LETTURE
MARIA PIA QUINTAVALLA
      

I Compianti

 

Milano, Effigie, 2013, pp. 106, € 12,00

    

      


di Tiziano Rossi

 

 

I Compianti, ultimo libro di Maria Pia Quintavalla racconta di una maturazione.

    

1) Il venire alla luce, la trepidazione del nascere, “non mi ero forse mai mossa da lì, la buca / del pulcino il seno il lago / dove incipitava l’infanzia” (p.7), anche l’evocazione di un’età lontana, di un’amica che sosteneva la crescita adolescenziale, “Il mondo era moderno al quarto piano, / come un’era adulta, ma più sotto / era l’antro dei sogni era l’infanzia” ( p. 31); seguita dall’esperienza dell’amore: “… il mio diletto, / sparge il suo dire a coprifuoco” ( p. 59), fino all’età adulta, “rivolgevo / a Milano, l’era adulta…” (p. 50), oppure, “… io adulta genitrice / della vita che si fa futura” (p. 54).

Libro non semplice, che consente vari approcci e sollecita diverse angolazioni di lettura.

Un rendiconto dell’affetto della figlia al padre, la storia di maturazione e di crescita, e infine la questione del rapporto dei vivi con i morti.

Quando si è vivi, non si è del tutto vivi. Quando si è morti, non si è del tutto morti.

Il tutto giocato in una forte componente dialogica, come nei primi compianti in terracotta si legge, “in campiture incalcinate da sepolcro / nelle stanze, lo trovai / che stava andando, aperto il patto sepolcrale / … lo cercai, / e non lo cercai” ( p. 16).

 

2) La componente spaziale (di Parma).

Un paesaggio sobrio (Morandi), “… una casa / un rigo trasversale un cespuglio” (p. 11), “Una tela crescente, / come alcuni, Toschi o Fattori, / facevano pensare: / e la città sorgeva sullo sfondo, / la città ricca in problemi e case” ( p. 12), dove “respirare ancora un’ora, / a sorseggiare aria sotto la volta / di una Parma antica” (p. 70).

La casa di Fabiana, le stanze, quel secondo piano, “la tua casa e la mia sono nate / qui stesso

S p a z i o, sogno lo stesso” (p. 27), “le sue stanze combaciano là sopra / alle altre native /... quadri, rombi della luce che veleggiano n e l l’ a l t o” (p. 28), e “… là sotto, a quel secondo piano, / un bel varco attendeva” (p. 30). Un’atmosfera domestica, quieta e protettiva. 

Poi c’è Milano, “rivolgeva / a Milano l’era adulta (p. 50), “il liscio valicato del Po’ mi rispondeva: / andata e andata” (p. 50); il paesaggio, “restano nubi aperte fulminate (p. 56), “Le colline suonano soavi all’orizzonte” (p. 69).      

Figure umane emergono da un paesaggio, solare o nebbioso.

 

3) La componente del tempo.

Oggi, si vive in un costante presente, Quintavalla ripropone il nesso necessario tra passato e presente, e il nesso tra generazioni. La morte del padre è uno spartiacque del tempo, ma la morte del padre è anche continuità, “l’eterno tutto qui insepolto, fresco di mondi // indelebili f u t u r i” (p. 24), “che io risorgo alle radici / credici tu” e “Dai, Va’ in pace” (p.18).

La vita del padre non è più vita; la morte del padre non è più morte.

Una compresenza di essere e non essere, in alternanza.

E il distacco, il dolore.

“… da generazioni, i frutti suoi / ritrosi, disertati” (p. 43), “Al terzo giorno non resuscitasti” (p. 47), “… dove spegnere / le tracce dell’amore vivo” si legge la sua assenza. “Noi / tutti aperti sanguinanti” (p. 45). “Si è scomposto e ricomposto / ecco perché non l’ho trovato più” (p. 15).

E ci sono i conforti, le continuità.

“Si appassì, ritenne, poi sparì e / rimase.” (p. 80), “è là, in un’aura dolce / che ti seguirà rinato” (p. 72), “Padre che non sei mai partito affatto” (p. 68), “Ecce vivo tu re” (p. 83), “Ascanio io, e tu il corpo di Anchise” (p. 77), non Enea.  

Nell’appendice, ci sono le pagine del padre: “Natale 1944, un presepe di speranza”, “Primavera 1945, Addio allo stalag XVII A”, “Rigoletto in scena tra i reticolati”. Memorie pubblicate su “La Gazzetta di Parma”, dove ogni pathos e patriottismo è serbato con molto pudore.              

 

4 ) Ne I Compianti appaiono varie turbative nella lingua del discorso lineare.

Quintavalla disarticola e corruga la scrittura a fini espressivi, con la mimesi del singhiozzo o dell’esitazione, e del cumularsi degli affetti, con un alto numero degli enjambement, (anche con congiunzioni come “e”, preposizioni come “da”); ci sono parole in corsivo o in corpo più grande (p. 50, 88, 55, 57, 84), quali segnali di lettura; ci sono iterazioni dove si ripetono i “che” (p. 66 e 67), e c’è la soppressione di virgole.

Parentetiche e gerundi parentetici, “correndogli la testolina” (p. 7), “vagando nella musica i bicchieri”, (p. 30). Iperbati: “ricoperte di edere, / fessure” (p. 50), “baciavo io dell’altra il volto” (p. 38) “... rifà mi pianta”, “il rinfresco dei morti disertato” (p. 48) e ambiguità “le gite scolastiche, le smaniate / dell’adolescenza” (p. 88), dove “smaniate” è aggettivo o sostantivo? A p. 79, “intorno a un’ostrica mi incolla / alla matrice unita al male“ (p. 54), dove “matrice” va connessa con “mi incolla alla” o con “unità”?  Compaiono verbi oscillanti: “aspetta”, “aspettava stava” (p. 31), verbi transitivi usati intransitivamente: “trafugavo” (= fuggivo?) (p. 51).

Oppure il discorso è separato tra strofe e strofe, (p. 43, 44, 48, 49), le clausole sono staccate (p. 54, 55); gli infiniti sono al posto di verbi coniugati, “Io, / col naso fiatando riconoscere” (p. 20).

 

C’è un uso del linguaggio colto nei vocaboli: beltà sta per bellezza, espurgato sta per emesso, dolore sta per dolcezza, sconoscemmo sta per rinnegammo, solida per stolta, impetravi per chiedevi, insonoro, garruli, incipitava, positura, puer e senex, captive, plaghe, biondezze, giulive, esulavamo, nolenti, etc. Ci sono forme colte e rare, di nobilitazione del quotidiano: familia nova (p. 54); infine dialettali: il sigo (lamento) (p. 8), inzigate (cospirate) (p. 80), “un sacco di saluti” (p. 86).   

 

 




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