La forza comunicativa e quella espressiva della parola
Pubblichiamo il testo di una relazione tenuta nell’Università degli Studi Aldo Moro di Bari lo scorso febbraio. Si tratta di una riflessione critico-teorica sulle diverse funzioni del linguaggio sia nell’ambito della vita quotidiana e del mondo dei mass-media, sia in quello della scrittura creativa, con particolare riguardo alla produzione di poesia. Importante nella educazione dei bambini riuscire a contemplare tutti i diversi dispositivi connotativi che agiscono negli atti di parola: quelli emotivi, fàtici, poetici, metalinguistici, referenziali e conativi.
di Anna Santoliquido
Nel 1930 un
ventiduenne poeta e critico letterario dello Yorkshire pubblicò un saggio
considerevole denominato Seven types of ambiguity, poi apparso in Italia a cura di Giorgio Melchiori. Il giovane William Empson
si riferiva alle ambiguità verbali della lingua inglese e ai suoi verseggiatori,
ma il concetto fu ripreso ed esteso a tutta la creatività poetica.
Il filosofo e
psicanalista francese Jacques Lacan sostiene che il linguaggio operi
interamente nell’ambiguità e la maggior parte del tempo non sappiamo
assolutamente nulla di ciò che diciamo. Inoltre, egli afferma che l’inconscio
“è strutturato come un linguaggio”. Nella conversazione e nei discorsi
registriamo spesso frasi sibilline ossia enunciati soggetti a doppia
interpretazione. Questo perché le parole, al pari del corpo, hanno un loro
linguaggio segreto.
I romani
erano abili nell’esercizio della retorica. L’artificio linguistico consentiva
loro di raggiungere fini inespressi. Ciò significa che la comunicazione può
essere manipolata. E tenuto conto che, come spiega la fisica quantistica, “si è
arrivati ad affermare scientificamente che la parola, veicolata dal pensiero e
dall’emozione a essa collegata, crea la realtà”, capiamo quanto sia importante
utilizzarla bene.
Innanzitutto
occorrerebbe partire dal pensiero positivo, facendo proprio l’assunto
del poeta irlandese William Butler Yeats “Non ci sono estranei, solo amici che
/ non hai ancora incontrato”. Una conversazione soddisfacente poggia su strategie
precise. Pare che i quattro minuti iniziali di un incontro siano decisivi per
il formarsi di una prima impressione che successivamente sarà difficile
modificare.
Ci sono molti
esperimenti sulla parola e sull’effetto che essa produce sul ricevente. Il
giapponese MasaruEmoto ha
compiuto degli studi in laboratorio sulle modificazioni dell’acqua a seguito
degli stimoli dati, “comprese parole amorevoli o parole offensive”. Nel primo
caso la “goccia d’acqua congelata” diventava una stella di ghiaccio, nel
secondo si trasformava in un ammasso informe. I messaggi dall’acqua
fanno riflettere sull’influsso che i vocaboli hanno sugli esseri umani, il cui
corpo è formato da circa il 70% di acqua.
La parola è
uno strumento di potere, può lenire o lasciare ferite. Il metalinguaggio
– secondo la Treccani – è il “linguaggio attraverso il quale è possibile fare
riferimento o fornire una trattazione o teoria (definendone sintassi e
semantica) di un altro linguaggio detto linguaggio oggetto”. Il
metalinguaggio è un linguaggio nascosto dentro un altro linguaggio il cui
studio ci aiuta a smascherare le vere intenzioni del parlante o dello
scrivente. Quasi sempre diciamo qualcosa per significarne un’altra.
Ferdinand de
Saussure asserisce il principio della interdipendenza tra «langue» e «parole», intendendo per lingua un prodotto
sociale, composto di segni, e per parola l’attività individuale che nella
comunicazione applica i segni e le regole della lingua. Le parole, secondo il
celebre linguista di Ginevra, hanno “la loro sede nel cervello; esse fanno
parte di quel tesoro interiore che costituisce la lingua in ciascun individuo”.
Allora se la
parola è il “regno delle differenze individuali”, un “tesoro interiore” che mi
permette di esprimermi in modo eterogeneo, come posso caricarla di senso per
farle sprigionare forza comunicativa ed evocativa?
È stato Roman
Jakobson – il fondatore del Circolo linguistico di
Praga, 1926 – a spiegare che “ogni atto comunicativo in realtà non contiene in
modo puro una sola funzione (sebbene una di essa sia predominante), ma
comprende in potenza tutti gli elementi e tutte le funzioni del modello
comunicativo”. Ciò implica che una poesia e un articolo di giornale possono
contenere la funzione emotiva (o espressiva), fàtica,
poetica, metalinguistica, referenziale, conativa.
Al riguardo,
si riportano i versi della maggiore scrittrice armena, Silva Kaputikyan (1919-2006), amata dal popolo e capace di
contestare il Presidente della Repubblica Robert Kocharyan,
per i metodi duri utilizzati nei confronti dei dimostranti del 12 e 13 aprile
2004. Silva, poeta, accademica e attivista, scrisse la lettera aperta Kocharyan Must Go, restituendogli il premio
del quale l’aveva insignita nel 1999.
Jean Cocteau, CorsaNero
La Kaputikyan, componente dell’Accademia Nazionale delle
Scienze dell’Armenia e membro dell’International PEN, è stata tradotta in molte
lingue e ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti. In Italia le è stato
attribuito il premio “Nosside”. Tra i suoi
componimenti più noti vi è “A word to my son” che, su
mia richiesta, il Prof. Kegham Jamil Boloyan ha tradotto di recente dall’armeno in italiano, con
il titolo “Messaggio a mio figlio”. La lettura del testo mi ha suscitato una
forte emozione, poiché in esso coesistono l’amore per il giovane, per la patria
e per la lingua materna. Il PEN Internazionale, con sede a Londra, dove è stato
fondato nel 1921 da CatharineAmy
Dawson Scott, è un’organizzazione di autori che si occupa di diritti umani e
della libertà di espressione di scrittori e giornalisti perseguitati o
minacciati per le loro idee.
Considerata
la sorte che un secolo fa è toccata a non meno di un milione e mezzo di
innocenti, tra cui molti intellettuali (parliamo del primo genocidio moderno),
trovo di considerevole impatto etico e poetico le parole della Kaputikyan:
…
Ascolta, figlio
mio, il messaggio per te
dal cuore
della tua amata madre,
da questo
giorno io ti affido
la preziosa
lingua Armena.
(…)
Con essa
tuonò
il canto di
battaglia della mia gente
Con essa, la
mia anziana madre mi mise nella culla un giorno
e te l’ha
trasmessa con il suo sussurro secolare
Apri la bocca
e parla, mio adorato
presto,
canticchia mio caro
lascia che
sia giovane ancora sulle tue labbra
La nostra
lingua Armena dai capelli grigi
Mantienila
alta e pura
come la
sacra neve dell’Ararat
tienila
vicina al tuo cuore
come le
ceneri dei tuoi antenati.
E contro
l’attacco del nemico
proteggila
con il tuo petto
come
proteggeresti tua madre
quando
minacciano la sua vita con una spada
E vedi,
figlio mio, non importa dove ti trovi
da
qualunque parte tu vada a vivere sotto la luna
anche se
dimentichi tua madre
Non
dimenticare mai la tua lingua materna.
Dagli stralci
suddetti si colgono un corredo linguistico e una eredità di sentimenti che
l’Autrice trasmette alle nuove generazioni. La parola si ammanta di luce e
diventa canto nonostante i richiami dolorosi. Il passato e il presente si
fondono e guardano al futuro. Talvolta una manciata di versi può essere più
efficace di una pila di volumi per sintetizzare le situazioni.
Umberto Eco
nella Prefazione a Parole di libertà, un’opera che raccoglie le
testimonianze di diciotto noti autori che hanno subito il carcere a causa dei
loro scritti, dichiara: “è che la
poesia fa paura ai regimi autoritari e dittatoriali anche se parla soltanto,
come nel caso di Zhiti, di rose”. Difatti, durante
gli anni del comunismo, il poeta albanese Visar Zhiti
fu condannato a dieci anni di prigione, perché le sue composizioni vennero
considerate “tristi ed ermetiche” e perciò ostili al regime. Il libro è uscito
con il contributo del PEN Club Italia onlus al quale
mi onoro di appartenere. A proposito della libertà di stampa, il nostro Paese
nel 2014 risulta al 73° posto nella classifica stilata da Reporters sans frontières. I giornalisti sono
querelati e minacciati.
Il Verbo o
Logos – “parola creatrice di Dio” –, come apprendiamo dal Vangelo di Giovanni,
è anche legge morale scritta nel cuore di tutti gli uomini che li guida a
discernere il vero dal falso, il bene dal male. Le parole, in quanto linguaggio,
ci accompagnano nel cammino della vita. Esse vanno nutrite e protette,
altrimenti periscono.
I bambini
nella società opulenta sono considerati più dei soggetti da trastullare che da
educare. L’informazione non si preoccupa abbastanza delle loro reazioni. I
piccoli sono persone con straordinarie capacità ricettive; assorbono anche
quando sembrano distratti. La pratica dell’insegnamento fa registrare una vasta
gamma di comportamenti sul campo.
I mezzi di
comunicazione di massa dovrebbero trasmettere informazioni, dati, verità, in
modo che il lettore possa orientarsi, formarsi un’opinione, sviluppare quella
che chiamiamo coscienza critica. Ciò non esclude che una testata possa avere
una sua linea, ma che non sia faziosa. Quello che nuoce è il messaggio occulto
(di cui si nutre tanta pubblicità).
I bambini (e
non solo) abbisognano di parole luminose, di parole di verità, di parole
ammantate di speranza. Non voglio significare che i giornalisti e i cronisti
debbano diventare per forza scrittori e poeti (se lo facessero non sarebbe un
male), ma sottolineare la necessità di una comunicazione non contaminata, che
si rivolga alla persona e non alla folla indistinta, che tenga conto della
sensibilità, delle emozioni, del fattore crescita del lettore o dello spettatore.
Creatività e linguaggio sono interconnessi.
Vorrei
soffermarmi sugli anglismi che sovente affogano gli articoli dei
giornali e le notizie televisive. Annamaria Testa, studiosa di comunicazione e
creatività, scrive: “In una società multietnica e in tempi di comunicazione
globale non è scandaloso che un codice linguistico sia aperto ai contributi di
altri codici. (…) Anzi: la capacità di accettare contributi da altre lingue va
considerata un segno di disponibilità verso competenze e culture diverse”. L’importante
è non esagerare o addirittura cadere nel ridicolo quando ci si affida al
traduttore automatico.
Noi ci
preoccupiamo dell’efficacia della lingua, ma, al contempo, dovremmo
interessarci alla sua sopravvivenza. Nel nostro Paese manca un’adeguata politica
di protezione e promozione. Ogni anno ne scompaiono tantissime, perché non
supportate. I sette miliardi di abitanti della Terra parlano all’incirca 7.000
lingue. Il 78% della popolazione parla le 85 lingue maggiori mentre molte altre
(da 1.000 a 2.500) sono a rischio di estinzione. Prevalgono le lingue che
dominano la comunicazione e gli affari. Per l’italiano, gli esperti prevedono
che nel 2050 il vocabolario da circa 270 mila parole si ridurrà a metà. Negli
ultimi settant’anni sono spariti pressappoco 200 dialetti.
Una lingua si
estingue quando non si parla più. Invece nel mondo digitale (familiare a
bambini e adolescenti) un idioma scompare quando è ‘ignorato’ dai software
linguistici che non gli danno il necessario supporto. Mancano cioè i software,
i sistemi per la traduzione automatica, etc. Parecchie lingue europee “hanno
risorse digitali inesistenti oppure deboli”
e, quindi, sono a rischio. L’italiano è stato valutato a “supporto moderato”.
Carlo Chiostri, illustrazione del Pinocchio
La scrittrice
e saggista Donatella Bisutti sostiene che le parole
si consumino, che siano diventate sempre meno “oggetti” e sempre più
“significati”, che diano sempre meno emozioni, perché parlano solo al nostro
cervello e alla nostra memoria-computer. A suo avviso, negli ultimi decenni la
società spersonalizzata e l’influenza dei media ne hanno accelerato il logoramento.
Ma torniamo
alla comunicazione come atto creativo che rispecchi la nostra visione
del mondo, il nostro essere e il nostro aprirsi all’altro. Torniamo alla
comunicazione improntata all’onestà e alla semplicità. A un linguaggio che
sappia sorprenderci. Montanelli interpellato da un lettore sulle difficoltà
della scrittura rispose: “quando mi metto a scrivere, lo faccio rivolgendomi a
un Tonino, per spiegargli le cose di cui lui sa poco, e che quindi gli debbo
anzitutto raccontare come le ho viste e capite: chiaramente e senza orpelli”.
I giovani
lettori hanno bisogno di una comunicazione autentica, che apra finestre sul
mondo, che – come recita la Lettera aperta del Forum “Bambini e mass media” –
“sappia cercare e trovare le parole giuste per raccontare anche l’orrendo e
l’irraccontabile”.
La
comunicazione interpersonale non è mai completamente sotto il nostro controllo,
siccome c’è l’interazione con l’altro che
ne contribuisce alla riuscita. Pertanto, condivido l’asserzione di Annamaria
Testa che “il modo della comunicazione diventa la comunicazione”.
Se
trasferiamo il concetto dalla comunicazione tra due parlanti al testo scritto e
agli organi di informazione di massa, comprendiamo quanto sia determinante il modo
del comunicare.
Oggi i
processi di identificazione sono dettati soprattutto dalla televisione che ci
impone di accettare acriticamente le sue regole. “Gli spettatori medializzati sono un popolo generico e globale che assiste da
ogni parte del mondo all’evento reale, in quel luogo e in quel tempo” (Mario
Ricciardi). Noi vogliamo invece, che l’informazione non sia “la merce più
preziosa” e che il “mondo nuovo” (quello dei media) educhi e formi i giovani
“ad essere cittadini del mondo, giusti e veri” (“La lettera di Bari”).
Non ci interessa
né l’umanità-spettacolo né la falsificazione della realtà. Ma è innegabile che
i media abbiano modificato il rapporto tra individuo e realtà. Noi chiediamo
agli operatori dell’informazione che facciano prevalere sempre il “senso umano”
e non la “logica mercantile”.
La società
del computer è una società di massa per la quale la persuasione è studiata nei
dettagli, giacché fa leva sulla “sensibilità emotiva”. Il dominio delle cose
appaga per pochi attimi, però lo spirito resta povero.
Nessuno deve
chiudersi alla speranza. Lo stesso sociologo canadese Marshall Mcluhan che ha studiato le conseguenze psicologiche e
sociali dei media, si è chiesto se la società tecnologizzata non possa fornire
l’occasione per riscoprirsi come persone, avendo “più tempo libero per
‘ritirarsi’ ed ‘entrare in sintonia’ con se stessi”. Purché, per usare i versi
patriottici di Jonas Savimbi – uno statista e
intellettuale che combatteva per l’indipendenza dell’Angola – nel frattempo non
“Si è fatto tardi per vivere l’aurora / di un domani migliore”.
Ho
frequentato a lungo lo scrittore e giornalista Lucio Lami, collaboratore di
Montanelli e inviato di guerra. Nella seconda aletta di copertina del volume Visti
& raccontati - 40 ritratti di
personaggi famosi nel mondo, annota: “Quel che mi ripropongo, dunque, è che
chi legge queste pagine si convinca che non si vive solo di Internet, ma che la
testimonianza diretta è parte essenziale e ineludibile della nostra
professione, per contrastata che sia dagli asfissianti condizionamenti politici
e dalle leggi del mercato”.
Oggi il
giornalismo da scrivania (o desk
giornalismo) è largamente praticato e supera di gran lunga quello di ricerca. I
redattori utilizzano le notizie, attingendo più o meno alle stesse fonti. Tale
pratica se da un lato riduce i costi di produzione, dall’altro aumenta i rischi
di omologazione. Ed è la deontologia a soccorrerci. Si dice che nella società
digitale il giornalista assolva alla funzione non più di mediatore, ma di re-mediatore
tra la rete e il lettore.
Io non sono
pessimista, dal momento che mi sono formata anche leggendo bellissimi ‘pezzi’
giornalistici. Per i più piccoli i pericoli in rete sono aumentati, il
linguaggio si è impoverito, ma ci sono le buone pratiche, le azioni di
contrasto, la prevenzione (in famiglia, a scuola, con l’ausilio della Polizia
postale e delle altre agenzie educative). Senza mollare la presa, bisogna
cogliere gli stimoli positivi dei mass media, e trasformarli in opportunità,
per dialogare con il mondo, ricordandosi che il vicino è fonte inesauribile di
meraviglia. L’essere umano è un microcosmo che la parola (leggera e rispettosa)
aiuta a scoprire.
Lo studioso
francese René Dubos quarant’anni fa ci incitava a
“scegliere di essere umani”. Dobbiamo seminare sempre. Educare i piccoli
lettori ai valori trascendenti. “Relativizzare le parole, è il primo compito
dello scrittore. Depurarle e restituirle pulite e diafane ai suoi lettori, è il
secondo. E il terzo forse sarebbe che quando manca qualche parola bisogna
inventarla” ha detto lo scrittore spagnolo Edorta
Jimenez. Comprendere l’altro ci fa “vibrare empaticamente”.
Pino Volpi (1938-1980), Senza titolo da "Appunti di viaggio"
Le tecnologie
sono artificiali. Tuttavia, per usare le espressioni dello storico delle
culture e dei problemi della comunicazione Walter J. Ong,
“La tecnologia, se propriamente interiorizzata, non degrada la vita umana, ma
al contrario la migliora. L’orchestra moderna, ad esempio, è il risultato di
un’alta tecnologia”. E noi amiamo ascoltare la buona musica. L’uso della
tecnologia, secondo Ong può “espandere lo spirito” e “intensificare
la vita interiore”. Gli effetti della stampa e del digitale sul pensiero
rendono sempre più necessaria l’etica nella comunicazione.
La scrittura
è una “tecnologia interiorizzata”. È da essa che la stampa e il computer sono
partiti. Le obiezioni che si rivolgono ai calcolatori, riferisce Ong, sono le stesse che Platone muoveva alla scrittura (del
tipo: la scrittura è disumana, distrugge la memoria, indebolisce la mente,
etc.).
Il giornalista
nel redigere il pezzo deve entrare nella mente di persone assenti e
sconosciute, parlare a quel “villaggio universale” di cui diceva McLuhan. Un compito arduo, visto che concorre a trasformare
le coscienze.
Noi
procediamo con fiducia, perché crediamo nelle risorse del cuore umano e nel
bene comune. I bambini vanno sorvegliati, ma non soffocati. L’ascolto può dare
esiti impensati. La parola nitida come la neve dell’Ararat può scaturire dal
silenzio e dall’ascolto dell’Io e dell’altro. La manipolazione fa leva sulla
fragilità dell’essere e sui sensi di colpa. Forse è pure il caso di educare i
ragazzi allo svelamento, a leggere tra le righe.
In questa
conversazione, avere esposto diversi punti di vista è stato un modo per
interrogarmi e di cercare qualche risposta. Senza giudicare, convinta che, come
asserisce Carl R. Rogers, “La tendenza a giudicare
gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione”. Lo
psicologo statunitense era particolarmente impegnato nello studio della persona,
della pace e della risoluzione dei conflitti.
Tutti gli
operatori della comunicazione possono contribuire, attraverso il linguaggio, a
che il nuovo Millennio non sia il tempo della sconfitta, della discordanza e
della solitudine, ma, nonostante la tragicità della storia, sia il tempo del ponte
e della speranza. Il filosofo tedesco Walter Benjamin ha scritto che la natura
piange perché è priva di lingua.
Per
concludere, vi porgo parole ricche di senso, parole incarnate che irradiano
bellezza. Una quartina di Maria Luisa Spaziani in
risposta a Sartre:
Assoluto
divieto di fare poesia
finché un
bambino morirà di fame.
Hai torto,
Sartre. Tanti bambini muoiono
perché il
mondo non sa di poesia.
E parole
scritte dal poeta yemenita esiliato MansurRajih, riguardo all’importanza del linguaggio e della
comunicazione. Lui che è stato quindici anni in carcere, per crimini non commessi,
e poi liberato, grazie agli sforzi di Amnesty e del PEN, sa come rivestirle di
luce. “Language”:
Non vedi?
Se non
potessimo enunciare
Come potremmo
cantare?…
Come potremmo
chiamare gli altri?
Parlare ai
fanciulli?
E come
condivideremmo i nostri sogni
Se non ci
fosse il linguaggio?
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Bibliografia:
1.Anna Guglielmi, Il linguaggio
segreto del linguaggio, Piemme, Milano 2014;
2. Annamaria Testa, Farsi capire, BUR, Milano 2009;
3. Mario Ricciardi, La comunicazione, Editori Laterza, Roma-Bari 2012;
4. AA.VV. (a
cura di M. Giaveri, C. Macconi,
M. Rosi), Parole di libertà, SE,
Milano 2010;
5. Donatella Bisutti,
La poesia salva la vita, Feltrinelli,
Milano 2010;
6. Lucio Lami, Visti & raccontati - 40 ritratti di personaggi famosi nel mondo,
Edizioni Ares,
Milano 2003;
7. AA.VV.,Libertà d’espressione, potere e terrorismo,
Atti della Seconda edizione del
Congresso della Cattedra dei diritti umani dello scrittore, PEN Club
Italiano, Milano 2006;
8. La
lettera di Bari del Forum “Bambini e mass media”, 3 giugno 2014;
9. Walter J. Ong,
Oralità e scrittura, Il Mulino,
Bologna 2012;
10. Antonio Prete, Meditazioni sul poetico, Moretti & Vitali, Bergamo 2013.
Relazione
tenuta da Anna Santoliquido nell’Aula Magna
dell’Università degli Studi Aldo Moro di Bari il 18 febbraio 2015, nell’ambito
della Prima edizione del Corso di Aggiornamento di etica e deontologia
professionale “Bambini e mass media”, riservato a giornalisti e insegnanti,
promosso dal Circolo delle Comunicazioni Sociali “Vito Maurogiovanni”,
in collaborazione con il Dipartimento di Scienze mediche di base, neuroscienze
e organi di senso dell’Università di Bari e l’Unione Cattolica Stampa Italiana
- Puglia.
Foto Antoski
Bari, 18 febbraio 2015. Aula Magna
dell’Università.
Da sinistra:
lo scrittore e giornalista Enzo Quarto,
Presidente del Circolo delle Comunicazioni Sociali “Vito Maurogiovanni”,
la scrittrice Anna Santoliquido
e la docente universitaria Silvana Calaprice, Vicepresidente del Comitato Italiano per
l’UNICEF.