CHECKPOINT POETRY
ENRICO PIETRANGELI
 

 

 

Non avevo mai abbracciato …

 

Non avevo mai abbracciato una bara,

Mai stretto avevo tanto vuoto in seno,

Assenza tra trafelati sguardi

Nei socchiusi occhi di bimba

Di otto mesi ormai svezzata  

E per il cielo candidata.

Tu non eri più la mia mamma

No, quella era già andata,

Altrove smarrita nella corsia

Di un ospedale sconquassata.

Tu eri la mia cullata piccina,

Sì dispettosa ma affettuosa

Come un tempo lo fui io con te.

Eri lì, che aspettavi omogeneizzati

Senza più assorbirne le sostanze.

Deglutivi acqua a fatica disidratandoti

E di flebo, alla fine, ovunque portavi

Il segno del protratto martirio in vita.

Tu eri la morte vestita da fanciulla

Ed io ti amavo, anche allorquando

le speranze furono maniglie per chimere

dove appendere più lontano l’ora

di tanto ineluttabile destino.

Ed ora, ora che la bara parte,

Ora che mai più ti rivedrò in vita,

La mia memoria solca e percorre

Ogni terra che è più feconda,

Quella della tua seconda infanzia

E l’impareggiabile privilegio

Di averla con te onorata e vissuta.

Avevi otto mesi quando te ne sei andata

E la tua bara, per me, resta bianca.

Ed ora, ora che è il babbo, tramite il Padre,

A prenderti e condurti di nuovo per mano,

Lo sento sorridermi, soddisfatto.

No, non lacrimo, più non piango,

Tutt’al più, talvolta, mi commuovo

Ed insieme io vi penso ancora.

Giunta è l’ora, venuto è altro tempo,

Nuovo cerchio nella ruota della vita.

Pregherò, pregherò per voi e voi

Per me pregherete, mi guiderete

Finché un giorno, un giorno certo,

Ci rivedremo e staremo insieme

A tutto l’amore e chi, con noi,

Dal suo cuore lo ha condiviso.

 

 

2013

 

 

 

Torneremo angeli in terra …

 

Putride salme di scarafaggi

di cadaverina esalata stanno

rinsecchite dentro la loro corazza.

Sono carri armati al fronte,

divisioni immortalate nell’attimo

che, d’ogni disfatta, è il suggello.

Fuma di giallo l’acciaio

tra rosi campi di grano,

l’esoscheletro d’ocra acceca

tra la sabbia del deserto.

Giacciono ribaltati,

oltre l’avvallamento,

di multiformi zampe

e cingoli disegnano

un rullio che avanza,

l’inesorabile marcia,

l’eco di uno sbaraglio

che strati di polvere

a noi rende la storia.

Spavalda o vile che tu sia,

piccina blatta che la morsa

di un tacco a spillo rifugge,

tu comunque, tu come loro,

pronta sarai a soccombere,

calpestata in un angolo,

erosa da un tempo

sostrato alla vita

che qui perfino, sullo spigolo

di un marciapiede mondano,

tra resti di pasti radical-chic,

nell’umido oscuro metropolitano,

di azoto volge alla terra.

Tu, come me, vagabondi

in un distratto mondo,

quale apolide dispersa

tra l’afflato d’un presente

che non lascia più fiato,

vivi tra il marciume,

in un corso d’eventi

per sempre andato:

polvere che il vento

ramazza nell’altrove.

Io e te siamo l’oblio,

decomposto pulviscolo

senza più una memoria

e che d’informe massa

vaste nubi rende al cielo

per tutti i sogni perduti.

Eppure mai come ora

siamo stati tanto vicini a Dio;

annientati da corrotto mondo,

torneremo angeli in terra.

Tu ci metterai le ali

che mai hai evoluto

ed io tutto l’amore

che contenere più non posso.

Torneremo, finalmente,

per amare librando

della dignità d’esistere.

Nel non importa il morire,

ma con decoro resistere

torneremo in nome

della decenza del vivere.

 

 

2015

 

 

Nota:

Scrivere poesie, di questi tempi, è divenuta impresa pressoché impossibile, quasi impotenti stessimo assistendo a un dopo Auschwitz oppure, in uno strano presentimento, da lì ripartiamo per ri-conoscere la poesia... Ciononostante la poesia resiste come resistette allora, perché finché resta uno spiraglio di luce per un flirt con l’eterno, avremo ancora, in qualche dove, una speranza riposta.

 




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