INTERVISTE
ANGELO SIGNORELLI
Tutta la qualità del ‘Billy Wilder touch’


  
A colloquio con il presidente dell’associazione culturale Lab 80, nonché co-curatore con Arturo Invernici del volume “Un tocco di Wilder” uscito nel 2007. Come il suo grande maestro Ernst Lubitsch, il regista ebreo austriaco trasferitosi nel 1933 in America, nei suoi numerosi film – spesso dei capolavori come “Viale del tramonto” (1950), “A qualcuno piace caldo” (1959), “Prima pagina” (1974) – ha impresso uno stile di racconto cinematografico, un tono espressivo, una leggerezza umoristica pressocché unici e irripetibili. In coda, Pippo Franco ricorda la sua particolare e felice esperienza con il geniale cineasta statunitense ad Ischia sul set di “Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?”.
  



  

di Alessandro Ticozzi





Billy Wilder (1906-2002)


Billy Wilder fu giornalista e sceneggiatore per Siodmak e Lubitsch, prima di diventare autore di tutti i propri film: quanto fu importante la scrittura nella sua formazione?

 

Billy Wilder teneva appesa nel suo studio una targa con scritto: «Come lo farebbe Lubitsch?»: lo considerava il suo grande maestro. La scrittura ha sempre avuto un ruolo importante nella vita del regista austriaco; la sua carriera è iniziata come giornalista e come sceneggiatore. Egli firma ben tredici film tra il 1929 e il 1933. Trasferitosi in America, per Lubitsch firma la sceneggiatura di Ninotchka e per Hawks quella di Colpo di fulmine. Quando decide di affiancarsi dei collaboratori, si appoggia a pezzi da novanta come Charles Brackett e I.A.L. Diamond, con i quali realizza film importanti come Giorni perduti e Viale del tramonto con il primo e A qualcuno piace caldo e L’appartamento con il secondo. Sulla sua tomba al Westwood Memorial Cemetery di Los Angeles, c’è la scritta: «Sono uno scrittore. D’altra parte nessuno è perfetto», dove si cita la memorabile battuta finale di A qualcuno piace caldo.

 

La fiamma del peccato (1944), Giorni perduti (1945, premio Oscar), Viale del tramonto (1950, premio Oscar) e L’asso nella manica (1951): che America è quella che traspare da questo quartetto di film “neri”?

 

È l’altra America, quella che non appare nelle produzioni hollywoodiane o quanto meno rimane molto sullo sfondo. Una società dominata dalla sete di denaro e dallo show-business, dove si sviluppa l’intrigo malavitoso, il degrado individuale, l’uso spietato della menzogna e l’affarismo più becero. Neppure il mondo del cinema è risparmiato, come avviene appunto in Viale del tramonto, che racconta la relazione tra uno sceneggiatore fallito e una diva decaduta del cinema muto. Uno dei pochi film, con Monsieur Verdoux di Chaplin, dove la storia è narrata da un morto. Al delirio della protagonista, interpretata da una splendida Gloria Swanson, fa da contrappunto l’implacabile macchina di Hollywood, che si libera dei suoi divi quando la loro immagine si appanna e non vende più. Un destino che ha accomunato molte personalità nel passaggio dal muto al sonoro.





La tomba di Wilder


Quando la moglie è in vacanza (1955), A qualcuno piace caldo (1959),L’appartamento (1960, premio Oscar), Non per soldi ma per denaro (1966): qual è l’approccio di Billy Wilder alla commedia?

 

Billy Wilder si trova molto a suo agio nella commedia. Gioca sì con elementi tradizionali del genere come il tradimento coniugale, il travestimento, lo scambio dei ruoli, il malinteso, l’inganno delle apparenze, il complotto, la truffa, ma di suo ci mette il “peso” della miseria umana, dell’ipocrisia, del sotterfugio, del ricatto, dell’imbroglio, della prepotenza del più forte nei confronti del più debole. Anche se, alla fine, è il sentimento amoroso che chiude la vicenda, ma senza i belletti e i lustrini della commedia sofisticata. Il genere, poi, gli dà la possibilità di sviluppare sceneggiature di ferro, con dialoghi serrati e pieni di riferimenti colti, sagaci nelle allusioni sessuali, memorabili in alcune espressioni che sono rimaste scolpite nella storia del cinema.

 

Si può ritenere Prima pagina (1974) il film summa dell’opera di Billy Wilder?

 

Nessun film in una carriera così prolifica e intensa e in una personalità così vivace come quella di Billy Wilder può essere considerato una summa. Certamente, il film contiene alcuni elementi che caratterizzano la sua produzione, alcuni dei quali ho citato prima; certamente, il film è uno dei suoi meglio riusciti, con interpreti straordinari e un perfetto meccanismo narrativo a orologeria. Ma non riassume per intero l’universo tematico e stilistico del regista. Piuttosto, per tutti i suoi film si potrebbe parlare di un “tocco alla Wilder”, un modo molto personale di rappresentare e interpretare il mondo, ricorrendo all’espressione che lo stesso Wilder inventò per indicare la singolarità, l’unicità, del suo grande maestro Lubitsch.

 

Fedora (1978) e Buddy Buddy (1981): una chiusura in tono minore della carriera di Billy Wilder?

 

Non parlerei di tono minore, ma piuttosto di disincanto, di un’uscita di scena che va di pari passo con la consapevolezza che il mondo del cinema sta cambiando, che non ha più bisogno di autori come Billy Wilder. Un congedo discreto, come a voler lasciare una sorta di testamento, scritto con il solito elegante sarcasmo, ma anche con un po’ di nostalgia e con l’affetto per un paese che lo ha sempre considerato uno straniero, uno che è venuto a fare la predica ai mali dell’America, e che non ha mai riconosciuto appieno le qualità della sua opera e la sua grandezza di regista. Solo tardivamente, infatti, il suo talento è stato riconosciuto.





Nel 1987, durante la cerimonia degli Oscar, Billy Wilder ha ricevuto il premio Irvin Thalberg: quanto è stato importante questo riconoscimento per lui?

 

Quando ricevette il prestigioso premio, in pratica un Oscar alla carriera, Billy Wilder ci tenne a ringraziare il console americano che si trovava a Mexicali, in Messico, che gli permise di rientrare negli Stati Uniti, nel 1934, dopo che aveva dovuto uscirne per la scadenza del visto temporaneo di sei mesi. Alla domanda su cosa facesse nella vita rispose che scriveva film; pur non avendo tutti i documenti in regola, il console gli concesse l’autorizzazione raccomandandogli di scriverne alcuni buoni. L’aneddoto ci fa capire quanto, in fondo, Wilder fosse riconoscente all’America; lui, ebreo che aveva dovuto fuggire in seguito all’ascesa al potere di Hitler e che nella terra della Libertà aveva potuto esprimere tutte le sue doti artistiche e raccontare con schiettezza, con ironia e con la giusta cattiveria i difetti, ma anche i piccoli eroismi di alcuni protagonisti di una società complessa e in continuo movimento.

 

A dodici anni dalla scomparsa, cosa rimane secondo lei di Billy Wilder come uomo e come regista?

 

Come uomo rimane il ricordo della sua vivacità intellettuale e della grande simpatia, il rigore e l’alta professionalità del suo lavoro di scrittore, produttore e regista, il senso dell’ironia, molto ebraico, che traspare dalle sue interviste, la ricchezza della sua formazione culturale, dove “pesava” enormemente il bagaglio di esperienze che si era portato dall’Europa e che gli aveva permesso di guardare all’America con occhio disincantato e sornione. Ma non era tenero neppure con le sue origini e la sua formazione – potremmo citare ad esempio il trattamento che ha riservato alla psicoanalisi e soprattutto agli psicanalisti –, e portava sempre con sé il ricordo di tanti suoi cari che furono uccisi nei campi di concentramento. Rimangono i suoi film, alcuni memorabili, altri gustosi, altri crudeli, nessuno che si può definire brutto. Li si rivede sempre con passione, perché vi si percepisce il gusto della messa in scena, il piacere della scrittura, l’abile costruzione del racconto, il rispetto per l’intelligenza dello spettatore. La Lab 80 film ha curato la riedizione di cinque suoi capolavori. Lo consideriamo uno dei nostri, come Lubitsch e tanti altri che ci hanno fatto amare il cinema.





Tony Curtis, Marilyn Monroe e Jack Lemmon in A qualcuno piace caldo (1959)


***

 

Billy Wilder non mancò di girare persino un film a Ischia, Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?: nella pellicola fa una gustosa apparizione, nei panni di un esilarante impiegato delle pompe funebri, un giovane Pippo Franco, che così ricorda oggi il grande cineasta americano.

“Era un occasione irripetibile per me: mi sono sentito lusingato della scelta di Billy Wilder, che ritenevo fosse dovuta al personaggio fisico che in qualche modo voleva. Poi ho scoperto che aveva visto molto di più anche dentro di me: è stato uno di quei colpi di fortuna della vita, durante il quale si fanno delle esperienze che risultano indimenticabili e ti accompagnano per sempre.

Tutti i grandi che ho avuto modo di frequentare – da Antonioni a Fellini – hanno un atteggiamento nei confronti degli attori molto particolare: mentre la consuetudine è quella da parte del regista di indirizzare l’attore verso quello che vuole, le persone più famose fanno l’inverso, chiedendo tutto quello che l’attore può suggerire rispetto al personaggio. Nel caso di Billy Wilder, appena ho letto il copione mi ha chiesto cosa ne pensavo, ed io ho espresso tutti i miei giudizi positivi. Dopodiché mi ha domandato: ‘Come farebbe questo personaggio?’. Allora io gli ho risposto: ‘Io mi aspettavo che mi desse lei delle indicazioni’. ‘No, lo voglio sapere da lei’. Pertanto ho preso una settimana di tempo per pensarci sopra, e, quando sono tornato, gli ho descritto interamente il personaggio, addirittura suggerendo delle inquadrature. Le regole della comicità sono uguali per tutti: lui mi ha fatto parlare fino in fondo, ha capito che tipo di personaggio volevo fare e quali caratteristiche aveva e ha realizzato il personaggio da me suggeritogli sposandolo interamente. Ha aggiunto veramente poche cose ed era molto soddisfatto del lavoro: ha cercato di tirare fuori quello che già io avevo dentro e che non sapevo di provare.

Come regista Billy Wilder è una sorta di mito: penso che sia uno dei più grandi della storia del cinema, ha insegnato parecchie cose anche nei tagli dei suoi film, determinando un gusto, un andamento e soprattutto una tecnica di racconto ripresa poi da tutti. Era una grande persona, ricco di ironia e fantasia: una volta in un intervista, quando tornando a Roma gli hanno chiesto qual era il migliore attore italiano secondo lui, ha fatto il mio nome sorprendendo tutti quanti i cronisti, che probabilmente non hanno accettato di buon grado questa visione. Era una sua visione personale: non posso che essere grato a Billy Wilder anche per questo. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di capire il suo carattere, la sua grandezza e la leggerezza con la quale lavorava: c’era un armonia tra noi due che nasceva anche dal fatto che io avevo tirato fuori un personaggio a lui gradito. Mi ha fatto un enorme piacere lavorare con lui, e soprattutto ho capito come le regole dell’ironia siano internazionali: è stata una delle esperienze più importanti della mia vita”.





Una scena di Che cosa è successo tra tuo padre e mia madre? (1972)





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