di Crescenzio Sangiglio
Nella regione dove si erge la catena montuosa di Rodòpi
(Ròdope) occupando la parte centro-occidentale della penisola balcanica, a sud
della Romania e della Serbia e a cavallo tra Bulgaria e Grecia, si trova
stabilita la popolazione dei Pomaki, sparsa tra Bulgaria e Grecia, in
prevalenza, e, in molto minor misura, nella Tracia orientale (Turchia), nella
FYROM e in Albania.
Secondo il censimento del 1991, i Pomaki sono
complessivamente circa 350.000 dei quali circa 45.000 in Grecia, circa 290.000
in Bulgaria e i rimanenti stanziati negli altri tre paesi succitati. La
maggioranza dei Pomaki, sopra tutto in Grecia, è di fede musulmana, mentre in
Bulgaria non pochi di loro negli ultimi due secoli hanno subito la coatta
bulgarizzazione e cristianizzazione in collettivi battesimi e cambi dei nomi.
Nella zona del fiume Evros (Maritza, in bulgaro), confine greco-turco, ad est
di Rodopi risulta stanziata la setta dei Pomaki Kisìlbassis, eretici musulmani con inspiegabili consuetudini
cristiane e lingua slava infarcita di termini greci antichi.
In sostanza la presenza dei Pomaki si estende in una
vasta regione che, dalla zona a sud di Filippòpoli (bulg. Plovdiv) giunge,
scavalcando la catena di Rodòpi, sino ad una fascia da nord-ovest di Xanthi
fino al limite orientale costituito appunto dal fiume Evros.
Le origini
Le origini della gente dei Pomaki cambiano a seconda che
ci si riferisca agli abitanti in Grecia, Bulgaria, Turchia, Albania e FYROM.
Ove si eccettuino questi ultimi due Paesi dove la percentuale pomaka è del
tutto irrilevante sia dal punto di vista politico che sociale, vere e proprie
teorie sull’origine dei Pomaki vengono sostenute con maggior o minor tasso di
convinzione storica e plausibilità in Grecia, Bulgaria e Turchia. (1)
Grecia. – Secondo gli studiosi, i Pomaki sono discendenti degli
antichi Agriàni, una popolazione
trace di particolare valentia guerriera, convivente con le adiacenti genti
elleniche, poi slavizzata dopo la discesa degli Slavi in Grecia nei secoli
VII-VIII d.C. e successivamente in prevalenza islamizzata durante il dominio
ottomano nei secoli XV-XVII.
Bulgaria. – Appartenenti invece al ceppo razziale bulgaro vengono
considerati i Pomaki da parte degli etnologi bulgari: più precisamente
sarebbero stati in origine bulgari slavi cristiani poi convertiti alla
religione musulmana, una parte di propria volontà, un’altra sotto l’effetto di
atti di violenza. Una seconda teoria invece ritiene che i Pomaki cristiani
bulgari abbiano in blocco abbracciato l’Islam per puri e semplici interessi economici:
in quanto musulmani le tasse erano quasi nulle o almeno facilmente sostenibili,
mentre in quanto cristiani l’imposizione tributaria era particolarmente
gravosa. Da tener presente, infine, che i Pomaki in Bulgaria sono bulgari a tutti gli effetti e pertanto
non vengono considerati minoranza.
Turchia. – Nell’ottica degli storici turchi i Pomaki altro non
sono che l’antica razza dei Turchi Kumani
stabilìtisi nella regione prima della conquista ottomana. La lingua slava che
parlano è quella appresa a seguito dei secolari contatti con le limitrofe genti
slave.
Varia. – L’origine dei Pomaki, infine, è diversamente
orientata nell’ex repubblica federativa popolare jugoslava di Macedonia (FYROM),
secondo cui si tratta di Slavi macedoni (?!) costretti a convertirsi all’Islam,
e nelle prospettive di altre teorie senza paternità nazionale, più o meno
fantasiose: si tratta di una razza ignota, non locale oppure di discendenti
dagli Arabi oppure addirittura di discendenti di Maometto venuti nella regione
per diffondere l’Islam!
Ai fini della certezza delle origini pomake sono stati
perfino eseguiti assai estesi esami del DNA in Grecia e in Bulgaria, i primi
per dimostrare la ellenicità dei Pomaki, i secondo la loro natura bulgara. Le
risultanze sono state ovviamente in vario modo contestate dall’una e dall’altra
parte interessata.
Il termine “Pomaki”
In greco: Πομάκοι, in bulgaro: Помаци,
in turco: pomaklar – una denominazione avvolta, ancor più che l’origine, nella
più completa incertezza terminologica ed etimologica. Oltremodo poi abbondano
le ipotesi. È illuminante una breve panoramica.
In ambito bulgaro, si presume che il termine provenga dal
verbo slavo pomoči, aiutare, in
quanto i Pomaki erano coloro che assistevano, che servivano gli altri. Una
seconda interpretazione fa discendere il termine dal bulgaro mak oppure pomagast, ossia tormentato,
servo degli altri, sottoposto, privo di propria entità. Un’altra spiegazione
viene proposta con la parola bulgara paturnjak,
cioè “colui che è diventato turco”.
Secondo, invece, una “versione” turca, il termine
“pomako” deriverebbe dal turco çomak,
bastone, manganello, mentre il punto di vista greco vi scorge una discendenza
dal greco antico απόμαχος, riferendosi alla formidabile cavalleria di Alessandro
il Grande costituita appunto da combattenti di origine pomaka, gli antichi Agriani. Infine un’altra interpretazione
greca individua nel termine “pomako” il significato di πόμαξ (πότης), ovvero bevitore,
conformemente all’accertata abitudine dei Traci a indulgere in abbondanti
libagioni, ciò che gli attuali Pomaki non esitano a considerare offensivo e
falso, mentre essi stessi, al contrario, non esitano a designarsi come Αχριάν (Achriàn), nel senso di Αγριάνες, Agriani, stirpe della Tracia antica, montanari e rudi
abitanti nella parte centro-ovest dei monti di Rodopi, nell’antichità noti
anche come Αγραίοι (Agrèi) e Αγριείς (Agriìs).
A nostro parere quest’ultima derivazione razziale sembra
essere anche la più convincente e scientificamente possibile. Non si dimentichi
peraltro che proprio entro tale cornice prospettica sin dal 1946 gli stessi
Pomaki ebbero a chiedere all’ONU di venir considerati di chiara origine greca
e, in quanto greci, di voler appartenere
alla Grecia stessa (a tal riguardo, v. infra
i tentativi dei Pomaki in Bulgaria).
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Il paese di Medusa, nella Tracia in territorio greco
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La lingua
Fino alla fine del ’900 la lingua dei Pomaki era priva di
redazioni scritte, espressa sostanzialmente nella sola forma orale, al pari dei
canti popolari. Solo nel 1996 appare la prima pubblicazione concernente la
lingua pomaka: un’opera in tre volumi edita a Thessaloniki (Salonicco) a cura
del maestro elementare Petros Theocharidis, primo e tra i più importanti
studiosi del popolo pomako e della sua cultura.
I primi due volumi costituiscono il primo dizionario
greco-pomako e pomako-greco, mentre il terzo espone la grammatica e sintassi
della lingua pomaka.
Il cospicuo inizio della presentazione pomaka produsse
negli anni successivi e sino ad oggi una ricca messe di manuali di grammatica,
favole pomake, giornali e riviste nonché canzoni tradizionali in lingua pomaka.
Chiaramente la lingua pomaka appartiene al ceppo slavo,
non però nella struttura cirillica bensì
in quella latina e, attualmente in Grecia, trascritta in caratteri greci. Vi
convivono elementi espressivi bulgari, serbi, greci, turchi e albanesi,
evidentemente acquisiti nella diuturna familiarità e prossimità (e spesso anche
promiscuità) con le corrispondenti nazioni. La lingua pomaka parlata nella
parte est della Tracia occidentale appare aver subìto una più spiccata
influenza della lingua turca, mentre quella parlata nella parte ovest rivela
una assai intensa presenza linguistica greca, perfino di origine antica oltre
che di reminiscenze traci.
Le analogie che riflettono precisi influssi ellenici si
riscontrano principalmente nelle due fondamentali categorie dei sostantivi e
dei verbi, il che possibilmente testimonia una stirpe (gli Agriani) per molti versi a lungo inserita entro le prevalenti etnìe
elleniche. D’altro lato, al contrario, palese e talora ossessiva è stata ed è
l’intenzione e la volontà degli studiosi bulgari di far comparire il linguaggio
pomako come immediato e diretto discendente dalla lingua bulgara e ciò quale
prova della esclusiva appartenenza dei Pomaki al ceppo bulgaro. Ovviamente in
questa tensione dialettica non si tiene alcun conto delle incongruenze,
inesattezze e sproporzioni in cui cadono spesso le loro elaborazioni
linguistiche.
A proposito dell’“inesistenza scritta” della lingua
pomaka, solo da un ventennio positivamente superata, giova spendere alcune
considerazioni illustrative e orientative quale comprova peraltro della
“situazione etnica” nella quale si è venuto a trovare il popolo pomako fino ai
tempi più recenti.
Ragioni sociali e ragioni politiche sono state
individuate (2) come spiegazione di tale inesistenza. Il punto di
partenza sta nel fatto che l’uomo pomako
sino agli ultimi anni ’80 del 1900 viveva quasi isolato sulle pendici della
catena montuosa di Rodopi, poco propenso a contatti con la circostante
evoluzione urbana della società. Socialmente, pertanto, il Pomako, fors’anche a
motivo della “propria psicosintesi e della coltivata immagine di sé”, si era
circondato da una annosa, cosciente arretratezza sociale, accentuata da
ineludibili ristrettezze economiche nell’isolamento ambientale montano nel
quale viveva e dal quale temeva di allontanarsi e perdersi (perdendo la propria
identità) nelle (più) progredite, non lontane società vallive.
Ne è conseguita la diffusione nella più ampia regione
della Tracia di una, più o meno sincera e/o interessata, “fama” di ignoranza e
inconsistenza etnica dei Pomaki, scaduti e dileggiati quali prototipi di
insipienza, inettitudine e inciviltà. Dentro questo coacervo di negatività
stirpale anche il pratico meccanismo di comunicazione, la lingua pomaka, veniva
coinvolta in una devastante critica di degradazione e avvilimento. Parallela ne
era altresì l’umiliazione della stessa identità etnica pomaka, una gente
acriticamente ritenuta “socialmente arretrata, economicamente inferiore,
civilmente inesistente”. (3)
Il fatto poi che la lingua suonasse in “modo slavo” non
pochi sospetti creava in una zona di confine come la Grecia del Nord, da
Thessaloniki al fiume Evros, dove le mire bulgare e jugoslave di sbocco sul mar
Egeo troppe minacce e collisioni avevano prodotto in ambiente greco, sia
governativo che della pubblica opinione, per non suscitare nei confronti degli
slavofoni Pomaki (anche se gli stessi sostanzialmente innocenti e non coinvolti
di propria volontà) sentimenti di avversione e diffidenza.
La lingua ne subiva il contraccolpo impersonalizzandosi
in una continua solitudine ideologica che escludeva qualsiasi possibilità di
riconoscimento topografico.
Al fattore sociale si aggiungeva poi anche quello
politico sin dai primi anni del XX secolo. Di solito la Grecia è appartenuta, e
apparteneva, ad un blocco politico opposto e ostile a quello dei limitrofi
Paesi slavi al nord, Jugoslavia e soprattutto Bulgaria, sì che le popolazioni
pomake slavofone come erano (e sono) e situate nello spartiacque dei due
blocchi politico-militari (NATO e Patto di Varsavia), non potevano che essere
inquadrate entro una inestricabile rete di riserve, sospetti e mai provate
ragioni discriminanti.
L’essere, infine, i Pomaki di fede musulmana non faceva
che peggiorare il riscontro della loro presenza in territorio greco giungendo
fino a produrre il sistematico impedimento, in ogni eventualità, di rendere
scritta la loro espressione linguistica: pertanto, l’orientamento religioso
implicitamente, ma spesso anche in maniera apertamente esplicita, veniva
comunque interconnesso con ogni risultanza proveniente dalla Turchia,
storicamente nemica della grecità.
In entrambe le situazioni la Grecia riteneva di avere
motivi più che validi per cercar di neutralizzare la presenza dell’elemento
pomako minimizzandolo al massimo: timore di sentimenti filobulgari, da una
parte, e timore di esaltazioni musulmane, dall’altra, costituirono, e
costituiscono (crediamo) fin nel più recente passato, la bilancia critica del
trattamento riservato dallo stato greco ai Pomaki. In ultima analisi,
attualmente, dopo gli effetti di due guerre mondiali, due guerre balcaniche e
una guerra civile, la “paura bulgara” per i Pomaki in Grecia s’è rivelata più
che altro infondata: i Pomaki continuano a parlare una lingua di costituzione
slava senza con ciò attentare alla sovranità, alla sicurezza e alla nazionalità
ellenica.
Non così invece per la “paura turca”: sembrerebbe ora
addirittura che nessuna paura del genere porti preoccupazioni allo stato e al
governo greco, visto che la stessa Grecia – sicuramente, come si usa dire,
“dàndosi la zappa sui piedi” – per ben due volte, nel 1951 e 1968, ha
acconsentito acché nell’interno della minoranza musulmana in Tracia
occidentale, ossia proprio entro i propri più critici confini statali,
l’istruzione possa essere impartita esclusivamente in lingua turca (sia pure
con l’obbligo di apprendimento di un po’ di greco!) arbitrariamente privilegiando i turcofoni a danno dei Pomaki e dei Romà, che non sono
turchi, né vogliono imparare il turco! Il che altro non ha fatto che rinforzare
e legittimare presso le istanze statali turche la volontà di omogeneizzare la comunità musulmana in Tracia con l’obbiettivo, non tanto celato, di
trasformarla in grande comunità nazionale
turca!, un salto di qualità non indifferente, attraverso due penetranti cunei
di azione: la voluta obliterazione di ogni altra diversa unità etnica (chiaramente:
i Pomaki e i Romà) nel corpo di un turchismo generale e propedeuticamente lo
“smaltimento” dell’islamismo di ogni altra diversa unità etnica nel
crogiolo-base dell’islamismo panturco. Una vera e propria spina turca nel
fianco ellenico.
Così, l’incuria politica fino ai primi anni ’80 (4)
ebbe modo di provocare, a carico della popolazione pomaka, il catastrofico
obbligo di adozione, in quanto gente di fede musulmana, della lingua turca (intesa
come unica lingua dell’Islam!) a
scapito della lingua greca producendo l’assurdità, unica su scala mondiale, di
un popolo di cittadinanza greca e religione musulmana, ma di lingua
artificiosamente turca, anziché rispettivamente pomaka e romanì come storia e
cultura testimoniano.
Certamente la mancanza sino a qualche decennio fa di
forme scritte della lingua pomaka (slava), per gran parte da attribuirsi
all’ostracismo imposto da varie autorità greche, locali e centrali, senza
dimenticare però anche il mirato intervento di tutti gli ambienti turchi attivi
in Tracia, rese possibile e più facile la “castratura linguistica” della
società pomaka in Grecia.
Solo nel corso degli anni ’80, pertanto, una certa
“liberalizzazione” del sistema politico in Grecia permise ai Pomaki di porre, e
di porsi, per la prima volta il quesito della propria identità etnica e
linguistica, soprattutto in antagonismo con lo spirito turcocratico
intensamente stimolato dal consolato turco a Komotinì e da varie adiacenti
associazioni d’interessi turco-musulmani.
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Bogutevo (1922)
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Gli accordi e protocolli greco-turchi del 1951 e 1968
vennero messi in discussione e contestati (e lo sono tuttora!) con una serie di
ragionamenti e sillogismi di puntuale attualità:
a) ai Pomaki è imposto di imparare il greco e il turco
nelle scuole “minoritarie”. Premesso che il greco è la lingua del luogo di
residenza e di cittadinanza e quindi va comunque appreso, i Pomaki si chiedono
perché debbano imparare anche il
turco malgrado che essi non si sentano turchi e per legge greca sono
considerati greci e non turchi?
b) perché in territorio pomako i mezzi di comunicazione
di massa non si riferiscono mai alla lingua, cultura e civiltà pomake, ma danno
ampio spazio solo a ciò che è turco?
c) perché vi sono programmi radiofonici oltre che
naturalmente in greco, anche in turco,
ma non in pomako, e questo neppure
nell’ambito della vasta zona di precipua abitazione pomaka? Perché i Pomaki
vengono considerati turchi quando non lo sono?
d) nell’importante settore giudiziario-processuale perché
vi sono interpreti/traduttori per i turcofoni che ignorano il greco e non vi
sono invece per i Pomaki, anche laddove questi costituiscono la maggioranza
etnica?
e) perché l’intervento turco ha potuto, consenzienti le
superiori autorità scolastiche greche (!), annullare l’intenzione e il progetto
di inserire nei libri di insegnamento del greco alle minoranze in Tracia anche terminologie pomake in
considerazione della nutrita presenza di tale etnìa nella regione?
Certamente altre domande ancora vengono poste in questa
direzione e rimangono senza risposta.
Solo verso la fine del 1900 (precisamente nel 1997) la
popolazione pomaka ebbe modo di acquisire nella pratica quotidiana e coltivare
titoli di identità etnica estrinsecatisi poi in organizzazioni associative,
manifestazioni culturali, edizioni linguistiche, creazioni radiofoniche,
trattenimenti musicali. La fondazione del Centro di Studi Pomaki a Komotinì
pose le basi per la “proiezione”, almeno in Grecia, dell’entità pomaka con la
sua storia, la sua particolarità razziale, le sue componenti culturali.
Con tutto ciò, mentre presso le radio private la musica pomaka
viene adesso correntemente trasmessa, la radiofonia statale ripetutamente ha
rifiutato di mandare in onda canzoni pomake. Il fatto che tali brani musicali
utilizzino testi di una lingua fondamentalmente e acusticamente slava sembra
che continui tuttora a costituire un insormontabile fattore proibente.
Sempre a Komotinì è stato pubblicato un libro di lettura
in lingua pomaka per alunni della prima classe elementare, smentendo così le
asserzioni ministeriali greche secondo cui “non esiste materiale didattico” per
l’insegnamento del pomako nelle scuole, il che evidentemente significa una pura
e semplice mancanza di volontà politica dello stato ellenico nell’affrontare
gli obblighi scolastici pomaki nelle loro reali dimensioni e termini.
Attualmente, dopo non poche edizioni di testi in lingua
pomaka, risulta essere prevalsa una forma arricchita dell’alfabeto latino nella
espressione scritta del pomako, evitando così pericolose affinità cirilliche
prossime alle grafie bulgara e serba. D’altra parte, degna di rilievo appare
l’opera del Centro Culturale di Sviluppo con sede a Xanthi, promotore di una
serie di pubblicazioni per l’insegnamento della lingua pomaka destinate ai
docenti greci in servizio nelle cittadine pomake (Πομακοχώρια) interessati all’apprendimento della lingua della
popolazione locale.
L’islamizzazione dei Pomaki
La popolazione pomaka non è stata da sempre musulmana. Il
Cristianesimo fu la sua originaria fede religiosa nelle regioni pomake dei due
versanti, a nord e a sud, della catena montuosa di Rodòpi.
L’islamizzazione in quella regione settentrionale della
Grecia si estende nel tempo praticamente dal XIV fino al XVII secolo. Dopo il
1371 bande di irregolari turchi “conquistatori” (γαζής, gasìs, pl. γαζήδες, gasìdes) provenienti da oriente oltrepassano il fiume
Strimònas devastando ogni cosa al loro passaggio e vessando oltremodo le
popolazioni cristiane locali, preludio all’invasione vera e propria
turco-mongola dei Juruki, pure da oriente,
la quale, iniziata dopo il 1385 sotto il sultanato di Murat I, proseguì poi con
il sultano Vajazit I con l’occupazione dell’intera striscia montuosa da Kavàla
a Serres, a settentrione del lago di Langadàs.
Praticamente quindi la prima conversione collettiva
all’Islam avvenne in Macedonia centrale a seguito delle insopportabili
pressioni esercitate appunto dai Juruki
sui cristiani, condotti alla totale disperazione nel clima di violenza e
terrore instaurato in città e campagne. E indiscutibile fulcro nel processo di
islamizzazione costituì la milizia dei Jenìtseri
(Yeni Çeri = giovane esercito), in italiano Giannizzeri,
creato dal sultano Orchan (1327-1360) con il preciso compito e dovere di
premere le genti cristiane tanto da costringerle a rinnegare la propria fede
per non subire distruzioni, torture e morte.
Così la fase iniziale della violenta islamizzazione aveva
luogo con l’obbligo dei genitori di ragazzi cristiani di “cederli” ai servizi
militari turchi presso i quali veniva loro impartita la più stretta e capillare
educazione ottomana, teorica e pratica, tanto da trasformarli nella più temuta,
fanatica milizia turca, appunto i famigerati Giannizzeri. Uguale trattamento subivano anche i giovani cristiani
caduti prigionieri, anch’essi inquadrati, dopo un opportuno “allenamento”, nel
corpo dei Giannizzeri, un corpo di soldati il cui organico inizialmente
composto da un migliaio di unità, con il passar degli anni crebbe a dismisura:
circa 13.000 durante il sultanato di Murat II (1421-1451), 48.000 durante Murat
III (1573-1595), 70.000 sotto Mustafà II (1695-1702), 80.000 con Ahmet III
(1702-1730), 110.000 sotto Selim III (1789-1808), addirittura 140.000 con il
sultano Mahmut II nel 1826.
S’è detto poco sopra dell’obbligo di “cessione” dei
ragazzi maschi ai servizi di leva turchi. In sostanza si trattava di un vero e
proprio ratto elevato a sistema. La prima “raccolta” di giovani cristiani
avvenne sotto Murat I (1360-1389), nei secoli successivi divenne metodica
prassi, si direbbe d’obbligo, sopra tutto sotto Selim I (1512-1520) e Suleiman
I (1520-1566). Da allora la “raccolta” era fissata ogni cinque anni, ma
successivamente scese ad ogni biennio e perfino ogni anno, a seconda delle
esigenze militari. Nel XV secolo quando fruirono di esenzione dalla “raccolta”
gli ebrei e gli armeni, l’intero peso della “operazione” cadde sui soli
cristiani. Soltanto i cristiani residenti a Costantinopoli e all’isola di Rodi
non venivano “arruolati”.
Per quanto concerne le popolazioni montane dei Pomaki, la
loro islamizzazione iniziò nel XVI secolo sotto la spinta dell’esercito turco.
Una prima fase si concluse nel XVI secolo, durante il sultanato di Selim I,
mentre la seconda fase ebbe luogo nella seconda metà del XVII secolo, sotto Mahmud
IV (1648-1687). Sembra comunque che durante la prima fase l’adesione all’Islam
sia stata assai mediocre. L’islamizzazione collettiva avvenne invece nel ’600,
a quanto pare sotto l’assillo della sopravvivenza, sia pure nella sola zona
pomaka a nord dei monti di Rodopi, in territorio bulgaro, ove si consideri la
realtà dei fatti narrata nei Codici della
Metropoli di Filippùpolis (oggi: Plovdiv) e confermata dallo slavòlogo ceco
Konstantin Josef Jireček: intorno al 1650 i maggiorenti pomaki chiesero
alle autorità turche di voler aderire all’Islam malgrado l’intervento
dissuasivo dell’arcivescovo di Filippùpolis, Gavriìl (1636-1672). Sembrerebbe
che i motivi di sopravvivenza addotti dai maggiorenti attenessero non tanto a
pressioni religiose ottomane quanto alla generalizzata oppressione etnica
esercitata dall’elemento bulgaro locale, sì che l’islamizzazione ottenuta
equivaleva propriamente ad un “ombrello” di protezione dalle vessazioni
bulgare. La solenne cerimonia della circoncisione dei maggiorenti significò la
conversione di tutti gli abitanti pomaki della regione all’Islam.
Non così invece accadde in territorio pomako greco a sud
di Rodopi con molta probabilità a causa della resistenza di quei pomaki
cristiani: qualche anno più tardi, nel 1656, l’attacco di forze militari turche
condusse alla violenta islamizzazione dei maggiorenti pomaki e degli altri
abitanti. Lo sradicamento del cristianesimo in territorio pomako portò alla
distruzione di 218 chiese e di 336 cappelle. Ancor oggi ne sono visibili le
rovine. In ogni modo, non sempre l’islamizzazione ebbe esito positivo,
volontario o coatto. Molti Pomaki scelsero la morte, di solito precipitando da
qualche dirupo (non dimentichiamo che gli originari Pomaki erano montanari):
alcuni luoghi di sacrificio sono il Momtsi
Kamen presso la cittadina di Orèon, la Cima
Marina presso Eòra, il Tserven Kamen
a Màndena, il Gulem Kamen a Glàfki,
tutte località intorno al capoluogo di provincia Xanthi.
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Grashevo (1927)
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Storia
Se, da una parte, le popolazioni pomake sono, nella loro
maggioranza, di fede musulmana (oggigiorno ormai risultano indifferenti e
ininfluenti le modalità di tale islamizzazione), non è possibile, dall’altra,
passare sotto silenzio una realtà notevolmente rilevante: l’aspirazione e la
volontà dei Pomaki, sin dal XIX secolo, di essere incorporati in uno stato
greco, di farne parte integrante, rifiutando nel contempo, almeno fino al primo
ventennio del XX secolo (1920 – dopo la prima guerra mondiale) qualsiasi
appartenenza alla Bulgaria.
Già ai primi del 1878, durante la guerra tra Russia e
Turchia in diverse regioni greche, specie nel nord del Paese (Macedonia,
Epiro), ma anche nel centro (Tessaglia) e nel sud insulare (Creta) si
verificarono moti insurrezionali contro il dominio ottomano. Anche i Pomaki,
montanari di Rodopi, si sollevarono nell’intenzione di forzare e prevenire una
loro futura unione con la Grecia. La sommossa non fu coronata da successo, frustrata dalle
previsioni del Trattato di Santo Stefano per le quali tutta quella regione pomaka era destinata a far
parte della Grande Bulgaria.
Non rimase loro che trincerarsi dietro una reazione di
autodipendenza bloccando tutti i passi sulla catena di Rodopi e istituendo una
Autonoma Repubblica Pomaka comprendente 21 paesi, in ciò ispirati e indotti
soprattutto dalla Gran Bretagna i cui interessi non potevano tollerare una eventuale
espansione russa nel sud del settore balcanico. La Repubblica fungeva ben da
diga protettiva.
Purtroppo la vita di questa Repubblica ebbe termine nel
settembre 1885, quando la regione della Rumelia Orientale fu annessa alla
Bulgaria e quei Pomaki rimasero ingabbiati e definitivamente incorporati nello
stato bulgaro.
Anche nel 1919 i Pomaki e i turcofoni della Tracia
Occidentale (5) in una petizione al parlamento bulgaro ebbero a
chiedere di essere liberati dal dominio bulgaro, postulando nel contempo
dapprima l’occupazione interalleata della Tracia e la sua successiva
“concessione” alla giurisdizione ellenica. La richiesta rimase senza
sostanziale esito. Fu ripetuta dopo la fine della seconda guerra mondiale,
nella Conferenza di Pace a Parigi nel 1946, mentre un formale appello al
Consiglio di Sicurezza dell’ONU fu presentato, insieme a paralleli passi presso
il Ministero degli Esteri degli USA, con l’istanza di liberazione dalla potestà
bulgara e l’inserimento nella regione pomaka greca mediante referendum.
Una simile soluzione avrebbe significato altresì e sopra
tutto la concessione vera e propria alla Grecia di un cospicuo territorio
bulgaro a nord di Rodopi, cosa che nell’“economia” dei piani delle “Grandi
Potenze” era escluso che potesse trovar accoglimento. Infatti, per ulteriore
sfortuna dei Pomaki bulgari, l’iniziativa fu del tutto ignorata, “superata” dalle
risultanze della precedente Conferenza di Yalta, in Crimea (febbraio 1944) che
“distribuì” le “zone di influenza” in Europa tra gli allora alleati Occidentali
e Orientali!
Andando a ritroso, comunque, merita pur un breve cenno la
rivolta pomaka nell’agosto 1913, potenzialmente promettente dopo l’occupazione
di tre importanti centri urbani in Bulgaria (Kossùkavak, Mastanlì e Kàrzali) e
di altrettanti in Tracia greca, ma sotto occupazione bulgara (Komotinì, Xanthi
e Alessandropoli) e l’istituzione ufficiale, il primo 1o settembre 1913,
della Amministrazione Provvisoria della
Tracia Occidentale. Sia la Grecia, però, che il governo ottomano ignorando
del tutto gli insorti Pomaki, ne decretarono la sconfitta e la resa di tutta la
regione all’esercito bulgaro intervenuto indisturbato il 30 ottobre 1913.
Non bisogna dimenticare che negli anni 1912-1913, che
precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale e durante i quali si svolse
la prima guerra balcanica, la politica bulgara in tutta la zona abitata da
Pomaki musulmani era incentrata nel duplice sforzo di rendere di nuovo
cristiane quelle popolazioni islamizzate e altresì bulgarizzarle a tutti i
costi. A tale scopo numerose cerimonie di battesimo di gruppo venivano
organizzate durante le quali alla riacquisizione della fede cristiana veniva
aggiunto il cambio del nome musulmano in un nome bulgaro secondo la legge e la
chiesa bulgara.
I Pomaki e la Grecia
In linea generale l’atteggiamento ufficiale dei governi
greci nei confronti dei Pomaki è stato in ogni tempo discriminatorio e
negativo, senza particolari manifesti motivi, mentre nell’interscambio
rapportuale con e tra Pomaki e turchi, la bilancia del favore pende addirittura
– si direbbe contro natura e contro ogni logica – dalla parte turca lasciando
la parte pomaka in una permanente situazione di stallo politico, culturale e
confessionale.
Appare chiaramente la (non dichiarata) volontà ellenica
non solo di abbandonare la gente pomaka, ma anche di rendere sempre più facile
la sua caduta nel soffocante abbraccio assimilante della Turchia (e ciò
addirittura entro i confini nazionali greci!!) che si presenta, indubbiamente
in modo del tutto interessato, come il “naturale protettore” dei musulmani
dovunque essi si trovino e a più forte ragione in Grecia e perfino quando non
si tratta di turcofoni ma chiaramente di altre, del tutto diverse etnie!
Entro tale prospettiva di particolare importanza e
conseguenza è stata la decisione del governo greco sin dal 1954 di far cambiare
la denominazione delle scuole musulmane
in scuole turche (!) con
l’asserzione, evidentemente cervellottica, che in tale modo veniva posta una
esplicita distinzione dalle scuole musulmane in Bulgaria!!
Un anno dopo, nel 1955, ed a completamento
dell’intenzione greca di formalizzare
una “contiguità” (indipendentemente dall’esser questa fittizia e artefatta) tra
alfabeto pomako e alfabeto turco, venne disposto un programma di conferenze per
i maestri elementari pomaki al fine della adozione nell’alfabeto pomako dei
caratteri grafici latini utilizzati
nell’attuale alfabeto turco.
È palese, da quanto precede, la preferenza greca verso i
pur atavici nemici turchi, ma di orientamento politico affine, anzichè verso i
bulgari – e i Pomaki vengono senza troppe sottigliezze assimilati ai bulgari –
anch’essi tradizionali nemici, ma di orientamento politico avverso (comunista o
comunque di sinistra): nessun governo greco, infatti, avrebbe potuto agire
diversamente tenuto conto che tutti i governi greci dalla fine della guerra civile
(1949) in poi e fino al 1982 erano fedeli seguaci della più stretta ideologia
della destra conservatrice e perfino dittatoriale, di ispirazione e impulso
angloamericani, dogmaticamente ostili al contrapposto blocco
sovietico-comunista.
Nel 1995, ancora sulla base di un accordo greco-turco, e
in considerazione del fatto che, malgrado tutte le pressioni greche
l’alfabetizzazione latina della lingua pomaka non sembrava aver dato i frutti
sperati, il ministero ellenico della pubblica istruzione ordinò
l’organizzazione di apposite conferenze in Tracia occidentale per prescrivere
ai maestri pomaki l’adozione della grafia latina, alla stregua della grafia
turca. Un altro manifesto indicatore del favore che continuava ad essere
concesso dalle stesse, massime autorità pedagogiche greche alla lingua turca
nella sua forma latina istituita da
Mustafà Kemal a evidente danno della lingua originaria dei Pomaki.
È appena il caso di ricordare, andando un attimo a
ritroso nel 1973, come l’introduzione dell’alfabeto latino e della lingua turca
nelle scuole pomake coincise con la visita in Tracia occidentale dell’allora
ambasciatore turco ad Atene, Ghiurùm.
Peraltro, e a conferma – se ve ne fosse bisogno – del
trattamento per lo meno iniquo riservato dalla Grecia ai Pomaki, oltre
naturalmente al noto ostracismo alla loro lingua, risulta la limitazione
territoriale e l’isolamento che gli stessi furono costretti a subìre fino al 1996,
quasi una segregazione individuale e collettiva in piena fine del XX secolo nel
Paese europeo culla della democrazia, tale da sembrare incredibile e in ogni
modo ampiamente inammissibile e intollerabile: il semplice accesso alla regione
delle cittadine pomake nel comprensorio di Xanthi oltre a non essere libero,
era altresì incanalato in una ben definita direzione stradale chiusa da una
sbarra (in greco, la famigerata μπάρα), una specie di posto di frontiera nell’interno stesso
del territorio greco (!) per superare il quale era obbligatoria l’esibizione di
un documento personale e del permesso di accedervi fornito dalla Direzione
della Polizia di Xanthi! Un vero e proprio apartheid
imposto dal governo greco ai Pomaki musulmani (ma anche cristiani), di
lingua slava ma cittadini greci (sulla carta) per lo stato civile.
Comportamenti del genere da parte ellenica, non troppo
lontani dall’essere specificati come reati, sono stati capaci di produrre
presso le popolazioni pomake fino agli ultimi 2-3 decenni, molteplici reazioni
e tendenze di adesione alla propaganda nazionalista neoturca e di assenso alle
lusinghe generosamente concretate in una serie di vantaggi e utilità consentite
ai turchi, ma non ai Pomaki stessi!
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Un gruppo di bambine Pomaki in costume locale
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L’insegnamento scolastico
Un settore, nei rapporti greco-pomaki, in cui
l’atteggiamento delle autorità elleniche – da quelle ministeriali a quelle
prefettizie, comunali e di sicurezza – rivela, si direbbe, irrisolti pregiudizi
verso i Pomaki, ancora e tuttora ritenuti, per quanto strano e assurdo possa
ciò apparire, bensì cittadini greci, ma estranei al complessivo corpo nazionale
greco, e questo unicamente sulla base di indimostrate (e mai discusse) problematiche politiche
e linguistiche e, in minor misura, confessionali (6) , è senza dubbio
quello dell’insegnamento scolastico.
Pregiudiziali agli sviluppi del discorso che seguiranno,
tre quesiti sono insistentemente posti e a tutt’oggi regolarmente (7)
ignorati dalle competenti autorità elleniche:
1) fino a quando gli alunni pomaki greci saranno
obbligati a frequentare scuole elementari minoritarie turcofone?
2) fino a quando lo stato greco li costringerà ad
imparare una lingua (8) diversa da quella della patria (Grecia) e diversa
dalla loro lingua materna (pomaka)?
3) fino a quando il ministro della P.I. continuerà a
tacere di fronte alle istanze dei Pomaki greci affinché scuole pubbliche greche
siano create nelle cittadine pomake, anziché scuole minoritarie bilingui che condannano
i bambini pomaki all’ignoranza?
Non c’è dubbio che la generale situazione relativa
all’istruzione pubblica elementare nella regione della Tracia occidentale
scaturisca (ancor oggi se ne sentono gli esiti) dalle risultanze e dagli
effetti della lunga Guerra Fredda seguita al 2o conflitto mondiale,
quando il solo fatto di appartenere al “blocco orientale” era, in un paese come
la Grecia, “dedicato” all’occidentalismo anglo-americano, primario pretesto per
procedere ad esclusioni e persecuzioni.
Nel contempo non bisogna dimenticare che in quegli anni di sguardi in cagnesco
tra vicini, in particolare nei Balcani, ciò che era slavo era comunista tout court, e i Pomaki, con sentimenti
filogreci ma di lingua slava non potevano certamente sfuggire a questa ferrea
regola.
Da allora data la prima penetrazione in Grecia della
lingua e cultura turca, ulteriormente poi rafforzata nell’ambito del Patto
Atlantico (NATO). Entro questa cornice ideologico-politica il problema dei
Pomaki musulmani non era certamente ammesso che potesse creare attriti con un
membro dell’Alleanza così importante per posizione geografica come la Turchia
il cui fine sin da allora consistette, e a tutt’oggi consiste, nella
trasformazione dell’elemento religioso
pomako in elemento eminentemente nazionale
turco, ossia nella considerazione che i Pomaki musulmani per il solo fatto
di essere musulmani dovevano essere
anche turchi e non greci.
L’obbligo di coesione ‘natoica’ imponeva alla Grecia di
coltivare, perfino unilateralmente (!), un buon clima nei rapporti con la
Turchia, di non dare fastidio alla Turchia per “futili” questioni pomake, anche
se questo in realtà faceva comodo alla stessa Grecia per la quale i Pomaki
rappresentavano degli intrusi slavi, virtualmente pericolosi quale possibile longa manus della Bulgaria, e pertanto
era sentita la necessità di isolarli e lasciare che di essi se ne occupasse la
Turchia assumendosene il loro “gravame etnico”.
In questa direzione procede quindi, nel 1954, l’ordine
proveniente dal capo del governo greco, maresciallo Papagos, di utilizzare a
tutti i livelli pubblici e privati “da ora in poi e in ogni caso il termine turco anziché il termine musulmano e... sostituire in tutta la
regione le svariate denominazioni come Comunità
musulmana, Scuola musulmana, ecc.
con Comunità turca, Scuola turca, ecc.!”
In sostanza, già da allora, sessanta anni fa, la Grecia
diventava succube delle mire turche, comunque già dal 1951 in parte realizzate
nella pratica quotidiana se si tiene conto del fatto che a seguito dell’Accordo
Culturale greco-turco del 20.4.1951 e sebbene questo non prevedesse affatto che
la lingua turca dovesse essere la lingua ufficiale della minoranza musulmana in
Tracia occidentale, nella prassi e tacitamente il governo greco assentì
all’espansione nelle scuole minoritarie della lingua turca e addirittura
accettò acché il relativo programma didattico da seguire provenisse dal
Ministero turco della pubblica istruzione!
Un ampliamento ancora in favore della parte turca avvenne
poi con il Protocollo Culturale scambiato tra i due Paesi il 20.12.1968 in base
al quale venne raggiunta la completa turchizzazione dell’istruzione minoritaria
in Tracia, una turchizzazione che coinvolse non soltanto il 50% turcofono della
minoranza, ma anche – per quanto assurdo e ingiusto possa ciò risultare –
l’estraneo rimanente 50% composto da 35% di Pomaki e 15% di Romà.
Tutto questo con le benedizioni del governo ellenico e
senza mai chiedere a questo secondo 50% se desiderasse o no (se si sentisse o
no di) appartenere al mondo turco! In tal modo viene introdotta la lingua turca
quale unica lingua minoritaria benché
costituisca lingua madre solo del 50% della minoranza, del tutto ignorando
l’esistenza e i diritti delle altre due lingue minoritarie che con quella turca
non hanno nulla a che vedere, anzi arbitrariamente e completamente comprimendole con l’evidente
fine di eliminarle lasciando il “monopolio” alla minoranza linguistica
turcofona.
La scuola minoritaria
A livello elementare le scuole minoritarie (9)
istituite dal governo greco all’attenzione delle minoranze in Tracia appaiono,
visti i risultati raggiunti, del tutto insufficienti e inidonee per un
programma di istruzione di buon contenuto.
Il grave handicap
di tali scuole sta nell’aver fissato quale lingua minoritaria per tutti –
turcofoni, Pomaki, Romà – appunto la lingua turca, insegnata insieme ad una
rattoppata lingua greca. Donde la loro denominazione di scuole bilingui.
Chiaramente si tratta di un indirizzo didattico del tutto
deficiente e addirittura pericoloso, giacché presso i turcofoni produce intense
tendenze all’autoesclusione e trinceramento dietro ad irrisolte, si direbbe
irridentistiche istanze etniche, mentre i Pomaki e i Romà – stabili e tipici
abitanti della regione – sono destinati ad incontrare insuperabili difficoltà
nella successiva istruzione secondaria greca a causa dello scadente e
incompleto insegnamento in lingua greca ricevuto, inadatto al proseguimento di
studi a livello superiore. Ne risulta, in questo caso, una non rara
ghettizzazione sociale i cui risvolti non possono che essere deleteri per
Pomaki e Romà, incoraggianti invece e favorevoli per la politica turca in
Tracia nella prospettiva che Pomaki e Romà non trovando sbocchi di sviluppo e
progresso in ambito greco per le ragioni or ora cennate, cedano facilmente alle
(unica alternativa!) lusinghiere proposte e offerte turche.
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Un battesimo nel villaggio di Banite
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Non senza ragione è stato affermato che le scuole
minoritarie “condannano alla semignoranza, chiudono gli orizzonti conoscitivi
degli alunni... aggiungono fanatismo, detraggono cognizioni, moltiplicano la
confusione, creano i ‘noi’ e gli ‘altri’, aggiungono ideologie kemaliste,
tolgono il pensiero critico”. (10)
Nel 1996 fu presentato il Programma di istruzione dei
bambini musulmani denominato “Frangudaki-Dragona”, dai nomi dei due promotori,
nel quale compare l’assurdità dell’utilizzazione della lingua turca come
esclusiva lingua d’appoggio nell’apprendimento della lingua greca!
Complementare è stata l’edizione di dizionari bilingue greco-turchi e
l’organizzazione di seminari di lingua turca per gli insegnanti greci!
Decisamente il colmo del paradosso in questa metodologia
assolutamente antiscientifica e antiellenica che dal medesimo stato greco parrebbe
appositamente dedicata alla
turchizzazione delle scuole greche in Tracia.
In tutta obbiettività, nondimeno, non può non
riscontrarsi la piena inefficacia di simili “programmi” il cui accoglimento da
parte dell’elemento non turcofono sembra sia stato del tutto negativo
evidenziando l’inconsistenza pratica e teorica di fondo della stessa struttura
di base, ossia la c.d. “scuola minoritaria”. Il fallimento di questa, da più
parti ormai assodata, fa sì che la più sensata decisione da parte greca sarebbe
quella di:
a) istituire in tutta la regione pomaka scuole elementari
statali greche nelle quali accogliere gli alunni Pomaki che sentono di essere
greci (e sono molti);
b) in tali scuole
elementari creare consistenti corsi per l’insegnamento della lingua materna
agli alunni Pomaki e Romà quali lingue complementari.
L’insegnamento del turco valga solo per i musulmani
turcofoni, quale lingua complementare alla lingua greca, prima lingua dappertutto
ovviamente in Grecia, anche per in turcofoni musulmani che pur sempre sono di
nazionalità greca. A nessun livello scolastico, invece, va insegnata la lingua
turca ai Pomaki greci di madrelingua pomaka che rifiutano il turco.
c) applicare una istruzione prescolastica in lingua greca
nelle scuole materne statali da creare in tutta la regione pomaka;
d) fare immediatamente funzionare le quattro scuole
statali elementari greche, istituite sin dal 2007 ma mai sinora funzionanti;
e) per i pomaki greci non turcofoni, eliminare la lingua
turca a livello elementare e stabilire l’insegnamento della lingua pomaka (vedi
b);
f) rispettare e applicare le previsioni della Convenzione
di Losanna in merito al carattere
musulmano della minoranza pomaka in Grecia e non nazionale turco;
g) insegnare la lingua pomaka sulla base di un alfabeto
speciale greco da utilizzare altresì nelle amministrazioni pubbliche in tutta
la regione pomaka (come l’italiano-francese in Val d’Aosta e l’italiano-tedesco
nell’Alto Adige, in Italia).
Tutto ciò naturalmente in applicazione delle
raccomandazioni della International
Convention on the Elimination of all Forms of Racial Discrimination dell’ONU in data 28.8.2009, secondo cui “La
Commissione prende nota che la comunità musulmana della Tracia occidentale è
composta dai gruppi etnici dei Turchi, dei Pomaki e dei Romà e il governo
[greco] deve assicurare il loro diritto ad usare le loro lingue”, in ciò
ribadendo l’art. 41 della stessa Convenzione di Losanna.
A questo proposito dunque se per i musulmani turcofoni nulla quaestio, visto che la lingua
turca viene più che ampiamente (certamente più del normale) insegnata e
diffusa, non così succede per i musulmani pomakofoni e romà le cui lingue,
pomaka e romanì, non esistono in
nessuna scuola!
Al paragrafo 28 infine della stessa raccomandazione viene
richiesto al governo greco di applicarne gli esiti entro il 18 luglio 2013. (11)
A questo punto ed in connessione con quanto precede, non
sarebbe ozioso precisare alcuni parametri non meno importanti nella generale
tematica dell’istruzione primaria in Tracia. Non vi è alcun dubbio che nelle
scuole minoritarie così come sono attualmente strutturate viene “costruita” una
vera e propria identità turca ad uso
e consumo del governo di Ankara. È vero pertanto che nelle medesime scuole non
poche manifestazioni di stile kemalista vengono attuate ispirando negli alunni
musulmani sentimenti di fanatismo religioso verso i cristiani. Malgrado tutto,
prosegue il funzionamento anticostituzionale delle scuole minoritarie nelle
quali lo stesso elemento greco-pomako viene discriminato. Peraltro, le scuole
minoritarie sono chiaramente illegali in quanto, giusta gli accordi
internazionali e la legislazione istitutiva, si tratterrebbe di scuole a
carattere privato il cui funzionamento deve essere ovviamente a carico di
coloro che vi mandano i figli: in realtà, invece, tutte le spese scolastiche
vengono sostenute dallo stato ellenico e sono quindi a completo carico del
contribuente greco, ma a totale favore della politica turca!
Il consolato turco a Komotinì
Prima di
concludere la presente panoramica sul popolo dei Pomaki in cerca di un ubi consistam, in pratica di un
legittimo riconoscimento della sua qualità di greco-pomako, non sarà
inopportuno soffermarsi brevemente sulla presenza e attività del consolato turco
a Komotinì i cui “interventi” spesso e volentieri vanno ben oltre i limiti
previsti dall’ordinamento consolare internazionale.
Sia per quanto concerne la politica seguita dal governo
greco in Tracia occidentale, sia in relazione alla condotta di organismi
statali e privati turchi nella medesima regione, vale la pena, crediamo,
conoscere lo stato di cose vigente nello spazio dei pomakochòria (πομακοχώρια), paesi pomaki, seguendo le testimonianze scritte degli
stessi Pomaki interessati nella loro diretta, annosa esperienza a contatto con
una realtà, a quanto sembra, spesso
davvero poco piacevole.
È assai recente (12) la denuncia di circa 40
insegnanti di religione musulmana nella Prefettura di Rodopi (che con la
Prefettura di Xanthi costituiscono la “regione pomaka” greca), con la quale
rilevanti particolari della illegale attività consolare turca a Komotinì vengono
resi pubblici al fine di provocare finalmente qualche reazione opposta di
provenienza ellenica. (13) I contenuti della denuncia possono così
riassumersi.
Nel 2007 il Parlamento greco votò la legge 3536 con la quale lo stato si assumeva l’onere della
retribuzione di 240 Imam da nominare in
servizio nelle 3 legittime e ufficiali cirscoscrizioni-sedi di Muftì in Tracia e per la durata di 9
mesi ogni anno. La legge nella pratica risulta ancora, dopo ben sette anni,
inattiva a seguito di rabbiose e
violente, e a quanto pare determinanti reazioni di parte turca: i candidati
greci musulmani alla nomina a Imam
secondo legge greca non solo non sono stati nominati, ma subiscono attacchi
personali e familiari ad opera di noti alle autorità greche facinorosi circoli
turco-musulmani. E l’unica risposta a tale inadempienza è stata la sentenza n.
50/2012 della Corte d’Assise della Tracia con la quale semplicemente si fa
obbligo al ministero ellenico di risarcire finanziariamente gli Imam nominati secondo legge greca ma non
assunti! (14) Una pronuncia che, limitata all’utilitaristico fatto
materiale, ignora il precipuo diritto alle funzioni per legge spettanti ai
candidati.
In tal modo il principio legale secondo cui la minoranza
in Tracia ha carattere religioso e non etnico, così come peraltro prevede la
Costituzione greca e le convenzioni internazionali (Trattato di Losanna, sempre
in vigore) risulta del tutto vanificato.
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Uno spettacolo di teatro pomako
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È evidente che di fronte all’intraprendente influsso del
consolato turco, che certamente possiede autorevoli “agganci” pro-musulmani nel
Parlamento greco, come si vedrà di seguito, perfino una legge dello Stato greco
non trova l’attesa, giusta applicazione! In tal modo oggi in Tracia non presta
servizio nessun Imam di nomina
ministeriale greca. E, cosa ancor più assurda e inammissibile per la sovranità
di uno stato (nella fattispecie, quello ellenico!), gli Imam attualmente “in servizio” sono quelli “nominati” dal consolato
turco (cioè, dal governo turco) evidentemente senza alcuna autorizzazione da
parte greca! Non sapremmo dire in quale stato che non sia fantoccio intrusioni del
genere potrebbero essere tollerate!
E come se ciò non fosse sufficiente, l’attività del
consolato turco a Komotinì (15) si estende, oltre che in azioni di
propaganda, anche in atti di provocazione e minacce personali contro chiunque
si opponga o, addirittura, appena non
appoggi la sua attività.
È assai recente l’intervento di parlamentari di varia
tendenza politica al fine dell’approvazione di un emendamento alla legge
predetta che possa condurre alla nomina dei maestri mancanti. Ma allora ci si
chiede: la legge ha bisogno di emendamenti per essere applicata?
Quanto precede solo parzialmente chiarisce la quantità
del potere parallelo e illegale che la rappresentanza consolare turca esplica
in Tracia occidentale accanto al legittimo, ma fantomatico potere statale
ellenico e con l’equivoca acquiescenza di quest’ultimo, senza mezzi termini,
nella maggioranza dei casi, superato e sostituito.
L’obbiettivo che la Turchia raggiunge è doppio: che da
una parte la minoranza pomaka non turcofona venga considerata e trattata come
etnicamente turca e dall’altra che i bambini della minoranza stessa non solo
non imparino bene il greco, ma vengano del tutto esclusi dalla loro lingua
materna pomaka! E là dove non arriva il potere statale ellenico, l’attività
consolare turca crea una propria rete di istruzione istituendo proprie scuole materne bilingui in
violazione della legislazione greca!
Una denuncia di comportamenti illegali del partito PASOK
al governo così da “condurre” le autorità greche a “chiudere un occhio” (anzi,
tutt’e due) accogliendo le domande, redatte
dal consolato turco, che guidano
i genitori ad iscrivere i propri figli nelle materne bilingui di creazione
turca, ha svelato palesi ipotesi di ricatto politico sopra tutto da parte di un
deputato PASOK della circoscrizione di Rodopi nei confronti del presidente del
partito E. Venizelos. Precisi nei numeri i termini del ricatto: 17.000 voti
della minoranza da dare al partito SYRIZA dell’opposizione se non viene “chiuso
un occhio”!
Un degrado politico della prassi partitica in trionfale
esaltazione.
Il plesso di connivenza, ufficiale o/e ufficiosa,
spontanea o/e ricattatoria, delle due parti politico-amministrative al potere
in Tracia occidentale, Grecia e Turchia, per quanto innaturale possa apparire
ed essere, non pare suscettibile – purtroppo per i Pomaki – di essere presto vinto
ed eliminato. I consentimenti della parte greca, regolari e continui e senza il
minimo contraccambio, hanno di certo ispirato alla parte turca la sensazione di
poter gestire senza problemi essa sola, e proprio nello stesso territorio greco
e in barba alla pertinenza legislativa e giuridica greca, la problematica
pomaka a proprio vantaggio.
La politica turca di “acquisizione” a sé dell’etnia
pomaka oltre che basata sulla ormai penalmente rilevante assenza
amministrativa, giudiziaria e civile ellenica, trova ampia applicazione in
diversi programmi di assistenza e giovamento finanziario provenienti sia da
fonti private (ricchissimi turchi) sia da fonti innominate, di origine però
facilmente individuabile (lo stato turco).
Così, a puro titolo esemplificativo, ma fortemente
indicativo, il “creso” turco Omar Babà, imprenditore, offre per ogni bambino
che abbandona la scuola greca per studiare in una scuola coranica privata (anche
queste funzionanti in Tracia, mentre per analoghe scuole confessionali
ortodosse greche in Turchia, neanche da pensarci!) la somma di 500 euro al
mese. Un’altra offerta di 1.000 euro all’anno viene proposta per ogni ragazza
minorenne che indosserà il tradizionale fazzolettone musulmano: importo messo a
disposizione “ufficiosamente” dal consolato turco. E poi, sono anni ormai che
vengono offerte delle antenne paraboliche per captare i segnali di mezzi
televisivi turchi principalmente nei paesi montani pomaki della Tracia dove il
segnale dei mezzi TV greci non è mai giunto o è insufficiente. Nel centro di
Komotinì, un moderno edificio di lusso ospita gli uffici (enfaticamente
grandiosi) della banca turca Ziraat Bank il cui compito è quello di prestare ai
soli musulmani e alle associazioni di interessi turchi danaro al tasso del 3%,
quando nelle banche greche il tasso ammonta al 14%.
Accanto a simili attività che, se non altro, indicano una
assai profonda penetrazione economico-sociale turca nel tessuto delle minoranze
musulmane, vanno poste non meno deleterie per i Pomaki (e sono molti che si
professano greci e tengono ad esserlo) pratiche legislative e amministrative
greche i cui risultati sono egualmente corrosivi per la resistenza pomaka alle
seduzioni turche.
Innanzi tutto la legge greca costringe il bambino pomako
(che, giova rammentare, non ha nessun rapporto con la cultura e lingua turca)
ad imparare, senza altra alternativa,
sin dalla prima classe elementare il turco e il greco. Nessuna possibilità
viene offerta per l’apprendere il pomako, la lingua materna. E se il greco, sia
pure rabberciato e invalido, che s’insegna nelle scuole minoritarie potrebbe in
qualche modo apparire utile vivendo in Grecia, il turco ci si chiede (anche se
il governo greco non sembra essersi mai posta la domanda) a cosa possa servire
appunto in territorio greco!
È certo che simili programmi didattici hanno l’implicito
scopo di istruire non alunni greci pomaki, ma alunni turchi che molto
probabilmente non rimarranno in Grecia, né proseguiranno i propri studi in
Grecia, ma si trasferiranno in Turchia determinando lo sconvolgimento della sequenza
etnica pomaka nel tempo decisamente trasformata in nazionalità turca!
D’altra parte, l’insediamento in Tracia occidentale di
fanatici nuclei turco-musulmani nazionalisti è stata sommamente facilitata
dalla riforma comunale-amministrativa (16) con una spesso illogica
“riorganizzazione funzionale” in accorpamenti comunali autonomi: ne è risultata
di fatto, e di non poca importanza, la creazione di quattro comuni della
circoscrizione di Komotinì, due dei quali guidati da sindaci turchi (!!) al
servizio del consolato turco, come è facile intuire.
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Una maschera rituale della comunità pomaka
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Non si può infine non ricordare anche le pericolose beghe
politiche. I partiti (greci) con validi interessi elettorali nella regione non
hanno minimamente esitato a porre in testa alla loro lista candidati musulmani
turcofoni appoggiati, se non addirittura proposti, dal consolato turco.
Risultato: due dei tre deputati eletti nella Prefettura di Rodopi (Tracia
occidentale) con capitale Komotinì altri non sono se non gli “eletti” del
consolato turco, con quanto possa scaturire da simile evento. (17)
Concretamente dunque lo stato di fatto ora in essere nei Pomakochòria è il visibile e vistoso
effetto di una pluridecennale latitanza statale ellenica ed un corrispondente
sopravvento dei disegni politici turchi – ovvero una situazione che nessuno
stato “normale”, che rispetti se stesso, accetterebbe mai che accada nel
proprio territorio. (18)
Entro un simile
quadro trovano la loro logica, pur essendo decisamente inammissibili e
inaccettabili, le dichiarazioni fatte dai due deputati “consolari”,
parlamentari greci (!), dopo la loro
elezione: Tsetin Màndazi (PASOK), non si peritò di affermare pubblicamente che
“la comunità turca della Tracia occidentale costituisce parte della grande nazione
turca”, mentre Orchan Chagiibrahim (Nuova Democrazia) più espressamente
dichiarò che il suo ingresso nel Parlamento (greco) sarà per difendere i
diritti dei “turchi della minoranza”.
In entrambi i casi non sfugga un particolare della
massima importanza: parlando di “comunità turca” i predetti – come peraltro
sostengono sia il consolato turco che il governo di Ankara – non intendono
riferirsi solo ai 60.000 musulmani turcofoni (opportunamente da anni “edotti” a
considerarsi “turchi”), ma comprendono altresì i 45.000 Pomaki musulmani e i
15.000 Romà pure musulmani, tutti “sulle carte” cittadini greci!
Alla luce di quanto precede, ci si chiede – e sarebbe
bene che si chiedessero anche tutti i cittadini europei – cosa accadrebbe nella
Comunità Europea se per caso la Turchia dovesse entrar a farvi parte, con i
milioni di turchi ivi residenti e con la politica ufficiale turca di voler
porre sotto la propria “protezione” non soltanto tutti i turchi all’estero, ma
anche tutti i non turchi, ma musulmani, nel rivendicato presupposto che la
Turchia sia il naturale paladino di tutti i seguaci dell’Islam. Un particolare,
non superficiale, che quasi tutti ignorano in Europa. (19)
La maggior parte della comunità pomaka ha sempre voluto e
chiesto di essere considerata greca di professione musulmana, fedele alle leggi
greche – e come tale trattata. Ha sempre chiesto di far frequentare ai propri
figli le vere e proprie scuole greche e non
quelle c.d. minoritarie, in
commistione con i turcofoni greci, ma fondamentalmente turchi per convinzione,
con i quali non sente di avere nulla in comune, come in effetti, per nascita
lingua e cultura, è. Ha sempre chiesto di fruire degli stessi diritti dei
turcofoni musulmani. Sono addirittura frequenti i casi di false dichiarazioni
di residenza fornite alle direzioni didattiche di Xanthi e Komotinì allo scopo
di poter iscrivere e far seguire in queste città ai propri figli i corsi delle
scuole greche anche se ciò significhi dover fare ogni giorno chilometri di
strada.
Per tutto ciò, e malgrado la sopracitata precisa
esortazione/ammonizione del Comitato Internazionale per l’eliminazione di ogni
forma di discriminazione razziale dell’ONU (28.8.2009), (20) nessun
governo ellenico – apparentemente in nome di una più che precaria (come
dimostràtasi nei fatti) amicizia greco-turca “coltivata” con incomprensibile,
strana ostinazione – ha mai aderito alle richieste dei Pomaki proseguendo nel
loro “declassamento” non solo giuridicamente illegale, ma altresì politicamente
errato e pericoloso e socialmente ingiusto e anacronistico, oltre che
palesemente discriminante. In tutta sincerità, non se ne vedono le ragioni. E
di certo appare poco plausibile che ancor oggi, nel 2014, presso questi governi
ellenici non solo della destra-conservatrice, ma anche sedicenti
socialisti-progressisti, a distanza di circa mezzo secolo dalla fine della
“guerra fredda”, possano proseguire pratiche ideologiche di quella lontana mentalità
e psicosi nel considerare la “natura” della minoranza pomaka.
Un radicale mutamento di rotta non solo è augurabile, ma
si impone, non foss’altro che per sanare una infinita ingiustizia etnica,
sociale e civile. Insomma, un vero atto di giustizia e di equità per una
popolazione che non aspetta altro. (21)
___________________________________________________________________
N O T E
1) Sopra tutto per quanto in prosieguo verrà esposto,
vale la pena di precisare che i Pomaki di stanza in Bulgaria e Turchia sono
stati completamente assorbiti dalle rispettive popolazioni locali e inseriti
nelle corrispondenti nazionalità. I Pomaki in Grecia, invece, teoricamente
costituiscono una minoranza etnica straniera, malgrado le ripetute istanze, nel
passato ed attualmente, di integrazione nel tessuto nazionale greco e malgrado
che, anche ufficialmente(!) – e questo è il particolare connotato di assurdità
– siano considerati cittadini greci, al pari di tutti gli altri musulmani della
regione (turcofoni, Romà). I Pomaki in Albania e FYROM non compongono in
pratica validi ed influenti aggruppamenti socio-nazionali. Da notare, infine,
nell’Enciclopedia Garzanti – Universale, XIX ed. 1976, la acritica e
superficiale definizione dei Pomaki come “bulgari di religione musulmana... abitano
la regione del Ròdope” – una generalizzazione per lo meno grossolana.
2) Hamdi Omer, Relazione
al congresso internazionale per le lingue minoritarie presso l’Organismo Mercator, Paesi Bassi,
23/25.11.2004.
3) op. cit.
4) In realtà e in verità proseguita fino ad oggi, come
apparirà nella lettura appresso.
5) Dopo la seconda guerra balcanica (1913), la Tracia
occidentale era stata totalmente occupata dai Bulgari.
6) Da tener presente che i Pomaki, pur essendo di fede
islamica, non hanno mai attuato manifestazioni di ostilità verso la popolazione
maggioritaria ortodossa greca.
7) E, a nostro parere, ricusati con arroganza e
stolidezza.
8) La lingua turca!
9) La filosofia e la prassi delle scuole minoritarie
derivano dal dettato del Decreto Legislativo 1109/25.1.72.
10) N. Kokkas, L’istruzione
minoritaria e la teoria del prezzo politico, in sito www.pomakochoria, 24.9.2010.
11) A quanto ci risulta, nulla sembra essere stato
applicato sinora.
12) Messaggio internet odeg@otenet.gr
del 21.12.2012 da Paparodopoulos Nikos a Hellenic-Professors-Phds@Hec.greece.org
13) A quanto consta, a tutt’oggi nessuna reazione greca
al riguardo è stata registrata.
14) Ci si sarebbe aspettati che ordinasse invece
l’immediata assunzione degli stessi e inizio di attività!
15) Per strano che possa apparire, questo consolato ha la
propria sede in una città (Komotinì) dove la minoranza musulmana è piuttosto
limitata, e non a Xanthi nella cui provincia si trovano quasi tutti i centri
musulmani turchi e pomaki.
16) Con il nome di Kallikràtis
(Callicrate: architetto ateniese che nel V sec. a.C. insieme a Ictino
costruì il Partenone).
17) Per maggiori informazioni, v. sito www.zagalisa.gr. Peraltro, non bisogna
perdere di vista la circostanza che l’intera popolazione minoritaria in Tracia
occidentale (pomakòfoni, turcòfoni e romà) la legislazione greca considera
costituita unicamente da cittadini greci di religione musulmana.
18) Quot. Kiriakàtiki Eleftherotipìa (Stampa Libera della
Domenica), 8.3.2009. I predetti due deputati sono tuttora membri dell’attuale Parlamento
greco.
19) Senza contare l’innarrestabile invasione di turchi in
cerca di miglior fortuna che avrebbe luogo in tutti i paesi comunitari,
legittimata dalle norme sulla libera circolazione dei cittadini entro i confini
dell’Unione.
20) v. anche Pro-memoria sull’istruzione dei Pomaki in
Tracia inviato il 3.3.2010 dalla Associazione Culturale dei Pomaki di Xanthi ai
ministri greci della P.I. A. Diamandopùlu e degli Esteri J. Papandreu, in
citato sito www.pomakochoria.gr del
5.9.2010.
21) È recentissima l’informazione della istallazione –
finalmente! – dei primi 23 insegnanti
coranici (Imam) in scuole statali elementari greche a norma della citata legge
3536/2007, sinora rimasta inoperante. È
da vedersi adesso quando avverrà la nomina dei rimanenti candidati.