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MANLIO CALEGARI
Operai e studenti nelle lotte degli anni Sessanta


      
“L’eredità Canepa. Il Sessantotto fra memoria e scrittura” è l’ultimo e miglior libro dell’autore ligure. Che qui, partendo da un archivio di documenti personali e familiari ricevuto da un amico scomparso, operaio dell’ASGEN, una fabbrica della bassa Valpolcevera, ricostruisce un intero quadro sociale, politico, esistenziale, finanche antropologico della classe lavoratrice. Allora fortemente radicata in una territorialità, oggi totalmente soppiantata dalla globalizzazione che ha rovesciato i rapporti fra capitale e lavoro, a vantaggio del primo.
      



      

 

 

di Marco Codebò *

 

 

I libri di Manlio Calegari sono uno più bello dell’altro. Almeno quelli che ho letto io, vale a dire gli ultimi tre pubblicati su carta: Comunisti e partigiani (2001), La sega di Hitler (2004) e L’eredità Canepa. Il Sessantotto fra memoria e scrittura, uscito da pochi mesi (Acqui Terme, Editrice Impressioni Grafiche, 2014, pp. 216, 10,00).

 

Perché questa crescita di bellezza? Dipende, credo, dalla natura stessa di questi lavori, libri di storia nei quali la raccolta, la discussione e l’organizzazione delle fonti orali giocano un ruolo decisivo. Ne consegue che tutti e tre i lavori, i primi due dedicati alla Resistenza, l’ultimo alle lotte di fabbrica del 1968-69 e alla cultura operaia del ponente genovese, si reggono su un sottofondo dialogico. È un mormorio che ci arriva a intermittenza da Comunisti e partigiani, visto il peso che ancora vi esercitano le fonti tradizionali, cresce nella Sega di Hitler e ed esce a sostenere l’intero racconto nell’Eredità Canepa.

           

La curva ascendente dell’oralità comporta un parallelo alzarsi della responsabilità che Calegari personaggio si assume nel testo. Se il primo dei tre lavori consiste in una dosata interpolazione di documenti ed interviste ed il secondo nella tessitura del ricordo dei fatti del passato con la narrazione dei rapporti umani che si sviluppano nel presente, l’Eredità Canepa è la storia di un’amicizia fra lo storico e l’eroe del suo racconto. Direi che qui si cela la chiave della crescente riuscita estetica del tre libri. Il sempre più evidente coinvolgimento personale del ricercatore nel testo inserisce all’interno della ricostruzione dei fatti un surplus di informazione, riguardo alla soggettività sia del ricercatore sia delle sue fonti, che rende il lavoro più godibile alla lettura nonché più ricco dal punto di vista cognitivo. È come se gli avvenimenti storici si rispecchiassero in un’ulteriore superficie di rifrazione, che li restituisce al lettore sotto una luce più intensa, capace di integrare, senza però sostituirla, quella che arriva dai tradizionali strumenti di indagine.





I due personaggi legati da amicizia nell’Eredità Canepa, Gino Canepa, operaio dell’ASGEN, una fabbrica della bassa Valpolcevera, e Manlio Calegari, nella dimensione iniziale di militante politico e poi di storico ed insegnante, sono entrambi interessati a capire il mondo mettendo insieme sensate sequenze di segmenti del passato. L’amicizia inizia nei primi mesi del 1968, quando Calegari è attivo nel “ ‘Comitato operai studenti’,  un gruppo sparuto in cerca di identità che in ASGEN muoveva i suoi primi passi”; si dipana poi fra intervento politico e inchiesta storica fino alla morte di Gino, nel 1991; continua negli anni che seguono grazie all’“eredità Canepa”, un archivio di documenti personali e familiari che Manlio riceve e custodisce dopo la scomparsa dell’amico e che torna a interrogare vent’anni dopo, al momento di porre mano all’Eredità Canepa, questa volta il libro di storia. Per la scrittura di quest’ultimo, Calegari mette a profitto un metodo già collaudato nei due lavori dedicati alla Resistenza: partire dalla storia piccola, quella vissuta dagli uomini e dalle donne come esperienza personale, per arrivare a quella grande, gli avvenimenti destinati a finire sui libri di scuola: guerre, resistenze, grandi scontri politici e sociali. Per quanto riguarda il contenuto, l’Eredità Canepa comprende quattro grandi filoni: l’incontro operai-studenti nel 1968, la vita di Gino Canepa e della sua famiglia, la biografia di Felicina, madre di Gino, e infine uno straordinario quadro del rapporto fra città e campagna (fabbrica e porto da una parte, podere a conduzione familiare dall’altra), ovvero condizione contadina e condizione operaia nel Genovesato in un arco di tempo (dalla prima guerra mondiale agli anni settanta), che abbraccia quasi l’intero Novecento.

           

L’ultimo filone rappresenta l’elemento più originale del libro ed è fattore decisivo della sua riuscita sia estetica sia scientifica. Attraverso i dialoghi fra Manlio e Gino, i documenti dell’“eredità Canepa” e il materiale raccolto da Isabella Repetto, allieva di Calegari e formidabile ricercatrice, il libro produce su carta una specie di affresco all’Ambrogio Lorenzetti del mondo del lavoro nel Genovesato durante il secolo scorso. Ne viene fuori il ritratto culturale e sociologico della classe operaia genovese, un soggetto chiave per capire sia la storia locale del Partito Comunista e  della CGIL, sia avvenimenti come la Resistenza, la ricostruzione del secondo dopoguerra e le lotte operaie negli anni Sessanta e Settanta del ’900.  Ma oltre ad informarci sul passato, L’eredità Canepa getta non poca luce sull’attualità. L’ha fatto, almeno, per me. Visto con l’angolo di visuale dell’oggi, il mondo dell’Eredità Canepa appare lontanissimo, ma non solo per gli anni che sono passati. C’è in realtà qualcosa di più: Gino Canepa e i suoi compagni vivevano, pensavano e lavoravano a partire dal loro risiedere in un territorio. Erano uomini e donne radicalmente territoriali; dal territorio traevano identità culturale, risorse economiche e strumenti valutativi sul mondo. L’espressione più alta di quell’esperienza antropologica è stata la Resistenza, che non solo nell’entroterra genovese, ma in tutta l’Europa occupata, riuscì a trasformare il radicamento delle comunità operaie nel proprio territorio in arma letale per il nemico che vi si era incautamente, per lui, insediato.





Ora quella territorialità è irrimediabilmente perduta; e si capisce perché. Il rovesciamento dei rapporti fra capitale e lavoro, a vantaggio del primo, che si è verificato a partire dagli anni Ottanta del ’900, è stato possibile proprio a partire dalla dimensione totalmente antiterritoriale che ha assunto il capitale. Il fenomeno si chiama, lo si sa tutti, globalizzazione: grande finanza internazionale, reti telematiche planetarie, centri decisionali operanti al di sopra degli stati nazione. Perché questi strumenti potessero dispiegare tutta la loro potenza, però, è stato necessario, in parallelo, a cominciare dai minatori inglesi e poi via via in tutte le comunità antagoniste dell’Occidente, distruggere il rapporto che legava operai e operaie al loro territorio. Anche questo era un fatto noto. Ma il punto, a mio parere, è che la forza esplicativa che possiede al riguardo L’eredità Canepa non la potrebbe raggiungere un’inchiesta storico-sociologica su, che so io, “Piccola proprietà contadina e occupazione operaia in Liguria”. Un lavoro di tal fatta potrebbe forse arrivare alla ricchezza informativa del libro di Calegari, ma resterebbe gravemente al di sotto della sua capacità di rappresentare, in maniera manzoniana, cose, persone e rapporti di potere. Testo storico, insomma, e insieme saggio di metodo e strumento per la comprensione del presente: tutto questo è L’eredità Canepa, il miglior libro di Manlio Calegari, fino a che, naturalmente, non uscirà il prossimo.

             

 

 

*  Long Island University

 

 

 




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