|
di Cosimo
Ruggieri
“Alright, if all the hippies cut off all their hair
I don’t care, I don’t care”
Jimi
Hendrix - If six was nine
Questa storia inizia nel retro di un bar di New York. Sono
gli anni ’60, gli stessi che vengono anche raccontati
nel libro di Jonathan Lethem Il giardino dei dissidenti, la storia di
settant’anni di storia di attivismo politico di sinistra negli Stati Uniti,
attraverso le vicissitudini della famiglia Angrush-Zimmer-Gogan. Ma anche nei
libri di John Updike, come ad esempio la serie del Coniglio. Il bar
ristorante è il Max Kansas City, sito al
213 di Park Avenue, tra la 17ª e la 18ª strada. È il tempio della scena rock di
New York, fu la casa dei Velvet
Underground fino al loro scioglimento nel 1970, un trampolino di lancio ma anche un banco di
prova per i gruppi emergenti. Era stato aperto da Mickey Ruskin nel dicembre
del 1965 ed è stato un ritrovo per
artisti scultori e poeti; vi hanno suonato da Bruce Springsteen – agli inizi della sua
carriera con un set acustico negli anni ’70
– a Bob Marley and The Wailers, passando
per David Bowie, Iggy Pop e Lou Reed. Fu anche la casa del Glitter Rock per un
breve periodo. Il locale chiuse nel 1974 per riaprire sotto la gestione di
Tommy Dean Mills che lo fece diventare l’alternativa a New York del CBGB &
OMFUG, acronimo di “Country BlueGrass Blues and Other Music For Uplifting
Gourmandizers”.
Nella sua seconda
vita divenne la casa del punk e vi
suonarono i New York Dolls, Blondie, Misfits e anche Patti Smith. In un’intervista rilasciata
alla rivista The Interview Magazine, nell’aprile del 1973 a Danny
Fields, Ruskin racconta di una grande festa per l’apertura Max Kansas City il 6
dicembre 1965 sebbene il locale fosse aperto già da prima. Aveva invitato tutti
i suoi amici artisti, per i primi 6 o 7 mesi questi erano la base fissa della
gente che frequentava il Max. Andy
Warhol, che cominciò a frequentare il bar
quando ancora bazzicava la 47esima
strada (The Factory era il nome del primo studio di Andy Warhol tra il 1962 e
il 1968, si trovava al quinto piano del 231 East 47th Street ), si sedeva
sempre al tavolo rotondo sul retro. La musica arrivò al Max Kansas City e il
primo a portarla fu lo stesso Danny Fields, considerato uno dei “padrini del
Punk”, che oltre ad essere stato giornalista fu anche il manager di Iggy e gli
Stooges e anche dei Ramones, e lavorò
con i Doors e con gli Mc5.
Sul sito http://dannysaysfilm.com/Danny_Says/Danny_Says.html potete trovare un docuumentario sulla sua
vita. Danny Fields portò al Max i Doors, mentre Andy Warhol portò i Velvet
Underground e tutti quelli che facevano parte della sua scena. Ruskin accolse tra i suoi ospiti anche Janis Joplin, portata
dal suo manager Albert Bernard Grossman che fu anche il manager di Bob Dylan
dal 1962 al 1970 e all’inizio della sua carriera anche di Peter, Paul & Mary. La grande
stagione del Max fu nel 1969 dopo di che la sua storia fu in discesa per poi
risalire negli anni ’70. Nella famosa stanza sul retro si trovava anche Lillian
Roxon (veramente Liliana Ropschitz – ma come
e perché cambiò nome lo vedremo dopo)
nata nel 1932 da genitori polacchi di
Lvov fuggiti dall’antisemitismo già presente prima del nazismo. Suo padre
Izydor Ropschitz voleva fare il medico,
ma molte università erano a numero chiuso e inaccessibili agli ebrei. In Italia
non c’erano, a quella data, restrizioni e quindi la famiglia si trasferì in
Italia dove Izydor poté iscriversi a medicina nell’Università di Padova, una
delle migliori in Italia e tra le più prestigiose in Europa. Rimase molto
affascinato e si innamorò dell’Italia tanto che tutta la famiglia, composta da
Rosa e Izydor e il primogenito Emanuele detto poi Milo, si trasferirono ad
Alassio nella riviera ligure, nota per essere
meta di vacanze e svago per ricchi e famosi inglesi e americani, tra cui
Charlie Chaplin e Ernest Hemingway. Lilian nacque a Savona nel 1932, visse un
infanzia idilliaca in una grande casa con le palme. Le vacanze estive a Vienna
e a Zakopane in Polonia. Tutto si infranse quando nel 1936 Mussolini firmò
l’alleanza con Hitler; l’asse Roma-Berlino cambiò molte cose. Nel 1938 il
governo italiano ordinò alla famiglia Ropschitz
di lasciare il paese. Il padre, Izydor, aveva capito il mutare dei tempi
in anticipo ed era riuscito a farsi dare
un passaporto polacco dal console generale polacco a Londra. Con lo scoppio
della guerra Izydor portò la famiglia a Londra, fece poi richiesta per emigrare negli Stati Uniti, ma
le rigide quote degli Stati Uniti quanto a immigrazione escludevano questa
possibilità.
Nel 1939 furono ammessi in
Australia, terra che per i Ropschitz offriva due vantaggi: era lontana dal conflitto
che avrebbe distrutto l’Europa e aveva un clima mite e tranquillo. Quando la
famiglia Ropschitz arrivò in Australia, Izydor trovò lavoro come medico, la
popolazione di Brisbane era prevalentemente anglo-celtica e così per mescolarsi
alla comunità, in segno di integrazione,
decisero di cambiare il cognome. Il cognome fu un’invenzione di Lillian che a quell’epoca
aveva otto anni. Alcuni anni dopo raccontò che un giorno lei e la sua
famiglia camminavano su una spiaggia
vicino a Brisbane, località in cui il generale Douglas MacArthur comandante
supremo delle forze alleate nel sud est del Pacifico si stabilì dopo che i
Giapponesi avevano bombardato Pearl Harbor. Osservando delle rocce vicino
all’acqua, Lilian suggerì di dare alla parola inglese “rock” un suffisso dolce
e melodioso, così il cognome Ropschitz divenne Roxon. Le truppe – circa centomila soldati –
vennero mandate a Brisbane e
dintorni, ed esse portarono il jazz e lo
swing nonché nuovi balli che per Lillian
furono il primo contatto con la cultura popolare americana di cui avrebbe
scritto negli anni successivi. Nel 1959
Lillian lascia Sidney dopo aver frequentato gli studi d’arte dove aveva
fatto amicizia con i Libertarians, diventati poi i Sidney Push, un gruppo che si ispirava al pensiero radicale di John
Anderson, docente di filosofia all’Università. Un gruppo con uno spiccato senso
di avventura dal punto di vista
intellettuale e sessuale che li mise in guerra con la società conservatrice
australiana degli anni Cinquanta, molto più ribelli di quelli che frequentava
al Pink Elephant quando andava al liceo.
Nel 1959 Lilian si trasferì a New York, fermandosi però alle Hawaii per intervistare il colonnello
Tom Parker, manager di Elvis Presley che la Roxon ricorda come un uomo paffuto
con gli occhi come il marmo e un sorriso paterno.
Dopo tutto questo girovagare la
sua ultima tappa fu New York, dove lavorò per vari giornali, tra i quali anche
il Daily Mirror del magnate –
ancora alle prime armi – Rupert Murdoch, per passare poi nel 1963 alla
redazione di New York del Sydney
Morning Herald, il più vecchio e influente giornale australiano dell’epoca.
Dopo aver scritto la Rock Encyclopedia la Roxon divenne freelance, anche
se continuò a scrivere per il Sydney Morning Herald, inoltre scriveva per Crawdaddy
e Creem e Fusion, riviste
di musica rock di larga diffusione negli anni Sessanta. La prima
edizione del libro è del 1969, oggi viene rieditato
dalla casa editrice Minimum Fax
con il titolo Rock Encyclopedia & altri scritti (Roma, 2014, pp. 500, € 16,00, con la prefazione di Robert Milliken),
tradotto da Tiziana Lo Porto, che ha tradotto anche Evita lo specchio e non guardare quando tiri la catena e Seduto sul bordo del letto mi finisco una
birra nel buio di Charles Bukowski, Radicalchic di Tom Wolfe e In stato di ebbrezza di James Franco.
|
I Jefferson Airplane
|
Per sapere il motivo per cui la Roxon ha scritto il
libro bisogna partire dal fondo dello
stesso. La genesi del libro avviene in una calda estate a New York; Lillian
aveva il turno dalle cinque di pomeriggio all’una al Sydney Morning
Herald,
questo turno le piaceva perché le
permetteva di andare alla spiaggia di Coney Island per poi presentarsi al
lavoro alle cinque. All’una di notte quando usciva frequentava il Max Kansas
City dove si esibivano anche molti gruppi rock e dove si poteva mangiare la
sera tardi. L’altro locale che frequentava alternativamente era The Scene, dove
i gruppi suonavano fino alle ore piccole, e dove hanno suonato i Traffic, la Jimi Hendrix Experience, i
Jefferson Airplane, Frank Zappa, gli Yardbirds, Sly and the Family Stone e
molti altri gruppi. La sua enciclopedia è figlia di quelle notti passate tra il
Max Kansas City e lo Scene. Le sue “memorie”
di New York vanno dalle notti in cui nasceva la scena Folk e Bob Dylan,
per passare al cinema underground e arrivare appunto alle caldi notti del 1967,
in cui la musica rock la faceva da padrone in città e si potevano vedere ad un
concerto dei Byrds, Norman Mailer, Timothy Leary e Allen Ginsberg. Il libro da
piccolo tascabile alla fine diventò un volume gigantesco, uscì a novembre e
ricevette delle recensioni entusiastiche. Ad esempio Howard Smith del Village
Voice scrisse che il libro era un
piacevolissimo viaggio dalla A agli Zombies. Riviste musicali come Billboard lo vendettero per corrispondenza ai propri lettori, Variety
lo definì di tendenza.
L’approccio alle schede è molto discorsivo e per
nulla accademico o con pretese accademiche, si sente che la Roxon ha respirato
musica sin dalla giovinezza. Le schede sono scritte sull’onda delle emozioni di
quando è uscito un disco o un gruppo o c’è stata un’esibizione live, quando la
polvere del tempo non si è ancora posata. Così, ad esempio, la scheda su Bob
Dylan. Le schede toccano molti aspetti della musica: vanno dai gruppi famosi ai
gruppi meno conosciuti, che Lillian conobbe probabilmente nelle sue serate
newyorkesi, toccano anche generi
musicali, come il Memphis Sound e pratiche musicali, come quella del feedback o
l’utilizzo del Mellotron. Ma questo libro non è soltanto un libro di musica, ci
sono anche altri scritti, come ad esempio l’articolo scritto nel 1970 per il Sydney
Morning Herald, sulle donne che
secondo la stessa autrice è stato il più difficile da scrivere, riguardante la manifestazione di
venticinquemila donne nella Fifth Avenue per il cinquantesimo anniversario
della vittoria delle donne per ottenere il diritto di voto. Oppure l’articolo su Germaine Greer (giornalista e
scrittrice ) autrice nel 1970 del libro L’eunuco femmina che diventò un classico per le femministe. Le due donne
si erano conosciute a New York negli
anni ’60 e dopo il loro incontro Germaine Greer tornò, poi, a Londra e scrisse,
appunto, L’eunuco
femmina dedicato a Lillian: “Questo libro è dedicato a
Lillian, che vive con nessuno, ma con una colonia di scarafaggi di New York, la
cui energia non è mai venuta meno
nonostante le ansie e l’asma e il suo sovrappeso, che è sempre interessata a
tutti, spesso arrabbiata, a volte stronza, ma sempre partecipe... Lillian la
bella che pensa di essere brutta,
Lillian l’infaticabile che pensa sempre di essere stanca”.
Segue la dedica ad altre quattro donne, ma quella per
Lillian è la più scintillante; queste due donne hanno avuto un cammino simile
nella vita, entrambe cresciute in Australia, hanno frequentato il gruppo dei
Sidney Push. Germaine aveva “agganci” nel rock britannico e Lillian si era
emancipata molto prima che Germaine scrivesse il suo libro. L’ultimo articolo presente
nel libro è sui Creedence Clearwater e
porta la data del 23 gennaio del 1971
sul Sydney Morning Herald. Lillian
era stata invitata ad una festa organizzata dai Creedence perché il gruppo
aveva venduto dischi per 82 milioni di dollari. John Lennon all’epoca sosteneva
che la festa era finita, Lillian racconta invece tutto il contrario e giudica i
Creedence un gruppo che porta affari, non vendono magia, precisa, ma musica.
Aggiungendo che se nel 1963 erano tutti d'accordo con Bob Dylan che i tempi
stavano cambiando, bisognava ammettere che essi stavano cambiando di nuovo. Il
rock non è più: “Lucy nel cielo con i diamanti, è Lucy in banca con i miliardi”.
Lillian Roxon morì all’età di 41 anni il 10 agosto del 1973, dopo un grave attacco
d’asma che la colpì nel suo appartamento di New York. Lillian Roxon ha scritto
questa enciclopedia con una passione che traspare da ogni pagina. Lei aveva
visto la forza dirompente della musica rock, per lei era come la Cina
Rossa davanti a tutti e non si poteva
fare a meno di non notarla, era un fenomeno che portava cambiamento non solo
nella musica ma anche nella cultura giovanile e nei costumi e nello stile di
vita. Tra le cose che mi hanno colpito del libro e della sua autrice c’è la sua
determinazione e la sua faccia tosta come quando chiese a Brian Epstein nel
1966 durante una conferenza stampa, dopo una serie di domande ossequiose: “Signor
Epstein , lei è milionario?”. Era l’unica ad aver capito che il rock stava per
diventare un grande business! Nel 2010 il regista Paul Clarke ha girato un
documentario intitolato Mother
of Rock: Lillian
Roxon, in cui racconta la sua vita autonoma e provocatrice, la storia di
una donna che aveva capito prima di tutti
le potenzialità del rock. Clarke parte dal 1959, l’anno
in cui Lillian si trasferisce negli Usa dall’Australia e procede per gradi. La voce
narrante è di Judy Davis e la voce nelle letture di Lillian Roxon è di Sacha
Horler.
_________________________________________
Colonna Sonora
Van
Morrison & The Chieftains
- Irish Heartbeat
John
Mayall - So Many Roads - An Anthology 1964-1974
Various
Artists - Where The Action Is! Los Angeles Nuggets
1965-1968
The
Fugs - First Album
Percy
Sledge - The Percy Sledge Way
The
Grateful Dead - Live at Fillmore West (1 and 2, February 27,
1969)
The
Grateful Dead - Europe ’72
Scarica in formato pdf
|
|