LETTERATURE MONDO
SGUARDO DAL SUD (17)
I racconti di ‘Abd al-Salam
al-‘Ugayli tra zone d’ombra
e le alcove del mistero

      
Presentato a Bari il volume “Il Narratore del deserto” a cura di Kegham Jamil Boloyan sul grande scrittore siriano morto nel 2006 a ottantotto anni, che fu anche medico e politico. Un libro che consente di fare una illuminante immersione, tra realtà e fantasia, nelle spire di una narrativa mediorientale connotata dal periodare lungo e distensivo. Argomentazioni e temi che fanno riflettere, giacché coinvolgono la mente e l’anima, il mondo visibile e invisibile, la fede e la scienza, passando per la storia, il dolore e la ricchezza culturale del popolo arabo.
      




   

 

di Anna Santoliquido

 

 

Diversi anni fa cominciò a diventare preponderante in me il desiderio di conoscere l’Oriente come se una forza arcana mi spingesse a cercarlo. Espressi tale pensiero in un componimento poetico nel quale invocavo un fantasioso Mohammed che mi aiutasse a capirlo. In cambio gli offrivo l’origano del Vulture e il geranio nella grasta. Barattavo la conoscenza orientale con i profumi della mia terra lucana. Sembrerà strano, ma ciò, in certa misura, si è avverato. Ed stato il lavoro di due autori siriani a darmene la consapevolezza. Negli ultimi tempi ho compiuto tre viaggi culturali in Oriente, ho incontrato persone illuminate e letto testi efficaci. Ho apprezzato la fertilità della lentezza, il gusto della conversazione, la generosità della tradizione (che continua a dispiegare insegnamenti) e l'importanza delle visioni nella vita di ogni giorno. Gli artisti vanno oltre le convenzioni e il visibile.

Il prof. Kegham Jamil Boloyan (Aleppo, Siria, 1960), con Il Narratore del deserto sul grande scrittore siriano ‘Abd al-Salām al-‘Uğaylī (1918-2006) ci porge uno spaccato straordinario della letteratura e del vissuto dei popoli arabi. Il libro, pubblicato in questi giorni dall’editrice barese FaLvision, nella Collana “I volti e le tracce”, con traduzione dall’arabo di Armando Giannello e Boloyan, si avvale della prefazione dello stesso al-‘Uğaylī che elogia il metodo e lo sforzo del curatore per farne conoscere la vita, le opere e la critica. Egli dichiara di scrivere soprattutto per se stesso e di rivelarsi attraverso i personaggi. Confida che la traduzione possa avvicinare “gli esponenti di queste culture, in termini di pacificazione tra popoli, nazioni e paesi”. Boloyan ha avuto la fortuna di apprendere da ragazzo l’armeno e l’arabo. Difatti, insegna Lingua e Traduzione Araba presso l’Università del Salento.

Lo scrittore al-‘Uğaylī è autore di poesie, romanzi, racconti, articoli e testi in prosa ornata e rimata. È nato ad al-Raqqah, un piccolo paese sulle rive dell’Eufrate tra Aleppo e Dayr al-Zūr, in una famiglia beduina con la quale ha conosciuto il deserto, gli spostamenti, le tradizioni, l’amore per l’arte e per la cultura (il nonno era poeta). Sensibile e curioso, si interessò presto della letteratura internazionale, compiendo numerosi viaggi in tutto il mondo soprattutto per conoscere “i modelli umani più diversi”.

Fu medico e politico. Nel 1947 rivestì la carica di deputato al Parlamento e nel 1962 prese parte al Governo, nel Ministero della Cultura, degli Esteri e della Pubblica Istruzione. Nel 1948 si arruolò volontario nella guerra della Palestina, rimanendone deluso. Tali esperienze le ha riversate nella scrittura a cui spesso ricorreva per “chiarire l’ambiguità” di un sentimento.

Ha tratto la materia creativa dalla tradizione araba e dalla cultura occidentale moderna (conosceva molti autori europei, tra cui Flaubert, Goethe, Simone de Beauvoir, Roger Martin du Guard, etc.). L’intento, come dimostrano i racconti proposti al lettore italiano, è quello di rafforzare l’originalità araba, dando modelli che potessero svolgere un ruolo di guida per il suo popolo. Da uomo di scienza e abile narratore, ha coniugato la ragione e l’ignoto, lasciando spazio all’anima e all’invisibile. Alcuni racconti (come “La visione”, “La febbre”) sono apparsi nel volume Narratori Arabi del Novecento (Bompiani, 1994), a cura della traduttrice e arabista Isabella Camera d’Afflitto.

Il racconto è l’abito più elegante dello scrittore siriano nel quale condensa poesia, politica, filosofia e prospettive scientifiche. Nelle sue pagine la realtà e la fantasia giocano come il gatto col topo. La vita beduina e agricola, le vicende quotidiane, i raggiri sono tematiche che intessono le pagine che si intersecano fino all’inverosimile. Ci sono mondi distinti che si completano e non escludono il regno dell’invisibile.

 

 

 

Una delle abilità dello scrittore è quella di portare il lettore verso l’interiorità, facendogli intravedere le zone d’ombra e forse le alcove del mistero. L’atmosfera di realtà e immaginazione, l’apertura alla favola e al possibile, “la tenerezza dello spirito e il coraggio della fantasia” sottolineano la spinta dell’Autore, affinché gli intellettuali si interessino “alle grandi questioni” e assumano “una posizione al riguardo”.

La fedeltà alla parola, la dimostrazione che la ragione non sia sufficiente a capire i turbamenti dell’uomo, l’attenzione al metafisico fanno degli scritti uno scrigno etico ed estetico di valore. Maestro del racconto breve moderno, non è interessato all’analisi psicologica dei personaggi, ma alle loro sensazioni, alla rappresentazione dei sogni e alla lotta. Nei testi non c’è odio bensì una tranquillità che convive con le cadute e le tragedie dei protagonisti. L’autore reputa che l’uomo sia limitato di fronte al mistero, e si riscatti nella lotta e nella ricerca. Gli accadimenti della realtà personale o contingente servono al narratore per avviare il racconto sul quale innesta elementi fantastici e ideali. Egli non mira a educare gli animi e a insegnare i buoni costumi, ma a difendere “le idee dell’umanità”, restando fedele alla verità e ai suoi ideali.

Leggendo Il Narratore del deserto si ha sensazione che l’Oriente ti venga incontro. Ciò è dovuto alla pacatezza del ritmo e alla limpidezza espressiva. La parola è appropriata. L’innesto delle storie riporta alla magia de Le mille e una notte, ai testi dello scrittore statunitense Edgar Allan Poe e alla narrativa francese. Una sorta di scatole cinesi da cui fuoriescono pensieri, usi, tradizioni, intrecci degni di un eccellente prestigiatore. Una verve che il critico e arabista Francesco Medici accomuna a Primo Levi, Verga (principalmente per i personaggi) e a Sciascia (per la scientificità). In Puglia un nome di riferimento è senz’altro Giorgio Saponaro, prolifico autore di romanzi, ma soprattutto di riuscitissimi racconti raccolti in tre volumi: I giorni della vita.

L’ascolto e l’osservazione sono essenziali per al-‘Uğaylī più delle tecniche narrative (vedi lo splendido racconto drammatico “II cavallo e le donne” nel quale la cavalla soffre e si ammala come la padrona). A lui interessa accendere la fantasia del lettore, pertanto indugia poco sui dettagli.

Tanti sono i temi riscontrati, tra essi la giustizia, il raffronto Oriente-Occidente, l’amicizia, il rapporto tra la ‘donna-città’ e ‘l’uomo-campagna’, la società (che non necessariamente cambia in meglio), la vita del deserto, i mali dell’Occidente, il regno dell’arcano, la ragione calcolatrice, i sentimenti nascosti (il momento dell’anima è un momento di verità), la demolizione degli stereotipi sull’Oriente (per quest’ultimo aspetto, si veda il racconto “La tragedia”). Particolarmente avvincenti sono i brani riguardanti le leggende sui contadini siriani, la magia e la tradizione popolare dei villaggi asiatici (indicativi sono i racconti “Sparso il sangue” e “Il mezzogiorno”).

La professione medica gli ha consentito di introdurre nella scrittura la claustrofobia, l’epilessia, la somministrazione del chinino, etc. Quanto alla corruzione dei tempi moderni egli ritiene che sia una malattia antica e impossibile da eliminare. Per chiarire il pensiero all’interlocutore ricorre a vari episodi e alla citazione dei grandi poeti arabi: è una sfortuna per chi è libero vedere un nemico della cui amicizia non si può fare a meno” (Abu al Tayib al-Mutanabbi).

La morte è un argomento consistente dell’opera. L’Autore esorta a raggiungere la serenità della coscienza, a vincerla con l’eternità del ricordo e la realizzazione degli ideali (“La ricetta efficace”).

 

 

 

 

 

Bari, Teatro Margherita, 22 dicembre 2014

Inaugurazione della mostra e presentazione del libro

Da sinistra: Francesca Piccoli, Francesco Medici, Kegham Jamil Boloyan e Anna Santoliquido.

 

 

 

Un aspetto che mi ha particolarmente colpito è la denuncia dell’ignoranza dell’Occidente sulla cultura degli arabi. Molti non sanno “le meraviglie della civiltà” e le “tracce artistiche” che essi hanno lasciato in eredità. Nel racconto “La tragedia” una ragazza belga invia al narratore una cartolina dalla Spagna: “Ti scrivo da al-Cazar, il palazzo a Siviglia…, ho pianto impressionata dal fascino delle decorazioni arabe e dalla bellezza di ciò che hanno lasciato in eredità i figli della tua patria che mi hai fatto conoscere attraverso la loro storia in questo paese”.

Dei racconti si cita il bellissimo “Oh...se qualcuno di voi credesse!” nel quale, attraverso il dialogo tra padre e figlio, lo scrittore si esprime sul rapporto tra fede e scienza, passato e presente, Oriente e Occidente e i guasti prodotti. La narrazione annovera gli asceti e il nomadismo, con riflessioni sulla fede spirituale e quella materialista (ci sono persone che pregano cinque volte al giorno e poi rubano e accettano tangenti). Tra le preziosità dell’opera si riporta un passo appartenente a quelle che l’autore chiama “barzellette”, ossia racconti, aneddoti e poesie tradotte dall’armeno in arabo:

 

Oh amico mio, io mi rivolgo a te:

non passeggiare alla luce del sole

io temo per la tua ombra che si trova sulla terra

e si impolvera di terra;

quando sono entrato nella fornace

ed ho trovato mille tenere pagnotte

non ho visto tra esse nessuna più colorita della tua guancia

e nessuna bruciata come il mio cuore.

 

Spesso il fascino nella narrazione risiede nel contrasto tra i mondi e i personaggi rappresentati. Lo scrittore non giudica, assolve al ruolo di osservatore, convinto che ciascuno di noi comprenda solo una parte della realtà (si vedano i racconti “Bāsimah tra le lacrime”, “Il marciapiede della vergine nera”, “I sommersi”). I protagonisti di al-‘Uğaylī, pur se negativi, rimangono composti. Lo scrittore reputa che la società non sia morta del tutto e che debba essere il lettore a scegliere tra “bassezza” ed “elevazione”. Tra gli scopi dell’autore siriano vi è quello di sopprimere gli impedimenti che separino l’arte dalla realtà, la fantasia dal mondo reale, il sogno dalla vita concreta. In vari racconti i personaggi si spogliano dell’abito della ragione e si abbandonano al mistero. Questo accade, ad esempio, ne “Le lampade di Siviglia” e “La figlia della strega”. Il lettore si chiede che cosa accadrebbe se il pianeta “si liberasse dalle catene delle sue norme e regole”.

I nostri sensi limitati e la ragione offuscata ci impediscono di vedere la realtà superiore e di andare oltre l’apparenza. Ci accontentiamo della vista e non della visione. Il pazzo e l’epilettico si inoltrano in universi fantastici, perché liberati dalle ‘regole sociali’. ‘Abd al-‘Azīz uccide l’amico che lo tradisce con la moglie, poiché percepisce la verità negli attacchi epilettici che lo liberano dai veli della ragione, consentendogli le visioni: “ha visto la sua immagine impressa sul viso della moglie, come ha visto l’immagine di lei sulla faccia di quell’uomo dieci mesi fa” (“Il colpo mortale”).

Un’altra tematica riguarda le leggi che, oltre a quelle della materia, dominano il globo. L’allusione è alla natura ignota e ai corpi inanimati, in quanto il narratore crede che l’uomo non sia solo sulla terra (in un racconto, dei guanti propendono per l’acquirente, opponendosi al venditore).

 

 

 

 

Manifesto della mostra, Bari, Teatro Margherita, 20-29 dicembre 2014.

 

 

La morte, con il suo carico di mistero, è presente nel libro e, particolarmente, nel racconto “L’insidia”. Un giorno un uomo annota in un’agenda la data della sua morte. Passa il tempo, ritrova l’agenda e lo scritto e si chiede se si tratti di una stupidità o di una profezia. Era il 30 dicembre 1945. Mancava solo un giorno alla fine dell’anno. Ārif si agitò, tentò di sistemare alcune faccende, “Senonché il guardiano della morte già stava sopra di lui. Egli non si convinse di quanto aveva detto il medico circa il buono stato di salute dell’appendice, continuando a non essere convinto del nuovo anno finché... morì prima che sorgesse su di lui la mattina del primo giorno”.

Il Narratore del deserto è un libro avvincente, dal periodare lungo e distensivo. Le argomentazioni fanno riflettere, giacché coinvolgono la mente e l’anima, il mondo visibile e invisibile, la fede e la scienza, passando per la storia, il dolore e la ricchezza culturale del popolo arabo.

Nel corso della lettura, alla voce narrante – talvolta – si sono affiancati i ricordi della mia infanzia a Forenza (Potenza), dove percepivo le allusioni al mistero e alla magia: “Le cose ci sono...!”, ripetevano le anziane, a mo’ di cantilena.

Abd al-Salām al-‘Uğaylī mi ha incuriosita e spero che il prof. Boloyan nel futuro ci regali altre artistiche sorprese. Intanto, sono grata all’editore Luciano Maria Pegorari, alla moglie Francesca Piccoli e ai traduttori per questa magnifica strenna di Natale.

                             

 

 

*  Relazione tenuta da Anna Santoliquido il 22 dicembre 2014, alle ore 18,00, nel Teatro Margherita di Bari, per l’inaugurazione della mostra fotografica I “volti” della Siria, organizzata dal Centro Studi e Ricerche di Orientalistica. L’esposizione, curata dal Presidente del Centro, Prof. Kegham Jamil Boloyan, in collaborazione con gli Architetti Marina de Marco e Mario Ferrari, si è avvalsa del patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Bari di cui è responsabile il Dott. Silvio Maselli. Nel corso della serata i Proff. Anna Santoliquido e Francesco Medici hanno presentato il volume Il Narratore del deserto riguardante la vita e le opere dello scrittore siriano Abd al-Salām al-‘Uğaylī. Il libro, curato dal Prof. Boloyan, ha suscitato notevole interesse da parte del pubblico. Hanno tenuto interventi la Product Manager della FaLvision Editore, Francesca Piccoli e lo stesso Boloyan. Numerosa è stata la partecipazione della Comunità Armena di Bari guidata dal suo rappresentante Rupen Timurian.          

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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