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di Alessandro Ticozzi
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Billy Wilder (1906-2002)
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Billy Wilder fu
giornalista e sceneggiatore per Siodmak e Lubitsch,
prima di diventare autore di tutti i propri film: quanto fu importante la
scrittura nella sua formazione?
Billy
Wilder teneva appesa nel suo studio una targa con scritto: «Come lo farebbe
Lubitsch?»: lo considerava il suo grande maestro. La scrittura ha sempre avuto
un ruolo importante nella vita del regista austriaco; la sua carriera è
iniziata come giornalista e come sceneggiatore. Egli firma ben tredici film tra
il 1929 e il 1933. Trasferitosi in America, per Lubitsch firma la sceneggiatura
di Ninotchka e per Hawks
quella di Colpo di fulmine. Quando
decide di affiancarsi dei collaboratori, si appoggia a pezzi da novanta come
Charles Brackett e I.A.L. Diamond, con i quali
realizza film importanti come Giorni
perduti e Viale del tramonto con
il primo e A qualcuno piace caldo e L’appartamento con il secondo. Sulla sua
tomba al Westwood Memorial
Cemetery di Los
Angeles, c’è la scritta: «Sono uno scrittore. D’altra parte nessuno è
perfetto», dove si cita la memorabile battuta finale di A qualcuno piace caldo.
La fiamma del peccato (1944), Giorni perduti (1945, premio Oscar), Viale del
tramonto (1950, premio
Oscar) e L’asso nella
manica (1951): che America è quella che traspare da questo quartetto di
film “neri”?
È l’altra America, quella che non
appare nelle produzioni hollywoodiane o quanto meno rimane molto sullo sfondo.
Una società dominata dalla sete di denaro e dallo show-business, dove si
sviluppa l’intrigo malavitoso, il degrado individuale, l’uso spietato della
menzogna e l’affarismo più becero. Neppure il mondo del cinema è risparmiato,
come avviene appunto in Viale del tramonto, che
racconta la relazione tra uno sceneggiatore fallito e una diva decaduta del
cinema muto. Uno dei pochi film, con Monsieur Verdoux
di Chaplin, dove la storia è narrata da un morto. Al delirio della
protagonista, interpretata da una splendida Gloria Swanson,
fa da contrappunto l’implacabile macchina di Hollywood, che si libera dei suoi
divi quando la loro immagine si appanna e non vende più. Un destino che ha
accomunato molte personalità nel passaggio dal muto al sonoro.
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La tomba di Wilder
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Quando la moglie è in vacanza (1955), A qualcuno
piace caldo (1959),L’appartamento (1960, premio Oscar), Non per soldi
ma per denaro (1966): qual è l’approccio
di Billy Wilder alla commedia?
Billy Wilder si trova molto a suo
agio nella commedia. Gioca sì con elementi tradizionali del genere come il
tradimento coniugale, il travestimento, lo scambio dei ruoli, il malinteso,
l’inganno delle apparenze, il complotto, la truffa, ma di suo ci mette il
“peso” della miseria umana, dell’ipocrisia, del sotterfugio, del ricatto,
dell’imbroglio, della prepotenza del più forte nei confronti del più debole.
Anche se, alla fine, è il sentimento amoroso che chiude la vicenda, ma senza i
belletti e i lustrini della commedia sofisticata. Il genere, poi, gli dà la
possibilità di sviluppare sceneggiature di ferro, con dialoghi serrati e pieni
di riferimenti colti, sagaci nelle allusioni sessuali, memorabili in alcune
espressioni che sono rimaste scolpite nella storia del cinema.
Si può ritenere Prima pagina (1974) il film summa dell’opera di Billy Wilder?
Nessun film in una carriera così prolifica
e intensa e in una personalità così vivace come quella di Billy Wilder può
essere considerato una summa. Certamente, il film contiene alcuni elementi che
caratterizzano la sua produzione, alcuni dei quali ho citato prima; certamente,
il film è uno dei suoi meglio riusciti, con interpreti straordinari e un
perfetto meccanismo narrativo a orologeria. Ma non riassume per intero
l’universo tematico e stilistico del regista. Piuttosto, per tutti i suoi film
si potrebbe parlare di un “tocco alla Wilder”, un modo molto personale di
rappresentare e interpretare il mondo, ricorrendo all’espressione che lo stesso
Wilder inventò per indicare la singolarità, l’unicità, del suo grande maestro
Lubitsch.
Fedora (1978) e Buddy Buddy (1981): una chiusura in
tono minore della carriera di Billy Wilder?
Non parlerei di tono minore, ma piuttosto
di disincanto, di un’uscita di scena che va di pari passo con la consapevolezza
che il mondo del cinema sta cambiando, che non ha più bisogno di autori come
Billy Wilder. Un congedo discreto, come a voler lasciare una sorta di
testamento, scritto con il solito elegante sarcasmo, ma anche con un po’ di
nostalgia e con l’affetto per un paese che lo ha sempre considerato uno
straniero, uno che è venuto a fare la predica ai mali dell’America, e che non
ha mai riconosciuto appieno le qualità della sua opera e la sua grandezza di
regista. Solo tardivamente, infatti, il suo talento è stato riconosciuto.
Nel 1987, durante la
cerimonia degli Oscar, Billy Wilder ha ricevuto il premio Irvin Thalberg: quanto è stato importante questo riconoscimento
per lui?
Quando ricevette il prestigioso premio, in
pratica un Oscar alla carriera, Billy Wilder ci tenne a ringraziare il console
americano che si trovava a Mexicali, in Messico, che gli permise di rientrare
negli Stati Uniti, nel 1934, dopo che aveva dovuto uscirne per la scadenza del
visto temporaneo di sei mesi. Alla domanda su cosa facesse nella vita rispose
che scriveva film; pur non avendo tutti i documenti in regola, il console gli
concesse l’autorizzazione raccomandandogli di scriverne alcuni buoni.
L’aneddoto ci fa capire quanto, in fondo, Wilder fosse riconoscente
all’America; lui, ebreo che aveva dovuto fuggire in seguito all’ascesa al
potere di Hitler e che nella terra della Libertà aveva potuto esprimere tutte
le sue doti artistiche e raccontare con schiettezza, con ironia e con la giusta
cattiveria i difetti, ma anche i piccoli eroismi di alcuni protagonisti di una
società complessa e in continuo movimento.
A dodici anni dalla scomparsa,
cosa rimane secondo lei di Billy Wilder come uomo e come regista?
Come uomo rimane il ricordo della sua
vivacità intellettuale e della grande simpatia, il rigore e l’alta
professionalità del suo lavoro di scrittore, produttore e regista, il senso
dell’ironia, molto ebraico, che traspare dalle sue interviste, la ricchezza
della sua formazione culturale, dove “pesava” enormemente il bagaglio di
esperienze che si era portato dall’Europa e che gli aveva permesso di guardare
all’America con occhio disincantato e sornione. Ma non era tenero neppure con
le sue origini e la sua formazione – potremmo citare ad esempio il trattamento
che ha riservato alla psicoanalisi e soprattutto agli psicanalisti –, e portava
sempre con sé il ricordo di tanti suoi cari che furono uccisi nei campi di
concentramento. Rimangono i suoi film, alcuni memorabili, altri gustosi, altri
crudeli, nessuno che si può definire brutto. Li si rivede sempre con passione,
perché vi si percepisce il gusto della messa in scena, il piacere della
scrittura, l’abile costruzione del racconto, il rispetto per l’intelligenza
dello spettatore. La Lab 80 film ha curato la riedizione di cinque suoi
capolavori. Lo consideriamo uno dei nostri, come Lubitsch e tanti altri che ci
hanno fatto amare il cinema.
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Tony Curtis, Marilyn Monroe e Jack Lemmon in A qualcuno piace caldo (1959)
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***
Billy Wilder non mancò di girare persino
un film a Ischia, Che cosa è successo tra
mio padre e tua madre?:
nella pellicola fa una gustosa apparizione, nei panni di un esilarante
impiegato delle pompe funebri, un giovane Pippo Franco, che così ricorda oggi
il grande cineasta americano.
“Era un occasione
irripetibile per me: mi sono sentito lusingato della scelta di Billy Wilder,
che ritenevo fosse dovuta al personaggio fisico che in qualche modo voleva. Poi
ho scoperto che aveva visto molto di più anche dentro di me: è stato uno di
quei colpi di fortuna della vita, durante il quale si fanno delle esperienze
che risultano indimenticabili e ti accompagnano per sempre.
Tutti i grandi che ho avuto modo di
frequentare – da Antonioni a Fellini – hanno un atteggiamento nei confronti
degli attori molto particolare: mentre la consuetudine è quella da parte del
regista di indirizzare l’attore verso quello che vuole, le persone più famose
fanno l’inverso, chiedendo tutto quello che l’attore può suggerire rispetto al
personaggio. Nel caso di Billy Wilder, appena ho letto il copione mi ha chiesto
cosa ne pensavo, ed io ho espresso tutti i miei giudizi positivi. Dopodiché mi
ha domandato: ‘Come farebbe questo personaggio?’.
Allora io gli ho risposto: ‘Io mi aspettavo che mi desse lei delle indicazioni’.
‘No, lo voglio sapere da lei’. Pertanto ho preso una settimana di tempo per
pensarci sopra, e, quando sono tornato, gli ho descritto interamente il
personaggio, addirittura suggerendo delle inquadrature. Le regole della
comicità sono uguali per tutti: lui mi ha fatto parlare fino in fondo, ha
capito che tipo di personaggio volevo fare e quali caratteristiche aveva e ha
realizzato il personaggio da me suggeritogli sposandolo interamente. Ha
aggiunto veramente poche cose ed era molto soddisfatto del lavoro: ha cercato
di tirare fuori quello che già io avevo dentro e che non sapevo di provare.
Come regista Billy Wilder è una sorta di
mito: penso che sia uno dei più grandi della storia del cinema, ha insegnato
parecchie cose anche nei tagli dei suoi film, determinando un gusto, un
andamento e soprattutto una tecnica di racconto ripresa poi da tutti. Era una
grande persona, ricco di ironia e fantasia: una volta in un intervista, quando
tornando a Roma gli hanno chiesto qual era il migliore attore italiano secondo
lui, ha fatto il mio nome sorprendendo tutti quanti i cronisti, che
probabilmente non hanno accettato di buon grado questa visione. Era una sua
visione personale: non posso che essere grato a Billy Wilder anche per questo.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di capire il suo carattere, la sua
grandezza e la leggerezza con la quale lavorava: c’era un armonia tra noi due
che nasceva anche dal fatto che io avevo tirato fuori un personaggio a lui
gradito. Mi ha fatto un enorme piacere lavorare con lui, e soprattutto ho
capito come le regole dell’ironia siano internazionali: è stata una delle
esperienze più importanti della mia vita”.
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Una scena di Che cosa è successo tra tuo padre e mia madre? (1972)
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