Dalla
silloge Sporgenze romane
La
montagna sacra
Stanotte Vega
ha occhi di gatto
e i lupi
hanno sempre più coraggio.
All’alba si muore
ma la Madre
tesse racconti che dobbiamo capire.
Ha così tanto da rivelare
il silenzio
della luna turca
dentro un cielo che diventa
turchese.
Veniamo
dalle stelle e dai boschi
nuotiamo nell’oceano
del dubbio.
Una stella
è caduta dal cielo
e tra gocce di pioggia calda
si è fissata
tra i capelli nel vento.
Allungo la mano.
Tocco qualcosa.
È la punta della stella caduta.
La polvere umida della sabbia nel
mare.
Forse,
è il senso stesso, intatto,
della nostra natura.
***
Le nostre ali
Metteremo
le ali nel sogno
ma
avremmo volato
su
codici urbani
di
città disboscate,
di
pareti rigonfie di bile
che
ci chiedevano morbide considerazioni
e
pratiche visioni d’insieme.
Le
nostre ali funzionano
con
poche parole
ma
corde e catene
le
trasformano ormai in braccia inermi
pesanti
come ciocchi di legno.
Mettemmo
le ali nel sogno
ma
avremmo volato
su
magiche brecce sbordate
in
attesa dei voli più grandi,
acuti
sui
mondi schiacciati.
***
Le
sere di tutti
Luci
d’aprile,
a
Roma,
primaverili
serate
d’un
autunno della vita
che
non trascina più
malvage
attitudini.
Sono
le sere di tutti
trasportate
da un vento leggero.
Non
si possono rubare
né
bussare invano
ma
solo leggermente ascoltare.
Le
sere di tutti
son
fatte di
solitudine
soave che irrora luce,
lampo
terrestre
di
prore e occasioni.
Sono
i colori di antiche seggioline
dove
ogni anziano
tramanda
la sua artritica verità.