di ferro / con il cuore di calce / il soffio di acido e veleno / una valanga d’amore contro un bicchiere d’aceto / dopo l’ultimo bacio / prima del fischio del treno. / / Tu non confondere il sapere col sospetto / e quest’ora passerà / come una notte di campagna / o come il tempo tutto / quest’ora passerà. / / Sono i mesi del vento / l’uomo che sogna / l’asino che vola / e il tempo tutto che va. / / È che là fuori / c’è un treno di ferro / con il cuore di calce / il soffio di acido e veleno / una valanga d'amore contro un bicchiere d’aceto / dopo l’ultimo bacio / prima del fischio del treno.

 

E come congedo davvero ultimo un’altra citazione ancora dalla Bibbia e il ricordo che la Bibbia è stato, in alcune sue pagine e intenzioni, un testo di resistenza, di speranza, di rivolta... il segno per usare le parole di Fossati di ‘una stagione ribelle.

 

C’è Tempo / 12 / Dicono che c’è un tempo per seminare / e uno che hai voglia ad aspettare / un tempo sognato che viene di notte / e un altro di giorno teso / come un lino a sventolare. / / C’è un tempo negato e uno segreto / un tempo distante che è roba degli altri / un momento che era meglio partire / e quella volta che noi due era meglio parlarci. / / C’è un tempo perfetto per fare silenzio / guardare il passaggio del sole d’estate / e saper raccontare ai nostri bambini quando / è l’ora muta delle fate. / / C’è un giorno che ci siamo perduti / come smarrire un anello in un prato / e c’era tutto un programma futuro / che non abbiamo avverato. / / È tempo che sfugge, niente paura / che prima o poi ci riprende / perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo / per questo mare infinito di gente. / / Dio, è proprio tanto che piove / e da un anno non torno / da mezz’ora sono qui arruffato / dentro una sala d’aspetto / di un tram che non viene / non essere gelosa di me / della mia vita / non essere gelosa di me / non essere mai gelosa di me. / / C’è un tempo d’aspetto come dicevo / qualcosa di buono che verrà / un attimo fotografato, dipinto, segnato / e quello dopo perduto via / senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata / la sua fotografia. / / C’è un tempo bellissimo tutto sudato / una stagione ribelle / l’istante in cui scocca l’unica freccia / che arriva alla volta celeste / e trafigge le stelle / è un giorno che tutta la gente / si tende la mano / è il medesimo istante per tutti / che sarà benedetto, io credo / da molto lontano / è il tempo che è finalmente / o quando ci si capisce / un tempo in cui mi vedrai / accanto a te nuovamente / mano alla mano / che buffi saremo / se non ci avranno nemmeno / avvisato. / / Dicono che c’è un tempo per seminare / e uno più lungo per aspettare / io dico che c’era un tempo sognato / che bisognava sognare.”

 

***

 

Chiudiamo questo pezzo con il contributo di Patty Pravo: “Il primo incontro con Ivano è avvenuto alla RCA in occasione di Pensiero stupendo: Ennio Melis, l’allora direttore generale decise che la canzone era perfetta per me e così la cantai subito in uno studio della RCA in fase di ristrutturazione. Ma c’era quanto bastava e feci dei take: il primo fu giudicato perfetto da tutti, anche da Ivano. Penso che con questa canzone ci siamo fatti un regalo reciproco: io ho avuto il piacere di inciderla e ancora oggi la propongo nei miei concerti, lui la soddisfazione di vedere una sua creatura in classifica a lungo nel 1978 e tutt’ora molto celebre.

La nostra collaborazione si è ripetuta nel 1998 con Angelus, una canzone che ha scritto su misura per me, un abitino perfetto.

Non lo conosco bene al punto di poterlo giudicare come uomo, al cantautore invece do un bel 10 perché ha scritto alcune delle più belle pagine della musica italiana”.








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