PRIMO PIANO
INEDITI
“Generazioni - Un dialogo
tra valori e rivoluzioni”


      
Pubblichiamo l’incipit di un breve romanzo epistolare incompiuto, scritto oltre quindici anni fa. In cui lo scrittore romano morto alla fine del 2014 si confrontava col figlio primogenito sulle diverse esperienze generazionali, sia sul piano socio-politico e culturale, sia su quello esistenziale. Prossimamente del libro ne verrà fatto un ebook.
      



      

 

 

di Stefano Docimo e Pablo Docimo

 

 

Caro Pablo,

vedo quello che stai facendo, il tuo lavoro con il Presidente, bhé,  è la narrazione di un percorso unico e irripetibile, che mostra... ecc. Mi rendo conto che, continuando, mi sperticherei in lodi di cui credo non abbia bisogno, dal momento che parlano i fatti.

Entrando invece in quello che mi pare il nodo dellesperienza da te fin qui condotta, vorrei ricordarti, ma ricordarlo soprattutto a me stesso, alcuni dati agghiaccianti, che dovrebbero illustrare a sufficienza, la schizofrenia, quando non la malafede, del sistema a cui tu hai giurato fedeltà.

Tanto per entrare nel merito e per tentare, al di là dogni retorica ufficiale, di radiografare una situazione, quella del nostro Paese, come lo chiami tu, insieme al contesto mondiale, da cui credo non si possa prescindere.

Vorrei, innanzi tutto, premettere che non sentendomi personalmente coinvolto negli interessi di quella che potremmo ancora definire “borghesia illuminata”, che daltro canto sa fare più che bene il proprio interesse, mi sento, al contrario, spinto a cercare le motivazioni e le esistenze della gran massa degli abitanti del nostro pianeta; e per gran massa intendo i tre quarti e più degli “abitanti” i vari continenti.

Ma proprio su questo primo concetto, quello dellabitare, voglio soffermarmi e partire per questanalisi.

Come ben sai, ho avuto la ventura, o “sventura”, a seconda dei punti di vista, ma anche di questo scriverò più avanti, di nascere “bene”, e cioè allinterno di quella che un tempo veniva definita “classe borghese” e che costituiva la parte “illuminata” di quellaltra entità di agglomerati che è stata chiamata “città”: una borghesia inurbata e urbana, saldamente radicata nel tessuto sociale della capitale. Ma come per altro ancora conosci, non ho mai partecipato ai fasti, mai mi sono sentito un granchè partecipe del destino di classe che la sorte mi aveva segnato. E questo per vari motivi, ma anche per uno in particolare: lestraneità, come condizione permanente, dal resto dellumanità, che tale classe ha prodotto e produce, unita a una certa dose di melanconia mia propria.

Anche oggi che sono ritornato ad “abitare” nel vecchio quartiere delladolescenza e della giovinezza -e sai come sia avvenuto per quella casualità che tu giustamente critichi per rituffarmi in parte nelle problematiche inerenti la mia famiglia dorigine, da cui, come per altro ancora fin troppo sai, ero fuggito a ventanni, non ho alcuna voglia di “sentirmi” parte partecipante di una urbanità che continua a offrirmi tanta comodità ma anche tanto disagio e contraddizione.

Insomma, so di essermi nuovamente blindato, ma con laria di chi, appena possibile, tornerà “alla strada”, alla storia dellumanità che non “abita” da nessuna parte, perché non vuole, ma più che altro perché non è un abitare il suo.

 

Non ho smesso, come ancora sai, di lavorare ai margini di questa società civile, sia col mio lavoro dinsegnante, che con quello dintellettuale e di scrittore.

Ecco, vedi, nel pronunciare i nomi di tutte e tre queste attività tipiche della borghesia “civile”, mi vergogno un poe tu questo non puoi capirlo, ma cercherò di spiegartelo.

(continua)

papà

 





Stefano Docimo (1945-2014)


 

         Caro Papà,

che dire? Non posso nascondere un certo apprezzamento per essere nei tuoi pensieri notturni - la notte porta i migliori pensieri- per la voglia che hai avuto di fissare su carta, bravo da sempre, il tuo pensiero, la tua melanconia o più semplicemente le tue considerazioni. Di fissarli e comunicarli. Ne sono felice. Amo molto anche io lo scrivere, così per me intendiamoci, perché mi aiuta a edulcorare i miei pensieri, a fissarli, a nobilitarli o quasi, è questa forse la verità, a renderli eterni, oltre il tempo.

Se sono lì, sono veri altrimenti fluttuano nella mia mente e basta.

Ma questo sono io, sempre ansioso di fissare le cose, di renderle sicure, indiscutibili. Io che cerco sempre delle giuste certezze. Mi piace molto. Mi piace lidea di una sintesi tra generazioni che tanto, la tua e la mia, sono complementari, molto di più di quanto abbiamo sino ad ora creduto.

Eun mondo che non amo, questo. Non amo il classismo, non ne amo i (non) valori, non amo lipocrisia del successo fintamente accessibile a tutti, non amo la borghesia e lelite, illuminata e non, che troppo ha condizionato sullinteresse di pochi, la vita della gran massa, come la chiami tu.

Non amo il nostro mondo e non milludo, anche se...ne sono parte. Il mio starci, però, ha un fine. Conoscerlo e cambiarlo, per la parte che potrò. Anche se, storicizzando (concetto di eredità semantica della tua generazione) i passaggi generazionali, qualcosa è cambiato.

Oggi, forse, tutti hanno la coscienza di ciò che è. Prima era molta lignoranza del “sistema”. Ora, la gran massa preme, chiede e pretende laccesso al benessere.

Questo è il paradosso. Così com’ è oggi, il benessere è una risorsa finita, limitata e quindi non accessibile ma selettiva perché selettivi sono gli strumenti con cui accedere a “quel” benessere. Quando diciamo, quindi, che dobbiamo consentire a tutti un percorso di vita coerente con le proprie aspirazioni attraverso saperi e strumenti democraticamente accessibili alla gran massa, ben sapendo che tali aspirazioni in realtà sono limitate a “poche cose”, mentiamo spudoratamente.

Mentiamo e prendiamo il tempo necessario a disegnare una nuova via ‒ la terza? No, credo debba essere unaltra ancora ‒.

Chi può condizionare e determinare questapertura alla gran massa, sa bene che il “lume” si eredita e non si compra. Il risultato di questa apertura democratica (?) ha prodotto una sola grande middle-class a cui abbiamo regalato lillusione che, magari in leasing, può comprare gli archetipi del benessere e credere di essere “arrivati”.

È il grande falso storico di questa fine millennio. E poi? Avremo una classe dirigente fatta di mercanti? Già è così? Allora abbiamo il dovere di cercare e credere in una nuova via. La tua generazione – lelite della tua generazione a cui tu appartieni ha il grande merito di aver lanciato il sasso ma....

Ricordo, da bambino, vi sentivo urlare il vostro dissenso al “sistema” e preoccuparvi del vostro impegno. Vi sentivo e mi piaceva immaginare quello che sarei stato io. Me lero un podimenticata, quella generazione di uomini e donne che così bene hanno conosciuto “il sistema” che meglio di tanti altri hanno poi gabbato lo Santo e ‒ in barba allentrismo di Trotskjiana memoria ‒ hanno saputo starci dentro alla grande pur continuando a pontificare sui massimi sistemi.

Questo, forse, è stato il grande guaio della mia generazione che, spinta dai giovani genitori alla rivoluzione, a un certo punto s’è voltata e dietro ha visto non più ideali, non più voglia di cambiare, non più credere nella forza degli individui ma solo carrierismo, soldi, potere e la rabbia ‒ la vostra – di volerci stare e contare sempre di più, non importa poi per fare cosa ma limportante era starci.

Questo non sei tu, lo so, ma è la tua generazione, è quello che la tua generazione ha lasciato alla storia.

Ma allora questa illuminata borghesia intellettuale che si blinda e non abita cosa fa? Perché lasciate a noi il fardello? Aiutateci a capire, aiutateci a cambiare.

Da soli non possiamo, siamo giovani...........

(continua..)
Pablo

        

 

          Caro Pablo,

fare qualcosa, certo. Ognuno nel proprio ambito: manifestare il dissenso. Già questo è fare qualcosa. Resistere a un sistema tanto pervasivo da invadere anche il laboratorio privato di ogni essere umano, come avviene anche mentre ti scrivo, usando una tecnologia che nasce dallo sfruttamento, anche minorile, di aree già depresse, per offrire a me scrittore, o meglio scrivente, la possibilità di accesso a prezzi sempre più competitivi; questo è già fare qualcosa.

Ma si finisce con lessere emarginati.

E poi “il sistema” mi ha già fregato in partenza: se voglio sopravvivere devo sottomettermi alle sue regole e usare i suoi prodotti. La mattina, appena mi alzo dal letto, già respiro il sistema, uso la sua tecnologia, la sua organizzazione dei trasporti, il suo inquinamento: laria che respiro è la sua aria. Alzandomi per andare a lavorare il sistema mi veste, fin nei dettagli: i pensieri non sono più miei, come laria che respiro non appartiene più alla mia natura. Ogni momento della mia vita è già previsto, calcolato, incluso.

Ogni desiderio si traduce in un bisogno da soddisfare. E il sistema oggi è in grado di soddisfare ogni più recondito desiderio: è lipermercato postmoderno della società americana. Tutto ciò avviene in modo non indolore. Viene imposto con la forza: lintero assetto mondiale si fonda sulla prevaricazione e sulla sottomissione del più debole.

Un iper reale macchina da guerra si scatena su chiunque contrasti, per qualsiasi ragione, gli interessi di questo mercato mondiale, di cui noi non siamo che una provincia. La tecnologia messa in atto in quei casi è impressionante: non è che io voglia pensare ai massimi sistemi perché non ho altro da fare. Il significato stesso dellattuale sistema dinteressi è basato sullespropriazione delle differenze nazionali e territoriali, ed è un sistema mondiale: è la postmodernità.

Lumanità non è che una variabile: è la postumanità dei consumi. Non c’è bisogno che sia io ad insegnarti ciò che conosci meglio di me: il sistema delle imprese e il loro dipendere dal capitale mondiale.

Non si può tornare più indietro. Il contesto non lo permette. Il soggetto di tale situazione caleidoscopica, o meglio, ipermediale, si è spostato dallessere al disessere, cioè al mercato. La macchina che si è messa in moto ha proporzioni tali da non rispecchiare il benché minimo parametro personale: la spersonalizzazione, voluta da tali logiche, è il prezzo da pagare. Come la desertificazione. È una follia oramai ingovernabile e inarrestabile. Non esistono spazi di manovra, spazi esterni di nessun tipo.

Questo sistema di cose ha conquistato tutti gli spazi. Non c’è angolo di mondo che sfugga alla sua “autoreferenziale” complessità. Il sistema è in grado di crescere e di svilupparsi da solo, e la crescita è esponenziale. Eun sistema, per molti versi, rinnovato, inedito. Di fronte al quale siamo tutti al punto di partenza, siamo tutti uguali. Non si può insegnare nulla a nessuno, perché di fronte al nuovo siamo tutti nudi e disarmati. Si può solo partecipare alla società dellinformazione. E chi ha maggiori informazioni, vince. Informazione e disinformazione, su questo dualismo si gioca la partita. Fino a quando?

(papà)

         





Pablo Docimo


 

          Caro Padre,

ah la dialettica, quale rovina di tutta una generazione! Stiamo sul pezzo e andiamo con ordine.

Intanto, vedo che eviti di rispondere al mio “che fate, generazione di blindati?” ma ci possiamo tornare più avanti. Ora, tu parli di spersonalizzazione però, quasi come un contraltare, personalizzi il sistema, lo fai godere di vita propria, attribuisci lui volontà, personalità, ambizioni, visioni e percorsi. Te ne senti succube e schiavo tuo malgrado. Questo, forse, lo fai con un retaggio tipico della tua generazione, assumendo una coscienza collettiva come soggetto pensante, genitrice (non sola, certo) del sistema e condizionante poi gli stessi soggetti individuali da cui è generata.

Io non ho mai concordato con questapproccio. Provo a spiegarmi, fuor di retorica.

Lassunto di una coscienza collettiva e quindi di un sistema-soggetto, ha fondamento solo se non si riconosce al singolo individuo né coscienza di sé né la consapevolezza del sé come parte di un sistema, ovvero del contributo che apporta. Io sono, io faccio e quello che genero si proietta e si concretizza in un sistema onnivoro, indipendentemente dalla mia volontà.

Forse era vero in altri periodi storici – e non ne sono poi convinto, basti pensare alla democrazia partecipata dei nostri antichi padri – ma ora il gioco – e che gioco – è quello di capire prima e sentire poi la responsabilità del contributo individuale ad un sistema collettivo, sistema che, solo così, può essere espressione sistemica di distinte individualità.

Se poi, come vuole la scienza sociale, parliamo non di singolo individuo ma di segmenti di società – con caratteristiche omogenee – questo micro sistema diventa un macro sistema eterogeneo.

Quindi, non credo nel sistema ma credo in un insieme di sistemi che fanno sistema.

Fin qui parliamo di sistemi sociali ma il modo che si è dato lindividuo di organizzare il suo essere collettivo – come vedi al materialismo storico preferisco la ragion pratica di Kantiana memoria – passa per uno strumento di valorizzazione del benessere che è il denaro.

Ecco il vero punto: il sistema economico. È di questo che, secondo me, dobbiamo parlare. O meglio, è di questo che si parla da un po di anni (Anthony Giddens, guarda caso sociologo e Rettore della London School of Economics – La terza Via ).

Allora valutiamo i sistemi.

Il sistema è sociale perché organizza la vita collettiva ed è economico perché produce i beni utili alla vita della collettività. Dobbiamo vedere i due volti del sistema e non appiattire luno allaltro. Leconomia è un mezzo e non un fine (Se si confonde il mezzo con il fine si perde qualsiasi battaglia). Il benessere – lo stare beneè molto di più che essere economicamente ricchi. Siamo noi a servire il sistema – atteggiamento succube e passivo e non foriero di progresso – o deve essere il sistema a servire lindividuo e lindividuo a migliorarlo?

Il modo che si è dato lindividuo di governare se stesso, paradossalmente, non pone lindividuo al centro (poi dovremmo parlare del passaggio dallindividualismo allindividualità) e lo fa sentire succube e servo dal sistema che egli stesso ha generato.

Per cui, caro padre, essere dentro un sistema ha senso se si partecipa al suo miglioramento.

Il tuo disessere è anche il mio. Ma non può essere tardi per fare. Quello che non accetto è la resa. E la tua generazione, non ho ancora capito, è stata sconfitta o si è arresa?… ammesso che abbia combattuto.

(continua…)

Pablo

 

 

(…)

 




Scarica in formato pdf  


      
Sommario Primo Piano

Il contatore dei visitatori Shiny Stat è attivo da dicembre 2006