di
Daniele Comberiati
Rachid
Djaoued è un ragazzo fortunato, oltre che coraggioso. All’inizio di ottobre infatti ha
ricevuto una bella lettera recapitatagli nell’abitazione in cui viveva, non
lontano da Tolosa, in Francia. Il timbro era della Prefettura locale. La
lettera era piena di elogi: veniva ringraziato per quello che aveva fatto e
soprattutto gli veniva promessa una ricompensa. Il giovane ventiquattrenne,
giunto in Francia nove anni fa dall’Algeria e da allora in attesa di un
permesso di soggiorno, ha forse pensato di aver finalmente trovato l’occasione
che cercava da tempo. Quale migliore ricompensa dei tanto agognati documenti?
Ancora non lo sapeva, ma era solo l’inizio di un incubo.
Ritorniamo ancora indietro, all’inizio di settembre. È l’una di notte, e Rachid passeggia in bicicletta accanto alla Garonne, il fiume che divide in due Tolosa. È un fiume
ampio, soprattutto nella zona di Tolosa, e piuttosto lungo (più di cinquecento
chilometri). Inoltre in prossimità delle zone urbane è molto inquinato, a causa
delle tante industrie che marchiano anche visivamente la zona e che in parte
scaricano nelle sue acque. La balneazione è vietata ed estremamente pericolosa.
In quel momento, Rachid vede un uomo annaspare nel
fiume. Non ci pensa due volte, scende dalla bici e si butta in acqua per
cercare di salvarlo. Per fortuna riesce a prenderlo prima che quello affoghi e
con enormi sforzi lo porta in salvo sul lungofiume. L’uomo però sembra avere
ancora difficoltà a respirare e allora Rachid gli pratica un massaggio cardiaco e la respirazione bocca a
bocca prima di chiamare l’ambulanza. A detta dei medici, è stata proprio la
respirazione assistita di Rachid a salvargli la vita.
Rachid però è andato oltre: dopo aver chiamato
l’ambulanza ha atteso accanto all’uomo l’arrivo dei soccorsi. È stato in questa
occasione che, come vuole la prassi legale, Rachid ha
lasciato i suoi dati e i suoi recapiti.
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Il fiume Garonne di notte a Toulouse
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Il caso è stato immediatamente mediatizzato. Non pochi giornali locali e in
seguito nazionali hanno raccontato, durante i giorni successivi, le imprese
“dell’eroe del Pont Neuf” o “eroe sans papiers”, come
è stato presto soprannominato. E anche in questo caso, il cattivo giornalismo
non si è fatto attendere: su quanti quotidiani e in quanti articoli i
giornalisti lo hanno descritto come un sans papiers “ma” dotato di grande
coraggio? In quanti casi il suo gesto (certamente coraggioso) è stato messo in
contrasto con la sua posizione giuridica? Un discorso per lo meno illogico, tra
l’altro: oggi per vivere in Francia senza un permesso di soggiorno ci vuole un
coraggio enorme. Fra controlli sempre più frequenti e (come vedremo) non sempre
legali, repressione nei punti di frontiera (il caso di Calais è sotto gli occhi
di tutti ormai da anni), una cultura generale che tende a considerare, in un
periodo di crisi, l’immigrazione come il vero problema della società, centri di
detenzione duri e talvolta senza regole, la vita per uno straniero in attesa di
documenti è diventata davvero difficile.
Recentemente “Le Monde” ha pubblicato un breve dossier sui sette cliché
sull’immigrazione in Francia, provando a smentire, punto per punto, i maggiori
stereotipi. Sembra di essere in Italia: i dati oggettivi non vengono quasi mai
presi in considerazione. Così il pensiero comune, anche se le cifre lo
smentiscono categoricamente, considera la Francia come il paese che accoglie
più stranieri, dove le pratiche per la nazionalità sono più semplici che
altrove, dove il sussidio sociale è elargito a tutti facilmente. E serve a poco
sapere che, dopo un controllo scientifico accurato, tali idee si rivelino
appunto supposizioni errate. Hervé Mariton, dell’UMP, per esempio, ha proposto poco tempo fa che
nessuno straniero che entra in Francia, sia esso regolare o irregolare, abbia
accesso ai servizi sociali contributivi prima di aver passato diversi anni sul
suolo francese.
La vicenda di Rachid, a ben vedere, si situa
perfettamente all’interno di questo discorso. Riprendiamo il filo degli
avvenimenti. È proprio grazie ai suoi recapiti lasciati la sera del salvataggio
che la lettera di elogio e promessa di ricompensa arriva a destinazione. Non
arriva solo la lettera, però. Anzi, già nella lettera, oltre alle lodi e alle
promesse, vi sono i segni chiari di ciò che potrebbe accadere: la Prefettura
infatti si congratula con il ragazzo, lodando il coraggio “civico” del suo
atto, ma si dice interessata a chiarire la sua posizione giuridica, visto che
sembra sprovvisto di documenti, di un domicilio legale e non si riesce ancora a
capire quale sia il suo paese d’origine. Inoltre, a quanto affermerà in seguito
la stessa Prefettura, Rachid è stato anche contattato
per telefono: gli viene prospettata la possibilità di una medaglia al valore
per il suo salvataggio, anche se si specifica che nessuna decisione ufficiale è
stata ancora presa in tal senso.
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Una vignetta di Mauro Biani, 2013
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Il 24 novembre, dunque pochissimi giorni dopo la lettera e la telefonata,
la situazione precipita. La gendarmeria all’alba fa irruzione nel Gers, un dipartimento della regione di Tolosa, dove Rachid vive da un amico, con l’ordine preciso di detenzione
in un centro nei dintorni di Tolosa e successivo obbligo di espulsione verso
l’Algeria. Ironia della sorte, è un’altra telefonata a salvarlo. Poco prima di
essere rimandato in Algeria, dopo aver passato alcuni giorni nel centro di
detenzione, dalla Prefettura lo informano che il suo obbligo di espulsione è
stato per il momento congelato. E non c’entra nulla, come afferma il suo
avvocato, il precedente salvataggio di settembre. È un vizio di forma a salvare
Rachid: i gendarmi che hanno fatto irruzione nella
sua abitazione non avevano alcun mandato e nessuna infrazione poteva
giustificarne la perquisizione. Tra l’altro, quando Rachid
ha mostrato alle autorità la lettera ricevuta dalla prefettura, la missiva è
stata ritenuta “discutibile” e ne è stata messa addirittura in dubbio
l’autenticità. Inoltre, caso alquanto strano, ora la lettera è scomparsa dal
dossier Djaoued. Il difensore della Prefettura,
davanti al giudice, ha provato a ribadire che, avendo avuto l’occasione, del
tutto casuale, di guardare dentro l’appartamento da una fessura della porta al
piano terra, i gendarmi hanno potuto ipotizzare che all’interno dell’abitato fossero
state commesse alcune infrazioni e per questo sono entrati. Per fortuna la sua
difesa non è stata ritenuta credibile dal giudice, che ha bloccato l’ordine di
espulsione.
La telefonata gli è giunta appena in tempo e Rachid
è stato molto fortunato a non essere rispedito in Algeria. Ma per quanto tempo
lo sarà ancora?