di Anna Santoliquido
Diversi anni fa cominciò a diventare preponderante in me il
desiderio di conoscere l’Oriente come se una forza arcana mi spingesse a
cercarlo. Espressi tale pensiero in un componimento poetico nel quale invocavo un fantasioso
Mohammed che mi aiutasse a capirlo. In
cambio gli offrivo l’origano del Vulture e il geranio nella grasta.
Barattavo la conoscenza orientale con i profumi della mia terra lucana. Sembrerà strano, ma ciò, in certa misura, si è
avverato. Ed stato il lavoro di due autori siriani a darmene la
consapevolezza. Negli ultimi tempi ho compiuto tre viaggi culturali in Oriente, ho incontrato persone illuminate e letto
testi efficaci. Ho apprezzato la fertilità
della lentezza, il gusto della conversazione, la generosità della tradizione
(che continua a dispiegare
insegnamenti) e l'importanza delle visioni nella vita di ogni giorno. Gli artisti vanno oltre le convenzioni e
il visibile.
Il prof. Kegham Jamil Boloyan (Aleppo,
Siria, 1960), con Il Narratore del
deserto sul grande scrittore siriano ‘Abd al-Salām
al-‘Uğaylī (1918-2006) ci porge uno
spaccato straordinario della letteratura e del vissuto dei popoli arabi. Il libro,
pubblicato in questi giorni dall’editrice
barese FaLvision, nella Collana “I volti e le tracce”,
con traduzione dall’arabo di Armando Giannello e Boloyan,
si avvale della prefazione dello stesso al-‘Uğaylī
che elogia il metodo e lo sforzo del
curatore per farne conoscere la vita, le opere e la critica. Egli dichiara di scrivere soprattutto per
se stesso e di rivelarsi attraverso i personaggi.
Confida che la traduzione possa avvicinare “gli esponenti di queste culture,
in termini di pacificazione tra popoli, nazioni e paesi”. Boloyan ha
avuto la fortuna di apprendere da ragazzo l’armeno e l’arabo. Difatti, insegna Lingua e Traduzione Araba presso l’Università
del Salento.
Lo scrittore al-‘Uğaylī
è autore di poesie, romanzi, racconti, articoli e testi in prosa ornata e rimata. È nato ad al-Raqqah, un piccolo paese sulle rive dell’Eufrate tra Aleppo e Dayr al-Zūr, in una famiglia beduina con la quale ha
conosciuto il deserto, gli
spostamenti, le tradizioni, l’amore per l’arte e per la cultura (il nonno era
poeta). Sensibile e curioso, si
interessò presto della letteratura internazionale, compiendo numerosi viaggi in tutto il mondo soprattutto
per conoscere “i modelli umani più diversi”.
Fu medico e politico. Nel 1947 rivestì la carica di deputato al Parlamento e nel 1962 prese parte al Governo, nel Ministero della
Cultura, degli Esteri e della Pubblica Istruzione.
Nel 1948 si arruolò volontario nella guerra della Palestina, rimanendone deluso. Tali esperienze le ha riversate nella
scrittura a cui spesso ricorreva per “chiarire
l’ambiguità” di un sentimento.
Ha tratto la materia creativa dalla tradizione araba
e dalla cultura occidentale moderna (conosceva molti autori europei, tra cui
Flaubert, Goethe, Simone de Beauvoir, Roger Martin du Guard, etc.). L’intento,
come dimostrano i racconti proposti al lettore italiano, è quello di rafforzare
l’originalità araba, dando modelli che potessero svolgere un ruolo di guida per il suo popolo. Da uomo di scienza e abile
narratore, ha coniugato la ragione e l’ignoto,
lasciando spazio all’anima e all’invisibile. Alcuni racconti (come “La visione”,
“La febbre”) sono apparsi nel volume Narratori
Arabi del Novecento (Bompiani, 1994), a cura della traduttrice e arabista
Isabella Camera d’Afflitto.
Il racconto è l’abito più elegante dello scrittore
siriano nel quale condensa poesia, politica, filosofia e prospettive
scientifiche. Nelle sue pagine la realtà e la fantasia giocano come il gatto
col topo. La vita beduina e agricola, le vicende quotidiane, i raggiri sono tematiche che intessono le
pagine che si intersecano fino all’inverosimile. Ci sono mondi distinti che si completano e non
escludono il regno dell’invisibile.

Una delle
abilità dello scrittore è quella di portare il lettore verso l’interiorità, facendogli
intravedere le zone d’ombra e forse le alcove del mistero. L’atmosfera di realtà
e immaginazione, l’apertura alla favola e al possibile, “la tenerezza dello
spirito e il coraggio
della fantasia” sottolineano la spinta dell’Autore, affinché gli intellettuali
si interessino “alle grandi questioni” e assumano “una posizione al riguardo”.
La fedeltà alla parola, la dimostrazione che la
ragione non sia sufficiente a capire i turbamenti dell’uomo, l’attenzione
al metafisico fanno degli scritti uno scrigno etico ed estetico
di valore. Maestro del racconto breve moderno, non è interessato all’analisi
psicologica dei personaggi, ma alle loro sensazioni, alla rappresentazione dei
sogni e alla lotta. Nei testi non c’è odio bensì una tranquillità che convive
con le cadute e le tragedie dei protagonisti. L’autore reputa che
l’uomo sia limitato di fronte al
mistero, e si riscatti
nella lotta e nella ricerca. Gli accadimenti della realtà personale o contingente servono al
narratore per avviare il racconto sul quale innesta elementi
fantastici e ideali. Egli non mira a educare gli animi e a insegnare
i buoni costumi, ma a difendere “le idee dell’umanità”, restando fedele alla verità e ai suoi ideali.
Leggendo Il Narratore
del deserto si ha sensazione che l’Oriente ti venga incontro.
Ciò è dovuto alla pacatezza
del ritmo e alla limpidezza espressiva. La parola è appropriata.
L’innesto delle storie riporta alla magia de Le mille e una notte, ai testi dello scrittore
statunitense Edgar Allan Poe e alla narrativa francese. Una sorta di scatole
cinesi da cui fuoriescono pensieri, usi, tradizioni, intrecci degni di un
eccellente prestigiatore. Una verve che
il critico e arabista Francesco Medici accomuna a Primo Levi, Verga
(principalmente per i personaggi) e a Sciascia (per la scientificità). In
Puglia un nome di riferimento è senz’altro Giorgio Saponaro,
prolifico autore di romanzi, ma soprattutto di riuscitissimi racconti raccolti
in tre volumi: I giorni della vita.
L’ascolto
e l’osservazione
sono essenziali per al-‘Uğaylī
più delle tecniche
narrative (vedi lo splendido racconto drammatico “II cavallo e le
donne” nel quale la cavalla soffre e si ammala come la padrona). A lui interessa
accendere la fantasia del lettore, pertanto indugia poco sui
dettagli.
Tanti sono i temi
riscontrati, tra essi la giustizia, il raffronto Oriente-Occidente, l’amicizia,
il rapporto tra la ‘donna-città’ e ‘l’uomo-campagna’, la società (che non necessariamente cambia
in meglio), la vita del deserto, i mali dell’Occidente, il regno dell’arcano,
la ragione calcolatrice, i sentimenti nascosti (il momento dell’anima è un momento di verità), la demolizione degli stereotipi
sull’Oriente (per quest’ultimo aspetto, si veda il racconto “La
tragedia”). Particolarmente avvincenti sono i brani riguardanti
le leggende sui contadini siriani, la magia e la tradizione popolare dei
villaggi asiatici
(indicativi sono i racconti “Sparso il sangue” e “Il mezzogiorno”).
La professione medica gli ha consentito
di introdurre nella scrittura la claustrofobia, l’epilessia, la
somministrazione del chinino, etc. Quanto alla corruzione dei tempi moderni
egli ritiene che sia una malattia antica e impossibile da eliminare. Per chiarire il pensiero all’interlocutore ricorre
a vari episodi e alla citazione dei grandi poeti arabi: “è
una sfortuna per chi è libero vedere un nemico della cui amicizia non
si può fare a meno” (Abu al Tayib al-Mutanabbi).
La morte è un argomento consistente dell’opera. L’Autore esorta a
raggiungere la serenità della coscienza, a vincerla con l’eternità del ricordo e
la realizzazione degli ideali (“La ricetta efficace”).

Bari, Teatro Margherita, 22 dicembre 2014
Inaugurazione della mostra e presentazione del libro
Da sinistra: Francesca Piccoli,
Francesco Medici, Kegham Jamil Boloyan
e Anna Santoliquido.
Un aspetto che mi ha particolarmente
colpito è la denuncia dell’ignoranza dell’Occidente sulla
cultura degli arabi. Molti non sanno “le meraviglie della civiltà” e le “tracce artistiche” che essi hanno lasciato in
eredità. Nel racconto “La tragedia” una ragazza
belga invia al narratore una cartolina dalla Spagna: “Ti scrivo da al-Cazar, il palazzo a Siviglia…, ho pianto impressionata dal
fascino delle decorazioni arabe e dalla bellezza di ciò che hanno lasciato in
eredità i figli della tua patria che mi hai fatto conoscere attraverso la loro
storia in questo paese”.
Dei racconti si cita il
bellissimo “Oh...se qualcuno di voi credesse!” nel quale, attraverso
il dialogo tra padre e figlio, lo scrittore si esprime sul rapporto tra fede e
scienza, passato e presente, Oriente e Occidente e i guasti prodotti. La
narrazione annovera gli asceti e il nomadismo, con riflessioni sulla
fede spirituale e quella materialista (ci sono persone che pregano
cinque volte al giorno e poi rubano e accettano tangenti).
Tra le preziosità dell’opera si riporta un passo appartenente a quelle
che l’autore chiama “barzellette”, ossia racconti, aneddoti e poesie tradotte
dall’armeno in arabo:
Oh amico mio, io mi
rivolgo a te:
non passeggiare alla luce
del sole
io temo per la tua ombra
che si trova sulla terra
e
si impolvera di terra;
quando sono entrato nella
fornace
ed ho trovato mille
tenere pagnotte
non ho visto tra esse nessuna
più colorita della tua guancia
e
nessuna bruciata come il mio cuore.
Spesso il fascino nella
narrazione risiede nel contrasto tra i mondi e i personaggi rappresentati.
Lo scrittore non giudica, assolve al ruolo di osservatore, convinto che ciascuno
di noi comprenda solo una parte della realtà (si vedano i racconti “Bāsimah
tra le lacrime”,
“Il marciapiede della vergine nera”, “I sommersi”). I
protagonisti di al-‘Uğaylī, pur se
negativi, rimangono composti. Lo scrittore reputa che
la società non sia morta del tutto
e che debba essere il lettore a scegliere tra “bassezza” ed “elevazione”. Tra
gli scopi dell’autore siriano vi è quello di sopprimere gli impedimenti che separino
l’arte dalla realtà,
la fantasia dal mondo reale, il sogno dalla vita concreta. In
vari racconti i personaggi si spogliano dell’abito della ragione e si
abbandonano al mistero. Questo accade, ad esempio, ne “Le
lampade di Siviglia” e “La figlia della strega”. Il lettore si
chiede che cosa accadrebbe se il pianeta “si liberasse dalle catene delle sue norme e
regole”.
I nostri sensi limitati e la
ragione offuscata ci impediscono di vedere la realtà
superiore e di andare oltre l’apparenza. Ci accontentiamo della vista e non
della visione. Il pazzo e l’epilettico si inoltrano in universi
fantastici, perché
liberati dalle ‘regole sociali’. ‘Abd
al-‘Azīz uccide l’amico che lo tradisce con la
moglie, poiché percepisce
la verità negli attacchi
epilettici che lo liberano dai veli della ragione, consentendogli
le visioni: “ha visto la sua immagine impressa sul viso della moglie, come
ha visto l’immagine di lei sulla faccia di quell’uomo dieci mesi fa” (“Il colpo
mortale”).
Un’altra tematica riguarda
le leggi che, oltre a quelle della materia, dominano il globo.
L’allusione è alla natura ignota e ai
corpi inanimati, in quanto il narratore crede che l’uomo non sia
solo sulla terra (in un racconto, dei guanti propendono per l’acquirente,
opponendosi al venditore).

Manifesto della mostra, Bari, Teatro Margherita, 20-29 dicembre 2014.
La morte, con il suo
carico di mistero, è
presente nel libro e, particolarmente, nel racconto “L’insidia”. Un giorno un uomo annota
in un’agenda la data della sua morte. Passa il tempo, ritrova l’agenda
e lo scritto e si chiede se si tratti di una stupidità o di una profezia. Era il 30 dicembre 1945.
Mancava solo un giorno alla fine dell’anno. ‘Ārif
si agitò, tentò di sistemare
alcune faccende, “Senonché il guardiano della morte già stava sopra di lui. Egli non si convinse
di quanto aveva detto il medico circa il buono stato di salute
dell’appendice, continuando a non essere convinto del nuovo anno
finché... morì prima che
sorgesse su di lui la mattina del primo giorno”.
Il Narratore del deserto è un libro avvincente, dal periodare lungo e
distensivo. Le argomentazioni fanno riflettere, giacché
coinvolgono la mente e l’anima, il mondo visibile e
invisibile, la fede e la scienza, passando per la storia, il dolore e la ricchezza
culturale del popolo arabo.
Nel corso della lettura,
alla voce narrante – talvolta – si sono affiancati i ricordi
della mia infanzia a Forenza (Potenza), dove percepivo le allusioni al mistero e
alla magia: “Le cose ci sono...!”, ripetevano le anziane, a mo’ di cantilena.
‘Abd al-Salām al-‘Uğaylī mi ha incuriosita e spero che il prof. Boloyan nel futuro ci regali altre artistiche
sorprese. Intanto, sono grata all’editore Luciano Maria Pegorari, alla moglie Francesca Piccoli e ai traduttori per
questa magnifica strenna di Natale.
*
Relazione tenuta da Anna Santoliquido il 22
dicembre 2014, alle ore 18,00, nel Teatro Margherita di Bari, per
l’inaugurazione della mostra fotografica I
“volti” della Siria, organizzata dal Centro Studi e Ricerche di
Orientalistica. L’esposizione, curata dal Presidente del Centro, Prof. Kegham Jamil Boloyan, in
collaborazione con gli Architetti Marina de Marco e Mario Ferrari, si è avvalsa
del patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Bari di cui è
responsabile il Dott. Silvio Maselli. Nel corso della serata i Proff. Anna Santoliquido e Francesco Medici hanno presentato il volume Il Narratore del deserto riguardante la
vita e le opere dello scrittore siriano ‘Abd
al-Salām
al-‘Uğaylī. Il libro, curato dal Prof. Boloyan, ha suscitato notevole interesse da parte del
pubblico. Hanno tenuto interventi la Product Manager della FaLvision
Editore, Francesca Piccoli e lo stesso Boloyan.
Numerosa è stata la partecipazione della Comunità Armena di Bari guidata dal
suo rappresentante Rupen Timurian.