di Anna D’Elia
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Luca Maria Patella
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è un susseguirsi di provocazioni la
mostra di Luca Patella dal titolo “Ambienti
Proiettivi Animati 1964-1984” in corso fino al 26 aprile al Macro di Roma (via
Nizza, 138 ). I curatori Benedetta Carpi De Rosmini e Stefano Chiodi hanno selezionato i lavori che ben
testimoniano la particolarità dell’artista, trasgressore totale e grande
analista dei processi di comunicazione che hanno caratterizzato i decenni caldi della
sperimentazione nell’arte delle Neoavanguardie.
La
mostra è un susseguirsi di installazioni e ambienti multimediali, il cui filo
conduttore potrebbe essere individuato nel rapporto dell’uomo tecnologico con
lo spazio naturale e cosmico. Non a caso tutte le opere sono state realizzate
in quell’arco di tempo (prima metà Anni Sessanta e Ottanta) in cui il confronto
con l’artificio culturale era un tema molto sentito, non ancora reso obsoleto
dalla rivoluzione elettronica. Le tele fotografiche tratte dal film Terra Animata (1967) e i fotogrammi
riproposti in video in cui lo stesso artista con Rosa Foschi (compagna d’arte e
di vita) misurano
con una fettuccia bianca le geometria di un campo arato, riportano agli anni
delle prime rivoluzionarie esperienze multimediali,
in cui però l’uso di nuovi codici e strumenti non è mai disgiunto dall’analisi
dei linguaggi adoperati e dei meccanismi percettivi sollecitati nello
spettatore.
Quest’ultimo
è il vero protagonista dell’installazione che occupa il secondo ambiente della
mostra, dal titolo Piove, Camminare,
stare al bar (1966-67) in cui una semplice azione quotidiana, quale il
camminare sotto la pioggia è sottoposta ad un’azione plurima di analisi e
dilatazione concettuale, mentre un metronomo ne scandisce il battito cardiaco
all’unisono con il ticchettio della pioggia sulle immagini di un video che
allude ai fatti accaduti.
Al
“Gargantua e Pantraguel” di
Rabelais è dedicato il terzo ambiente: una videoinstallazione che trascrive su
tre pareti della stanza la frase ambigua “Voulez vous un aubelière?” provocando lo
spettatore con l’icastico gioco di parole.
Il
quarto ambiente della mostra, il più onirico e poetico, ci invita sotto un
cielo di nuvole in movimento a passeggiare attraverso una foresta di veri
alberi parlanti. All’ingresso dell’installazione Entra nel bosco (1971) un cartello sollecita il pubblico a
calpestare il tappeto-patchwork e ad appoggiare l’orecchio sui cerchietti collocati sui rami da
cui si può ascoltare la voce dell’artista che recita una sua poesia. La parola
è la nuova linfa che alimenta gli alberi, senza la cultura neppure la natura
potrebbe più esistere, è la morale di questo lavoro in cui Patella allena il pubblico al
gioco multiplo delle sinestesie.
L’ultimo
ambiente reca testimonianza dell’interesse dell’artista, figlio dell’astronomo e
umanista Luigi Patella, per la cosmografia. Nel Mysterium Coniunctionis (1983-84) la ricostruzione
modificata dell’Opus microcosmico realizzata da Vincenzo Caranelli
nel 1693 per il Re Sole viene riproposta in due cupole stellari semirovesciate
come fossero coppe e affiancata a due grandi tele raffiguranti gli emisferi
celesti e a due vasi
fisiognomici nei cui profili si scoprono quelli dello stesso
artista e di Rosa Foschi. Così nel rapporto tra macro e microcosmo la creazione
divina si fonde a quella individuale e nel rendere omaggio all’una, l’artista
non omette il gesto di apporre, sull’altra, la sua firma.
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Luca Patella, Alberi parlanti e cespugli musicali, 1971
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