di Alessandro Ticozzi
Dopo
una formazione da autodidatta, Pino Daniele suonò con diversi esponenti del
rock napoletano, tra cui il gruppo Napoli Centrale: come furono i suoi inizi?
Molto
semplicemente, come tanti alla sua età, iniziò a sperimentare musica con una
serie di amici che poi saranno quelli che costituiranno, in gran parte, il suo
gruppo degli esordi discografici. E poi non è da dimenticare l'interessamento
già allora della canzone popolare napoletana.
Nel
1977 Pino Daniele pubblicò il suo album d’esordio, Terra mia: in esso cosa
possiamo trovare in nuce della sua
poetica musicale?
Terra
mia costituisce il primo
album e l’esordio discografico di Pino Daniele. Probabilmente c’è già l’appartenenza
ad una sfera musicale degli anni ’80 che è ben diversa da quella che verrà
dopo. In questo album certamente inizia il suo corso di recupero delle radici
passando ad una visione contemporanea della canzone napoletana, per non parlare
della poetica essenziale degli arrangiamenti. Inizia il suo vero percorso
creativo fatto anche di una esperienza di ricerca.
Da Pino Daniele (1979) a Nero a metà (1980), da Vai mo’ (1981) a Bella ’mbriana (1982), da Mascalzone latino (1989)
a Che Dio ti benedica (1993), quali sono le costanti di Pino
Daniele che possiamo trovare nei suoi album più rappresentativi?
Pino Daniele non si è mai rappresentato
attraverso un solo album o una solo ricerca sonora. Negli album da lei citati
c’è una forte ascesa e anche discesa creativa che lo fa spaziare dalle hit di
successo (di dubbio gusto) a pagine di raffinata bellezza. Certamente sono
album in cui la forza creativa cambia notevolmente e quello che è presente nei
primi album è frutto anche di una collaborazione con musicisti di prim’ordine,
di provata esperienza creativa e compositiva. Da Mascalzone latino in poi la formula cambia sempre più verso un pop
commerciale che poco lo rappresenta in quella poetica sociale che lo ha sempre
distinto. Pino Daniele è nato in un tempo in cui la sfera sociale era di
fondamentale importanza e il suo primo gruppo non può che essere frutto di un
nucleo di giovani che volevano essere presenti nella sfera sociale e provare a
cambiare, una sorta di protesta artistica. Ecco, secondo me questo è stato il
periodo migliore di Pino Daniele, forte, fortissimo di una base politicamente
scorretta in un tempo in cui il cantautorato era agli sgoccioli e il pop da
‘cassetta’ prende il sopravvento.
Nel
1995 Pino Daniele pubblicò l’album di grande successo Non calpestare i fiori nel deserto, accompagnato da una trionfale tournée
conclusasi con alcuni concerti in coppia con Pat Metheny: una svolta nelle sonorità di Pino secondo lei?
Sicuramente, una svolta elettronica che era
nell’aria. È vero che l’ascesa verso le collaborazioni con artisti
internazionali è di particolare importanza ma è anche vero che questa svolta lo
porta per un certo periodo di tempo a cercare sponde di successo che vanno
oltre quell’idea sociale di fare musica. La ricercatezza di nuove sonorità è
più evidente, ma non bisogna dimenticare che negli anni ’80 le sue sonorità
erano all’avanguardia in un paese che era ancora molto fermo ad un canone sia
acustico che classico. Quest’album da lei citato lascia però veramente con l’amaro
in bocca per una idea molto interessante che si perde in una hit molto brutta
come ’O cammello ’Nnammurato sintesi creativa
di un percorso marcato CGD alias Caterina Caselli che è sicuramente stata la
stratega della definitiva morte culturale di Pino Daniele.
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Pino Daniele
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Cosa
spinse Pino Daniele a organizzare nel 2002 un tour con Francesco De Gregori,
Fiorella Mannoia e Ron?
Non ho idea, non sono il manager di Pino
Daniele. Penso sinceramente ad una collaborazione con soli fini commerciali.
Cosa
spinse Pino Daniele a comporre anche varie colonne sonore per il cinema,
collaborando spesso con Massimo Troisi?
Non ha scritto molta musica da film e
certamente le collaborazioni con Massimo Troisi sono interessanti e anche molto belle, frutto di una
amicizia ma anche di una condivisione artistica; per Troisi
Daniele ha scritto tre colonne sonore, fra le quali la più bella è sicuramente
l’ultima, ovvero quella per Pensavo fosse amore e invece era un calesse.
Da Passi d’autore (2004) a Iguana cafè (2005),
da Il mio nome è Pino Daniele e
vivo qui (2007) a Electric Jam (2009), cosa possiamo trovare di Pino Daniele nei suoi ultimi lavori?
Una dispersione di sonorità e di creatività,
spesso inutili prodromi di una poetica che si è esaurita. Pino Daniele come
tanti suoi colleghi, ha dovuto produrre dischi a scapito della ricercatezza che
è alla base della creatività e della qualità. C’è anche da dire però che con Medina e Passi d’autore Daniele tocca punte altissime, soprattutto per quel
rinato interesse per la cultura canora napoletana e del Mediterraneo, con una
dottissima inclusione di un madrigale di Carlo Gesualdo principe di Venosa.
L’ultima
sua produzione discografica è stata, nel 2013, l’album Tutta n’ata storia
- Vai mo’ - Live in Napoli, con il
concerto dal vivo nella sua città natale: una summa ottimale dei live di Pino Daniele?
Penso sinceramente che quest’ultima
produzione discografica fosse nata per Daniele proprio sulla sponda di un
fallimento ideologico che la sua incostante ricerca lo aveva condotto. Pino
Daniele aveva avuto uno stupendo guizzo creativo con Medina e soprattutto con Passi
d’autore. Poi ha arrancato cercando una dimensione che era oramai perduta.
L’artista non può comporre scendendo nelle viscere della brutta creatività:
questa perdita di identità sicuramente avrà influenzato la sua crescita creativa
e dopo i citati album quello che è seguito non brillava più, anche l’operazione
del live con la sua primigenia band è cosa di immensa tristezza.
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Daniele negli anni '70
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Con
la sua improvvisa scomparsa, cosa rimane secondo lei di Pino Daniele come uomo
e come cantautore?
Rimane il senso di un personaggio che è
riuscito a creare un sound inedito in
Italia. I primi anni Ottanta sono stati fantastici per alcuni autori perché
hanno potuto sperimentare le sonorità e le incredibili novità che venivano dal
mondo anglosassone. Daniele ha dato nuovo flusso alla canzone napoletana ma
soprattutto alla musica pop di allora. Non è stato un cantautore in senso
stretto, ma soprattutto un autore che era molto attento alla crescita musicale.
Mancherà probabilmente quella sua intima ricerca interiore e quel suo iniziale
candore che lo ha reso così famoso e amato da tanta parte del pubblico
italiano.
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Chiudiamo
questo pezzo con il ricordo di Luca “Zulù” Persico, leader dei 99 Posse: “Il nostro primo incontro con Pino è avvenuto
quando siamo stati da lui chiamati per una collaborazione nel suo disco Medina, all’interno del quale c’era la
canzone Evviva o rre: aveva infatti pensato di fare una specie di passaggio di
testimone a noi e alla nuova generazione di musicisti in qualche modo sensibili
a ciò che accade nel sociale a Napoli. L’idea era questa: ovviamente tutto in
chiave molto ironica e partendo da un modo di dire che c’era a Napoli ai tempi
del re, nel senso che morto un re se ne fa immediatamente un altro.
In
studio di registrazione la nostra collaborazione è stata molto semplice: contrariamente
a come facciamo di solito – che ci facciamo mandare i file, ci ragioniamo
quando abbiamo qualcosa di convincente e poi ci preoccupiamo della
registrazione – con Pino è stato diverso. Lui ci aveva voluti conoscere personalmente:
non è che ci ha chiesto la collaborazione tramite uffici, e quindi ci ha
invitati a pranzo da lui, poi ci ha fatto fare un giro nel suo ufficio e infine
nello studio di registrazione dove stava registrando il disco. Ci ha fatto
sentire un po’ di cose che aveva già registrato, tra le quali quel fantastico
minuetto che concluse il disco, Ahi
disperata vita. Trovandoci lì nello studio, a un certo punto ha detto: ‘Facciamo
girare un po’ il pezzo: vediamo se ti viene un idea’. Io mi sono sentito
immediatamente male, perché c’hanno abituato a stare almeno una settimana a
ragionare sulle cose che devo dire prima di scriverle – almeno così era
all’epoca: ora, dalla nascita di mio figlio, mi si è sbloccata una vena per cui
sono in grado di scrivere anche lì per lì, però sino a un paio d’anni fa il
meccanismo di scrittura per me era molto complesso. Non riuscivo a scrivere dentro
ad uno studio uscendone con un pezzo fatto: questa cosa non pensavo mai potesse
succedere, e invece quel giorno è accaduta. C’era infatti una bellissima
energia nello studio: il pezzo ci piaceva moltissimo e il groove pure. Era stata una
giornata molto bella: tu hai l’opportunità di andare a pranzo e fare un giro
per la città di Roma con uno dei miti della tua gioventù, o comunque sia una
delle prime esperienze che hai avuto con la musica che serve anche a farti
aprire gli occhi e a farti esprimere la rabbia, le contraddizioni, i sogni e le
gioie che hai dentro. La sua è una musica che non serve esclusivamente a muovere
il corpo e a rifuggire i pensieri, ma in qualche maniera riesce a farne nascere
di nuovi: ci siamo pertanto chiusi nello studio e, dopo un paio d’ore, io avevo
scritto la mia parte, Meg la sua e quindi poi
l’abbiamo registrata. Questo è durato un pomeriggio: l’unica esperienza che
abbiamo invece avuto di concerti dal vivo con Pino Daniele risale al Primo Maggio
del 2001. In quell’occasione fu lui ad invitarci, perché noi avevamo da tempo
chiuso con l’organizzazione del Concertone per divergenze politiche con la CGIL,
che sta dietro all’organizzazione di quest’evento: c’eravamo andati un paio di
volte e in entrambe le occasioni avevamo avuto atteggiamenti polemici nei
confronti dell’organizzazione sindacale che stava dietro all’evento, e quindi
poi hanno smesso di chiamarci. Finché quell’anno Pino Daniele ha rotto
l’embargo dicendo che avrebbe partecipato al Primo Maggio solo in qualità di
chitarrista dei 99 Posse: pertanto loro malgrado ci ospitarono per un ultima
volta, e quindi per preparare quella data ci siamo fatti un altro buon paio di
pomeriggi di prove con Pino a Roma.
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Luca "Zulù" Persico dei 99 Posse
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I
vicoli, le periferie e le marginalità che venivano espresse negli anni Settanta
da Pino Daniele sono state raccontate anche da noi, come da tantissimi altri: chiunque
parta da Napoli e fa il suo percorso musicale in quest’ambito finisce per
diventare parte di una famiglia. Siamo influenzati dalle stesse cose, viviamo
sotto lo stesso cielo, respiriamo la stessa aria e abbiamo tutti quanti in
comune l’idea di un mondo più aperto e meno fascista: trovo tantissime
similitudini e pochissime differenze. Noi probabilmente siamo più sboccati rispetto
a Pino Daniele, anche se è stato lui il primo a dire la parola ‘cazzo’ nella
canzone Je so’ pazzo: tuttavia non
oso neanche lontanamente provare a mettere le mie liriche al paragone con
quelle di zio Pino.
Pino
era una persona che abbiamo avuto la fortuna di conoscere personalmente, in
quanto ci ha tenuto ad avere un rapporto personale oltre che artistico e
lavorativo con noi. L’amore che ci ha tramandato verso la sua musica era troppo
grande per poter accettare anche solo di farlo intaccare minimamente da un
ambiguità che comunque non aveva nessuna fonte attendibile alla quale
aggrapparsi, però, nel momento in cui ci arriva la telefonata da parte del suo management che Pino vuole fare un pezzo
con noi, questo ti fa diventare immediatamente pazzo. A maggior motivo se
quella subito dopo è di zio Pino che dice: ‘Al di là del pezzo che dobbiamo
fare insieme, sarebbe bello conoscerci e passare una bella giornata insieme: vi
porto a mangiare in un posto buonissimo dove c’è la mozzarella come quella di
Napoli’, dimenticandosi che noi viviamo a Napoli e mozzarella ne mangiamo
quanta ne vogliamo, ma, vivendo a Roma da tanti anni, Pino ha cercato questo
posto dove facevano la mozzarella come diceva lui e ne andava molto fiero: in
ogni caso era una persona che riesce sempre in qualche maniera a mettere
d’accordo tutti”.
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