di
Alessandro Ticozzi
|
Citto Maselli
|
Dopo essere stato assistente di
Antonioni e Visconti ed aver girato alcuni documentari, lei realizzò con Cesare
Zavattini la Storia
di Caterina
per il film-inchiesta Amore
in città (1953) ed esordì
nel lungometraggio a soggetto con Gli sbandati
(1955): cosa ricorda di questi suoi inizi?
Io, per quanto riguarda
l’immagine, ho imparato tutto da Antonioni: a lui bastava per esempio un
rametto d’albero che entrava in un angolino nel fondo di una determinata inquadratura
del documentario L’amorosa menzogna
che niente, stop, si doveva cambiare tutto: malgrado che quel luogo di
paesaggio urbano e quella particolarissima luce di alba l’avessimo individuata
in mesi di sopralluoghi e di ricerche. Così anche accadeva che Michelangelo per
una semplice panoramica a seguire il passaggio dell’attrice richiedesse il
carrello che – con i suoi binari, il camioncino per il trasporto e la presenza
di un macchinista per azionarlo bene – non era mai previsto per la lavorazione
dei documentari di allora. Ma il carrello serviva a volte anche solo per
rendere perfetto il punto di vista – e dunque l’inquadratura – per lo sfondo di
palazzi e strade che diventava protagonista quando il personaggio usciva di
campo. Possono sembrare sciocchezze, ma sono punti fermi che sono entrati a far
parte del mio dna di regista.
Per quello che riguarda invece la
recitazione e i tanti problemi che costituiscono la realtà complessa delle riprese
di un film devo tutto a Visconti da cui ebbi infinite e determinanti “lezioni”
che riguardavano l’etica generale di un regista, cioè di un individuo che ha la
massima responsabilità in un’attività e in un settore che sono specificamente creativi. Non è un caso che tutti
quelli che hanno lavorato con Visconti si riconoscono (ci riconosciamo) per
questo. A me capita perfino con Zeffirelli da cui mi separano miliardi di altre
cose.
Dopo La donna del giorno
(1957), I
delfini (1960) e Gli indifferenti (1964) da Moravia –tre film cui faceva da sfondo l’Italia
del benessere economico – cosa la spinse a tornare al cinema
politico con Lettera aperta a un
giornale della sera (1970) e Il sospetto (1975)?
Io credo che anche quei film
“moraviani” fossero in realtà fortemente politici
(esattamente come il mio successivo Storia
d’amore), ma volendo accettare il suo schema io credo che in quel periodo fu
in qualche modo determinante quel movimento studentesco che aveva rimesso in
gioco e in primo piano alcuni principi elementari del marxismo e del comunismo
come lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, così come il naturale e
necessario “impegno” di un intellettuale marxista. Non che la vita dentro il PCI
ci avesse allontanato da tutto ciò, ma è anche un po’ vero che in quella fase
così difficile della sinistra nella vita nazionale l’insieme delle necessità contingenti
o dei “terreni di scontro più avanzati” avevano finito in qualche modo per
diventare, a volte, qualcosa di ineffabilmente prioritario nella nostra vita di
militanti. Tanto che molti compagni rimasero rigorosamente e in parte “sdegnosamente”
ostili al movimento studentesco. Non fu il caso mio che invece fui tra quelli
che ne colsero, al di là delle enunciazioni perentorie e francamente
inaccettabili, la carica di fondo che era autenticamente rinnovatrice e
rivoluzionaria. Tanto che in tutte quelle battaglie “politico-culturali” che seguirono
gli anni della contestazione – come ad esempio la riforma di istituzioni
pubbliche quali la Biennale di Venezia, la Rai e gli Enti cinematografici di Stato
– io lavorai perché la carica contestatrice del M.S. si trasformasse in forza
autenticamente riformatrice nella strategia e negli obiettivi politici del PCI.
Chi colse fino in fondo questo mio modo di pensare e agire in quegli anni fu l’uomo
apparentemente più lontano da tutto ciò e cioè Giorgio Napolitano all’epoca responsabile
cultura del Partito. Anche se può apparire presuntuoso da parte mia credo che
il mio lavoro con lui contribuì a mantenere il nostro partito su posizioni
avanzate, di taglio – in fondo – esattamente “ingraiano”. Considerando che
Ingrao in quel periodo – dopo cioè l’undicesimo congresso – rappresentava a
tutti gli effetti la sinistra interna del PCI, quella in cui io mi riconoscevo.
Straordinario quindi che quella politica per la cultura e in genere verso i “movimenti”
portasse la firma di un “anti-ingraiano” per definizione quale era allora
Giorgio Napolitano. Forse Napolitano si riferiva a quella lontana anomalia
quando nel mio ottantesimo compleanno mi scrisse sul frontespizio di una sua
pubblicazione “in ricordo di una lunga amicizia mai oscurata negli anni”.
Tutto questo per dire come fu che
il mio film di quegli anni fosse Lettera
aperta a un giornale della sera
seguito non a caso da Il sospetto. Due
film di un militante fino in fondo del PCI e in questo senso anche con il
diritto/dovere di essere fortemente critico (questo distingueva il partito
italiano da tutti gli altri partiti comunisti nel mondo occidentale, non a caso
avevamo avuto Gramsci).
Dagli anni Ottanta lei si è
dedicato a film più intimisti: cos’hanno in comune secondo lei i ritratti
femminili di Storia
d’amore (1985), Codice privato (1988), Il segreto (1990) e L’alba (1991)?
Nella mia testa, e salvo forse Codice privato, sono tutti film a modo
loro politicissimi perché sulla condizione femminile.
|
Una scena da Cronache del terzo millennio (1996)
|
Da Cronache del terzo millennio (1996) a Il compagno (1999)
da Frammenti
di Novecento
(2004) a Civico
0 (2007), cosa
possiamo ritrovare delle costanti della sua opera negli ultimi lavori?
Bella domanda. Però lei ha
ignorato Le ombre rosse (2009) che è
una grande e terribile metafora politica sull’oggi e, prima, Avventura di un fotografo (1983) da
Calvino, una sorta di poetico “breviario di estetica” fotografica sotto forma
di racconto paradossale di intensa ricerca formale. C’è anche l’unica opera
specificamente televisiva che sono le quattro puntate di Tre operai da Carlo Bernari (1978). E poi c’è la regia, i costumi e
le scene di una versione molto speciale ma tuttavia anche molto “ortodossa” di
un’opera che amo particolarissimamente: Il
trovatore di Verdi realizzato nel ’60 per l’apertura di stagione de La
Fenice di Venezia. Ci sono, ancora, due
mostre personali di fotografie realizzate con materiali e tecniche “Polaroid grande
formato”, una delle quali a Parigi al Museo d’arte moderna del Palais de Tokio
presentate da Michelangelo Antonioni e Italo Calvino.
Per tornare alla sua domanda
sulle mie “costanti” c’è forse da sottolineare che con Civico 0 torno al documentario inteso come realismo lirico che fu
la intensissima ricerca dei 27 documentari di dieci minuti in bianco e nero che
realizzai negli anni Cinquanta e Sessanta e recuperati oggi dall’Istituto Luce.
Il film Cronache del terzo millennio,
poi, è una sorta di apologo tragico
sulla società che la finanza e il capitalismo internazionali vanno a costruire
nel nostro pianeta. Anche qui torno a quel discorso su “quale civiltà” che
avevo iniziato trasformando in film Gli
indifferenti di Moravia. C’è
anche, forse, come costante il tentativo di non fermarmi alle cose come ci
vengono proposte, ma andare più in profondità, esattamente come feci sulla
nascita della Resistenza ne Gli sbandati
(il mio primo film, girato a 23 anni con l’aiuto economico e il sostegno morale
di Luchino Visconti). Andare insomma più in fondo alle cose, non contentarmi
delle risposte più semplici e apparentemente sagge che si danno in genere agli
infiniti problemi delle società complesse dell’oggi.
Che bilancio trae della sua vita
personale e professionale?
Per la vita professionale positivo:
ho avuto il privilegio di essere cresciuto in una famiglia di intellettuali (Luigi
Pirandello è stato il mio padrino di battesimo) e ho avuto il privilegio e la
possibilità di poter esprimermi artisticamente e riuscire ad affrontare i temi
che più mi stavano a cuore. Anche per la mia vita personale il bilancio è positivo
specie da quando ho incontrato una donna straordinaria qual è Stefania Brai,
cui devo infinitamente tanto di me.
Ha qualche progetto per il futuro?
Sì e no, ma è un discorso delicato
proprio in questi giorni in cui sto tormentosamente cercando e cercando di
scrivere il mio nuovo film.
Scarica in formato pdf
|