SPAZIO LIBERO
RIFLESSIONI
Antifascismo è partecipazione


      
Alcune considerazioni del poeta romano in coda allo scorso 25 aprile e alla celebrazione del settantesimo anniversario della Liberazione dalla dittatura fascista. La memoria militante dello scrivente ritorna agli anni Settanta del XX secolo, che è giunto il momento di riabilitare e di rivalutare oltre la storica etichetta negativa di ‘anni di piombo’, riconoscendo che una generazione seppe allora dare prova di forte spirito critico, di libertà di pensiero e di grande autonomia politica al di fuori dei partiti tradizionali.
      



      

di Enrico Pietrangeli

 

 

C’era una volta l’antifascismo, io non ne ho una memoria diretta per ragioni anagrafiche, ma nondimeno ho sempre amato documentarmi di una pluralista aneddotica presso chi, sui diversi fronti, li ha vissuti sulla propria pelle quei giorni che hanno fatto la nostra storia. E forse da lì, dalla tanta curiosità e sete di storia che ho iniziato a farmi un’idea della forma mentis degli italiani e di come vanno le cose in questo amato e malandato Paese …

 

C’era chi ci credeva, nel torto o nel giusto che fosse, ma c’era sempre onnipresente l’opportunista di turno, la faida famigliare da consumare dietro l’angolo, l’interesse personale da perseguire …

 

C’era anche chi volle tenersi fuori da tutto questo, taluni sì per viltà e per mancanza di scelte, ma anche chi non seppe riconoscere, pur avendo sempre fatto il proprio dovere, una piena ragione di coscienza di fondo. C’era l’entusiasmo della vittoria e una crudeltà tutta italiana, a dire il vero, che si contraddistingue nell’inferire sui vinti. Una crudeltà insita in ogni guerra civile ma che altrove, dalla Spagna al Vietnam, sia pure con assai discutibili metodi e argomentazioni, ricercò una via verso la pacificazione.

 

Eppure, nel paradosso del nostro amato e malandato Paese, ciò che fece comodo preservare del fascismo fu conservato cambiando colori e simboli in una memoria che riporta al Gattopardo, emblematica fotografia della letteratura post unitaria.

 

Dell’antifascismo, di fatto, la mia memoria più diretta sono gli anni Settanta, dove si radicava un significato politico volto a evidenziare una resistenza mutilata e quindi da completare fino a palesare un clima di anticamera di guerra civile da una parte e, dall’altra, c’era una connotazione più strettamente culturale, dove per opposizione al fascismo veniva additato quel conformismo ben radicato nella società italiana. Una precisa ragione assai più estesa dello stesso fascismo e che il fascismo nondimeno fece sua, a partire dal trasformismo di una rivoluzione nata dallo sgretolamento dello stato liberale per integrarsi poi, su misura, nel vuoto di potere vacante.

 

Negli anni Settanta emergono dunque due evidenze discutibili ma chiare ed evidenti dell’antifascismo alla luce degli sviluppi del primo trentennio della nostra democrazia. Riabilitare, rivalutare e riconsiderare gli anni Settanta è uno slogan che voglio riproporre e attualizzare in quanto momento storico di presa di coscienza, spontaneità e autenticità da riabilitare nel suo effettivo ruolo culturale. Rivalutare in quanto troppo spesso la storia degli anni Settanta l’abbiamo dovuta subire solo e soltanto come un momento buio in cui, al contrario, molta gente iniziò a pensare e a chiedersi un perché. Riconsiderare poiché, sulla base della storia e della nostra contemporaneità, l’ideologia e la sua dogmatica di eliminare l’avversario è venuta meno e con essa si ha la catarsi di un ciclo storico e quello che fu il solo effettivo tumore degli anni Settanta.





Una manifestazione antifascista negli anni Settanta


Un cancro che oggi non ha più metastasi e non può continuare a infangare la bellezza, la spontaneità e la capacità di pensare di una generazione che seppe dare il meglio di sé, ma purtroppo in un mondo diviso dall’ideologia e pilotato in ambigui giochi da servizi segreti tanto dell’Ovest quanto dell’Est. Una generazione che, tanto nel torto quanto nel giusto, da sinistra a destra ruppe gli schemi di partito ponendosi in posizioni extraparlamentari, prima ancora che per ragioni politiche e sovversive che allora fossero, su connotazioni culturali che riconsideravano autonomia e capacità di pensiero.

 

Ad oggi, condannando ogni forma di violenza ed illegalità politica, occorre riconsiderare fortemente quel ruolo culturale insito negli anni Settanta, quella capacità di critica, rottura e autonomia che ci fu a sinistra verso il PCI di Berlinguer come pure, sia pure in forma nettamente inferiore e minoritaria, lo stesso fenomeno avvenne a destra nei confronti del MSI di Almirante. Con questo non si vogliono sminuire personalità e meriti che pure hanno avuto i due statisti in questione, ma evidenziare quel conformismo che entrambi hanno dovuto comunque cavalcare nella ricerca dei soli compromessi possibili col postumo risultato di altri quarant’anni di democrazia dove, pur essendo tutto mutato all’apparenza, nulla, di fatto, è cambiato.

 

L’antifascismo di oggi vorrei che fosse un po’ come lo sognava Gaber: “… un uomo che ha bisogno / di spaziare con la propria fantasia / e che trova questo spazio / solamente nella sua democrazia. / Che ha il diritto di votare / e che passa la sua vita a delegare / e nel farsi comandare / ha trovato la sua nuova libertà” ma “la libertà non è uno spazio libero / libertà è partecipazione”.

 

 




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