Non
avevo mai abbracciato …
Non
avevo mai abbracciato una bara,
Mai
stretto avevo tanto vuoto in seno,
Assenza
tra trafelati sguardi
Nei
socchiusi occhi di bimba
Di
otto mesi ormai svezzata
E
per il cielo candidata.
Tu
non eri più la mia mamma
No,
quella era già andata,
Altrove
smarrita nella corsia
Di
un ospedale sconquassata.
Tu
eri la mia cullata piccina,
Sì
dispettosa ma affettuosa
Come
un tempo lo fui io con te.
Eri
lì, che aspettavi omogeneizzati
Senza
più assorbirne le sostanze.
Deglutivi
acqua a fatica disidratandoti
E
di flebo, alla fine, ovunque portavi
Il
segno del protratto martirio in vita.
Tu
eri la morte vestita da fanciulla
Ed
io ti amavo, anche allorquando
le speranze
furono maniglie per chimere
dove
appendere più lontano l’ora
di tanto
ineluttabile destino.
Ed
ora, ora che la bara parte,
Ora
che mai più ti rivedrò in vita,
La
mia memoria solca e percorre
Ogni
terra che è più feconda,
Quella
della tua seconda infanzia
E
l’impareggiabile privilegio
Di
averla con te onorata e vissuta.
Avevi
otto mesi quando te ne sei andata
E
la tua bara, per me, resta bianca.
Ed
ora, ora che è il babbo, tramite il Padre,
A
prenderti e condurti di nuovo per mano,
Lo
sento sorridermi, soddisfatto.
No,
non lacrimo, più non piango,
Tutt’al
più, talvolta, mi commuovo
Ed
insieme io vi penso ancora.
Giunta
è l’ora, venuto è altro tempo,
Nuovo
cerchio nella ruota della vita.
Pregherò,
pregherò per voi e voi
Per
me pregherete, mi guiderete
Finché
un giorno, un giorno certo,
Ci
rivedremo e staremo insieme
A
tutto l’amore e chi, con noi,
Dal
suo cuore lo ha condiviso.
2013
Torneremo angeli in terra …
Putride salme di scarafaggi
di
cadaverina esalata stanno
rinsecchite dentro
la loro corazza.
Sono carri armati al fronte,
divisioni
immortalate nell’attimo
che,
d’ogni disfatta, è il suggello.
Fuma di giallo l’acciaio
tra rosi
campi di grano,
l’esoscheletro d’ocra
acceca
tra la
sabbia del deserto.
Giacciono ribaltati,
oltre
l’avvallamento,
di
multiformi zampe
e
cingoli disegnano
un rullio
che avanza,
l’inesorabile
marcia,
l’eco di uno
sbaraglio
che strati
di polvere
a noi
rende la storia.
Spavalda o vile che tu sia,
piccina blatta
che la morsa
di un
tacco a spillo rifugge,
tu
comunque, tu come loro,
pronta sarai
a soccombere,
calpestata in un
angolo,
erosa da un
tempo
sostrato alla
vita
che qui
perfino, sullo spigolo
di un
marciapiede mondano,
tra resti
di pasti radical-chic,
nell’umido oscuro
metropolitano,
di azoto
volge alla terra.
Tu, come me, vagabondi
in un distratto
mondo,
quale
apolide dispersa
tra
l’afflato d’un presente
che non
lascia più fiato,
vivi tra il
marciume,
in un
corso d’eventi
per sempre
andato:
polvere che il
vento
ramazza
nell’altrove.
Io e te siamo l’oblio,
decomposto
pulviscolo
senza più una
memoria
e che
d’informe massa
vaste nubi
rende al cielo
per tutti
i sogni perduti.
Eppure mai come ora
siamo stati
tanto vicini a Dio;
annientati da
corrotto mondo,
torneremo angeli
in terra.
Tu ci metterai le ali
che mai
hai evoluto
ed io
tutto l’amore
che
contenere più non posso.
Torneremo, finalmente,
per amare
librando
della
dignità d’esistere.
Nel non importa il morire,
ma con
decoro resistere
torneremo in
nome
della
decenza del vivere.
2015
Nota:
Scrivere poesie,
di questi tempi, è divenuta impresa pressoché impossibile, quasi impotenti
stessimo assistendo a un dopo Auschwitz oppure, in uno strano presentimento, da
lì ripartiamo per ri-conoscere la poesia...
Ciononostante la poesia resiste come resistette allora, perché finché resta uno
spiraglio di luce per un flirt con l’eterno, avremo ancora, in qualche dove,
una speranza riposta.