LETTURE
RAFFAELE DONNARUMMA
      

Ipermodernità.
Dove va la narrativa contemporanea

 

Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 250, € 23,00

    

      


di Sergio D’Amaro

 

Ipermodernità, una parola per dire realtà

 

Per chi non ha fatto in tempo ad assimilare obiettivi e percorsi della cultura e, in particolare, della letteratura postmoderna, si presenta la necessità di aggiornarsi su un concetto che si sintetizza nella parola “ipermodernità”. Si tratta di un altro volto della modernità, condotta dai primi anni del Duemila a sintonizzarsi più strettamente con una società che si specchia nei media e sembra o è costretta ad accettare la sfida di un continuo, snervante reality show.

  

Recenti opere narrative di autori emersi alla luce della notorietà hanno stimolato l’italianista dell’Università di Pisa Raffaele Donnarumma ad intitolare il suo ultimo libro proprio in quel senso, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea. È un libro coraggioso, perché dichiaratamente militante e coinvolto appieno nel presente di un divenire progressivo della realtà. Donnarumma si affida a sintomi (come lui stesso dichiara), sceglie delle opere per lui rappresentative, indaga con vibrante partecipazione sulle spie del ‘Nuovo che avanza’ e che in effetti incombe con tutta la sua capacità seduttiva.

  

L’epoca che precede quella presa in visione da Donnarumma sta tra anni ’60 e anni ’90, più o meno tagliata alle loro rispettive metà. È l’età del Postmoderno, compresa tra la Neoavanguardia e la dissipazione tondelliana, con punte acuminate che si chiamano Arbasino, Manganelli, Calvino, Eco, Celati. Corrisponde in arte alla teorizzata ‘transavanguardia’ di Bonito Oliva imperniata su di una destrutturazione nichilistica e manieristica del moderno, lontana mille miglia dal romanzo tradizionale umanistico-borghese. Il postmoderno italiano è più un esorcismo della storia, una sostanziale sfiducia nel reale diventato ‘finto’, svuotato, ironizzato, estetizzante, una ‘modernità andata a male’ come dice con sarcasmo Berardinelli.

 

Da una ventina di anni a questa parte il quadro cambia. Se la realtà sembrava svaporata, eclissata nell’impossibilità di riacquistare un proprio spessore e una necessaria profondità, ora il rischio di una frattura irreversibile con un sé televisizzato e appiattito sulla fragile consistenza di un desktop chiama a nuove forme, a nuovi esperimenti di racconto. L’oggetto di questi racconti abita ormai nella dimensione dell’ipermodernità, cioè di un’ulteriore incarnazione della modernità diventata iperbolica, eccessiva, ipertrofica, gonfia di specchi deformanti e di schermi vanificanti: troppa capacità di visione che finisce per seppellire la visione di ciò che è essenziale all’uomo come ‘animale etico’.

  

Per Donnarumma si sta attuando un ritorno alla realtà, e l’ipermoderno è un ritorno al Moderno ma senza più alcuna speranza di rivoluzione. È lo stesso messaggio consegnato dai libri di Walter Siti (Premio Strega 2013), Antonio Moresco e Gabriele Frasca, che insieme a pochi altri (Trevi, Albinati, Arminio ecc.) proseguono sulla strada dell’autofiction, dell’epica, del saggismo finzionale, del personal essay. È in queste opere che si nota una rinnovata tensione verso la responsabilità etica, l’attivismo ecologico, la solidarietà, le migrazioni, con puntate su altri temi latamente sociali ed evidenti trasformazioni antropologiche. La letteratura ipermoderna in Italia si avvale, insomma, di una mescolanza fiction/non fiction (di origine e mentalità intermediale), ripercorrendo in realtà strade già solcate alla lontana da Svevo o dai due Levi e Pasolini, e culminate all’altro capo in Gomorra di Roberto Saviano. In quest’ultimo Donnarumma rintraccia un realismo “che presuppone consapevolmente un patto di lettura basato su una volontà etica di comprensione e di intervento”. Siamo, a dirla breve, ad una letteratura che si riappropria (con posture di tipo mediale e con accorgimenti teatrali) della realtà finora lasciata alle colonne dei giornali. È un tentativo di cambiare la realtà, di ricercare la verità, di lanciare un messaggio morale nella precarietà e nella caoticità di comunicazioni incrociate e apparentemente equivalenti.

 

 

 

 

 




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