LETTURE
CARMEN DE STASIO
      

Estetica generativa

 

Geraci Siculo (Pa), Arianna, 2014, pp. 296,
€ 20,00

    

      


di Franca Alaimo

 

“I luoghi di Ignazio Apolloni

 

“Come” essere, cioè con quale stile di vita, di parola, nel “Dove” degli spazi fisici, mentali, culturali, immaginativi è la meta di Ignazio Apolloni. Ma, di certo, il suo più importante “dove” è la casa di via Trinacria in cui abita.

L’atto di entrarvi diventa per ogni ospite non soltanto il modo di appropriarsi di uno spazio architettonico aperto all’illusorietà delle molteplici prospettive sollecitate dai colori, dalle immagini, dalle parole che trasformano  le pareti in tele e fogli, ma di praticare una sorta di full-immersion nella dimensione interiore di Apolloni. Si dirà banalmente che potrebbe essere sufficiente incontrarlo in carne ed ossa, sebbene dal guardare al vedere resti quel salto – non così semplice come sembra – che conduca ad una corretta interpretazione dell’insieme di segnali parlanti che è il corpo stesso. Ma non tutti sanno fare questo salto; ed Ignazio facilita il compito ad ogni suo ospite “mostrandogli la sua domus” con la consapevolezza di fare di quel suo mostrare un dono di veri e propri “monstra”, cioè, come vuole la derivazione dalla lingua latina, di cose prodigiose e stupefacenti, che stanno lì a raccontare anche la domus dell’interiorità. Lui, come scrive Carmen De Stasio, l’autrice del libro, “anziché contenere i suoi spazi, li cede con un obiettivo: donare alla vista mentale altrui le connessioni che nel tempo e in spazi diversi abbiano connotato la sua esperienza di uomo, osservatore, cultore di vite minime e civiltà” (pag. 28)

Comunque, è lo stupor la prima sensazione che si prova varcando la soglia di questa casa: lui, intanto, ne va aprendo le porte che così si riappropriano per una minuscola frazione temporale della loro funzione, visto che un momento prima apparivano solo delle incantevoli finzioni, e che, una volta spalancate, rivelano altre superfici affrescate, finendo con lo spingere “oltre” la curiosità del visitatore che potrebbe anche chiedersi se il proprietario che le va aprendo e  chiudendo non sia un personaggio che stia operando una sorta di magia.

Infatti, poco a poco, vedendo, leggendo, toccando, ci si accorge di stare vedendo, leggendo, toccando la dimora interiore di Ignazio. “La dimora, afferma Alessandro Gaudio, diventa metafora architettonica della relazione tra coscienza e inconscio (e di ciò che io stesso non ricordo più)”.

Se ci si lascia assorbire da questa operazione, la sensazione più forte è quella di avere superato la realtà per incontrare l’essenza della vita così come la percepisce Ignazio, che è quella di un’inesauribile dinamicità. La casa, infatti, moltiplica i punti di vista. E i molti punti di vista equivalgono a forme del conoscere. Quest’ultime  non sono numerabili, né scontate, né certe. La realtà si frantuma. Ma in questa frantumazione non c’è angoscia. C’è, invece, l’allegria del chiedere, dell’esplorare, del moltiplicare. C’è un movimento incessante verso le cose che non vuole risposte definitive (per il semplice fatto che non esistono), ma oltrepassamenti dei limiti entro cui, invece, l’uomo comune cerca di contenere la realtà per assuefarsi ad abitudini mentali, a idee stereotipate che lo aiutino a mettere ordine nel flusso caotico dell’esistente.

Ma Ignazio cerca soltanto di amare il caos, di accoglierlo nelle sue infinite possibilità, includendo in esso l’idea d’eternità. Non per questo egli abbraccia la disarmonia, anzi; solo che l’armonia sta per lui nell’accoglienza di una dimensione che si fa stile di pensiero e di scrittura. Il pensiero elabora contenitori sempre nuovi: la poesia raccoglie, per esempio, il fumetto, l’aforisma, il ludus metaforico, la satira, il graffito; la poesia diventa, prima, verbo-visiva, poi singlossia.

Il libro stesso si trasforma in un oggetto scultoreo, la cui  funzione dinamica consiste nel suo vuoto riempibile dei materiali più diversi, così come questo libro, che stiamo presentando oggi, e che si colloca fra saggio, album fotografico, percorso memoriale-biografico, catalogo artistico.

Il caos  dicevo – si fa stile di scrittura, permea i personaggi di Ignazio Apolloni che crescono per stratificazioni quasi casuali e  per molteplici itinerari nella spazialità geografica e interiore. Ignazio stesso è stato un instancabile globe-trotter  e ancora continua a farlo, anche se da qualche tempo i suoi viaggi più frequenti sono affidati  all’immaginazione, allo studio di testi dal contenuto più disparato: storia, filosofia, scienza, arte, linguistica.

Anche i libri e i disegni, che se ne stanno impilati sulle sedie o sulla scrivania della casa suggeriscono misteriosi e prossimi scenari di mutamento; si fanno “perni di coltivazione generativa” ( pag. 40), concretizzando quel senso dell’attesa che è pure un altro sentimento che la domus di Ignazio suggerisce; poiché essa rappresenta un mondo onirico dove quello che è già accaduto non determina il prosieguo, viaggiando il sogno su percorsi diversi da quelli reali. E questo sentimento dell'attesa si accende, oltre che nel visitatore, anche nel lettore dell’autore Ignazio Apolloni, quando insegue trame che non sono trame, ma disegni zigzaganti, itinerari extra-ordinari e soprattutto imprevedibili. Il sogno è misterioso e Ignazio è una persona che avverte la bellezza del mistero.

Le pitture, i disegni, le elaborazioni grafiche che coprono porte e pareti della domus di Ignazio (fanno eccezione qualche testo suo e di Vira) sono opere di molti artisti, tra i quali Sucato, Zito, D’Alessandro, Salamone, Lambo.

E allora perché li percepiamo come cose di Ignazio? Probabilmente perché i suoi amici hanno solo dato corpo visibile ai segni invisibili che il pensiero di Ignazio scrive continuamente nelle pagine della sua mente. Quei segni adesso visibili raccontano ciò che era invisibile, mettendo a fuoco una precipua funzione dell’arte: rendere concreta l’immaterialità. Il pensiero è immateriale, l’immaginazione lo è, così anche il sogno; e la ricerca scientifica, si sa, si occupa di ciò che ancora non si conosce, non si può ancora tradurre in linguaggio, o in una formula (è il tema, in fondo, che ispira il recente testo di Apolloni intitolato DNA).

Se questo è, dunque, anche il compito della scrittura, se ne deduce pure che la casa di Ignazio è una biblioteca molto speciale, nel senso che ogni stanza è un libro illustrato che a sua volta immette in un’altra stanza-libro secondo un rimando infinito che fa venire in mente quella biblioteca di cui parlava Borges, che è un altro dei sogni di Ignazio. E, siccome all’interno di ogni stanza-libro dimorano dei libri cartacei,  si realizza meravigliosa-mente quell’ “Estetica generativa” (che è il titolo di questo libro d’arte), nel quale viene genialmente condensata una particolare operazione editoriale.

E, a questo punto, non si può tacere il lavoro sinergetico di Ignazio Apolloni e di Carmen De Stasio, autrice del testo, la quale accompagna il lettore-visitatore della Domus di via Trinacria, come di quella, assai più piccina, di Isnello attraverso foto, citazioni, riproduzioni di documenti, lettere,  brani di romanzi e saggi, elaborando nel frattempo una singolare visione di queste “scatole di sogni” che generano altri sogni, con l’intento non solo di rivelare-svelare l’innamoramento intellettuale di un’operazione estetica voluta da Ignazio e dalla compagna Vira Fabra, ma anche di inseguire quel filo che si snoda felicemente tra tutte le espressioni artistiche, abolendo ogni muro divisorio.

La prosa della De Stasio costituisce un’aggiuntiva opera d’arte da appendere, secondo un aforisma di Apolloni,  ad un chiodo della domus apolloniana. Essa, così mobile, fantasiosa, colta e vivida, traccia sulle pagine coloratissime di questo volume le molteplici emozioni e riflessioni e provocazioni suscitate dalla “visiva cultura” delle domus  come anche dei tanti Dove e Vorrei  di Ignazio. Ma raggiunge il tono più leggero ed arioso, forse il più godibile, nel testo dedicato alla piccola casa di Isnello, favolisticamente raccontata, a partire dal suo colore crem-caramel, dove i pesciolini (quelli di Sucato) di giorno “volano nel cielo” e di notte “nel silenzio che domina il riposo ordinato delle pareti (…) si staccano dal soffitto e ondeggiano per gli spazi ristretti, flessibili, perché sono fatti di fantasia” e i battelli (quelli di Salamone) “solcano mari inventati “ (…) scivolando leggeri e misteriosi sul nero più nero dell’inchiostro.  Così, introdotti da Carmen, nella casa crem-caramel assistiamo insieme a lei ad una “trasmutazione di realtà” in cui parole e lettere scrivono un grande libro fantastico. Il libro di Isnello.

Carmen indulge spesso, come Ignazio, all’effetto ludico dei colori e delle elaborazioni grafiche che dissemina nel volume donandogli una sorta di ritmicità visiva, scandita da soste riassuntive o da evidenziazioni di nuclei tematici o di fantasiose proiezioni verso successive chiavi interpretative, confermando come la pluridimensionalità sia la cifra più autentica di una mente creativa, quella che più si approssima alla qualità della realtà concreta, di cui troppo spesso si sottolinea amaramente la transitorietà, non cogliendone la duttile vitalità e lo specchio di una più vasta, inesauribile spazialità e temporalità, in cui sono immersi gli infiniti Mondi che vibrano nell’Universo senza confini.

A Ignazio piace molto l’astronomia, perché è la scienza del “viaggio”  nell’infinito, quella che mostra un vuoto non meno abitato del pieno. È il gioco che gioca il mago Apolloni nella sua dimora coloratissima, dove l’architettura è un sogno, una porta un tappeto volante, il tetto un  mare virtuale, dove il chiuso si fa l’aperto, il pesante il leggero. Il passato si astrae in un segno, la memoria si affida a ciò che non ha peso.

“Verso su volevo andare. Era un sogno da bambino. Poi però mi dissero che c’era la forza di gravità e l’atmosfera pesante (…) Ma nessuno mi convinse che questa forza non si poteva vincere, e che l’uomo non potesse volare libero nell’infinito”: scriveva decenni addietro Apolloni. Case che conducono all’infinito sono quella di via Trinacria e quella piccina di Isnello, così come la casa della scrittura di Ignazio, alla quale pure Carmen volge densissimamente la sua analisi, ma sulla quale però non intervengo perché quelle cose che ancora non ne ho detto non potrebbero essere dette meglio di come fa lei.  Concludo tornando sui libri-oggetto prodotti da Ignazio partendo da quanto egli ne scrisse nel 1988: Liber è un nòmos, e perciò stesso già designa una parte del mondo. A differenza però di altri nomi, il libro quel mondo lo contiene e lo preserva dalla disgregazione (…) per perpetuarne l’immagine, tuttavia bisognerà sempre dare alla parole una forma”. Un libro totem, allora, da guardare, toccare, venerare; un libro giocattolo da colorare o da fare esistere come un elemento fiabesco. Ma soprattutto il libro vivente in cui si è trasformato Ignazio, come lui stesso afferma, e però, si badi bene, “non aperto”, ma  aristocraticamente “chiuso”, un “volume solido, una scultura che faccia da monumento al sapere in tutte le sue forme”. Apolloni definisce, dunque se stesso, come un contenitore di tutto ciò che è possibile sapere, dire, inventare, sognare, immaginare; una sorta di nuova enciclopedia illuministica, sorretta come quella da un sogno di felicità, da una volontà di proiezione nel futuro delle sorti umane; un libro da sfogliare per apprendere le cose minime e la massime, le cose visibili fuori e quelle celate  dentro e oltre;  e però questa enciclopedia così vivacizzata dall’aggressività sprezzante e demolitrice dell’ora e del qui, dell’usuale, del tramandato, dei generi, dell’opaco – che fu  propria del Futurismo – fa di  Apolloni un futurista del sempre e del dopo, della vita-freccia scagliata verso nuovi bersagli e perfino verso gli spazi che non ne hanno, l’attore della volontà di essere per sapere che dovrebbe appartenere ad ogni uomo.

 




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