LETTURE
IGNAZIO APOLLONI
      

Da Parigi all’Isola d’Elba

 

Palermo, Edizioni Arianna, 2014, pp. 320,
€ 20,00

    

      


di Fernando Maramai

 

 

Non ha distintivi letterari all’occhiello Ignazio Apolloni, non sta in categorie, si tiene alla larga da ogni opportunismo di scrittura e, sul piano stilistico, da ogni restrizione di genere. Maestro dell’interlinguistico e del metalinguaggio, affabulatore e virtuoso del racconto per frammenti, ha una visione spiritualistica del mondo, e anche se ama mostrarsi come prosatore la sua lente è la poesia, quella poesia che, come dice Bontempelli nell’Avventura novecentista «è tutta favola. Per questo è tutta verità». E attraverso la poesia Apolloni approda ad una personale Weltanschauung che si esprime nella terra di confine tra cielo e terra, tra realtà e fantasia. Nelle sue creazioni eteroclite anche gli accidenti della vita appaiono piccole cose viste da lontano, perché la poesia – intesa come atto filosofico – è capace di riassorbirli e trasformarli in una transizione variopinta. La poesia, nel suo caso, è trasformazione, asciuga, toglie le scorie e dà nitore.

Malgrado una scrittura talvolta indicata dalla critica come autoreferenziale, nei suoi labirinti letterari la stessa autorità dell’Io sembra farsi da parte, esautorata dal gioco della narrazione e da un dipanarsi del racconto che diventa sufficiente a se stesso, come può essere autosufficiente una favola popolare o il racconto di un mito dell’estremo oriente. Certo, quell’Io è pronto a ricomporsi e a riemergere dalla destrutturazione per rivendicare il suo esserci attraverso digressioni e “interventi di sospensione”, ma lo fa sempre in maniera discreta e divertita, come a volersi semplicemente affacciare su quanto è destinato al lettore e ricordargli che non può esserci prospettiva univoca sul testo e che ogni storia, così come la realtà, va sottoposta a ipotesi disparate. L’Io autorale, sentito come ingombrante costrizione, prigionia per l’opera che da esso dipende, si fa addirittura da parte in Da Parigi all’Isola d’Elba, raccolta di lettere cartoline e fotografie che porta la firma di Apolloni, ma la cui paternità (almeno per quel che riguarda le corrispondenze) appartiene ad una donna realmente esistita: la Gilberte cui è dedicato l’omonimo romanzo edito nel 1994 per le Edizioni Novecento di Palermo.

Lettere autentiche, dunque, a differenza delle narrazioni epistolari di L’amour ne passe pas. 52 lettere d’amore (2005) e di Lettres d’amour à moi même (2007), dedicate idealmente a donne lontane e irraggiungibili. Rispetto a queste precedenti prove la simulazione letteraria viene meno, liberando una storia privata, sempre docile anche quando più intima, con le intermittenze del cuore e un fluire frammentato, pur nel rispetto del continuum temporale; ma ancora una volta, pur nella rinuncia al travestimento, Apolloni gioca a nascondersi: non ci sono le sue risposte, affidate così all’immaginazione del lettore, spettatore come di un dialogo mancato e posto a riempirne i vuoti. Il motivo della propria assenza lo spiega lo stesso Apolloni nell’unica missiva da lui firmata, indirizzata non ad una donna, ma a Marcel Proust. È una lettera che si muove su due crinali, questa di Apolloni, da un lato è dichiarazione di poetica e informa il lettore, dall’altro è – di fronte all’ennesima assenza del referente dichiarato – soliloquio dal sapore quasi beckettiano che anticipa il più lungo carteggio a senso unico di Gilberte. Dopo aver confessato al Maestro della Recherche di aver apprezzato le minuziose descrizioni dei luoghi in cui ha ambientato le sue memorie, descritti così bene da farlo innamorare, Apolloni prende le distanze e dichiara che in merito al racconto amoroso proprio non se la sente di consentire sdilinquimenti: «che dire poi – scrive ironicamente il mittente – delle tue melensaggini per una giovane Albertine che ti ha lasciato e tu cerchi di scoprirne le tresche facendola spiare dal Saint-Loup. Ti pare esatto, adatto al tuo rango, lasciarsi prendere dalla gelosia, sdilinquirsi come non ci fossero state altre donne […] cui affidare i tuoi sguardi pieni di libidine? Suvvia, dammi atto che meglio sarebbe stato fare il nottambulo, attendere che sorga la luna e faccia intravedere al largo un battello, mettersi a nuotare per raggiungerlo, salirci sopra e lasciare che le maree ti portino in Cornovaglia. […] Ammetti che non è vero niente ciò che scrivi del tempo perduto, tutto inventato. Che meno ancora è vero ciò che si legge nel tempo ritrovato. Che a te non importava niente né dell’uno né dell’altro. Ma va là, se quel mondo ti ha dato fama e successo – ed altrettanti ne ha dati a Cabourg. Infatti perché avrei preso a noleggio una torpedo per quindi fare una entrata trionfale a bordo di un calesse, anzi un cocchio con relativo cocchiere?» (p. 34). È più interessato all’avventura, Apolloni, che al ricordo. E lo rivela anche Gilberte, scrivendogli da Parigi in data 24 marzo 1968, nella lettera che – non a caso – è la prima ad essere riprodotta: «Voilà bientôt quatre ans que j’en attends e que je m’inquiete beaucoup à ton sujet. Ta dernière lettre remonte au 12 mai 1964. […] Pourquoi donc cela, pourquoi plus de nouvelles depuis?». Il rapporto con Gilberte è iniziato molto prima all’Isola d’Elba, ma Apolloni sembra scomparso quasi subito: è in Italia? o è in America? Queste le ipotesi di Gilberte.

Altre saranno le assenze di Giany (come la donna chiama affettuosamente il suo destinatario), che spesso non scrive o scrive in ritardo, oppure quando Gilberte in viaggio in Sicilia non riesce ad incontrarlo. Molto dunque è nelle lettere, ma altrettanto e forse più nei silenzi, nelle interruzioni, nel non detto, così come quando Gilberte annuncia a Giany di essere prossima a rivelargli un segreto: anche se il lettore sente di poter accedere alla riservatezza della donna non ci sarà mai dichiarazione esplicita e molto resterà tra le righe, come nei vuoti della corrispondenza e nelle assenze di Apolloni.

Parallelo al tempo entro il quale si imperlano le lettere, scorre il ricco repertorio iconografico di cartoline e fotografie. Insieme alla lettura si apre così una ventaglio geografico compreso tra Piombino, l’arcipelago toscano, Parigi, la Sicilia; fatto di luoghi che, oltre a documentare gli anni di una lunga amicizia amorosa, disegnano una vera e propria cartografia dell’anima. È nelle istantanee che va cercata l’avventura di Giany, un’avventura che inizia con gli amici nell’anno 1956 alla volta dell’Isola d’Elba, là dove era stato confinato Napoleone, e dove, già in nave, il caso porta il giovane marxista in pectore (ma più che altro adepto all’illuminismo di Rousseau) all’incontro con Gilberte. Seguiranno altri viaggi, altri rendez-vous, altri messaggi, ma la natura di Giany è quella del globe-trotter affetto da dromomania, la si vede nelle istantanee che lo ritraggono in posa, sornione e divertito, così diversa dalle espressioni timide, riservate, quasi dolenti di Gilberte, che sembrano presagire la sua scomparsa avvenuta nel 2001. «40 jours… sans lettre!!!» recita laconicamente l’ultima cartolina (p. 291); «C’est la vie, Gilberte» vorrebbe risponderle il lettore, prima dell’ultimo abbraccio affettuoso di commiato. «Adesso che non c’è più – scrive Apolloni – sento il bisogno di pubblicare le sue lettere a testimonianza di un affetto che non ci ha mai lasciato. Vorrei fosse la prova che il sentimento più nobile può estinguersi solo se è stato in qualche modo maculato da un atto di barbarie» (p. 9).

 

 

 

 

 




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