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di Marco Palladini
Questa piccola, preziosa plaquette di Luca Succhiarelli, autoprodotta e contenente dieci poesie e due
prose poetiche è la patente dimostrazione che un autore non lo si può valutare
per la quantità di testi che ha pubblicato, o per le sigle editoriali che
inalbera, ma innanzitutto per la qualità e per la forte autocoscienza
letteraria che traluce dai lavori anche rarefatti che pubblica.
Trentaduenne, umbro di Amelia, Succhiarelli
viene da una provincia del centro Italia dove ci si può formare soltanto per
differenza dal contesto, operando in regale solitudine e guardando ad alti (e
altri) modelli di ispirazione eterodossa che nel suo caso vanno dal Futurismo
poetico ad Emilio Villa, a Carmelo Bene ‒ non soltanto l’attore di genio,
ma anche l’autore di una meraviglia letteraria, il poema ’l mal de’ fiori (Bompiani, 2000), semplicemente ignorato dalla
scena ufficiale italiota delle lettere.
Dal ‘vaso di Pandora’ di Succhiarelli
saltano fuori manufatti di un raffinato artigianato poetico, mi pare senza
riferimenti possibili nel panorama letterario della sua generazione.
Soprattutto perché (de)costruiti tramite un linguaggio personalissimo, franto e
inventivo, ricco di echi della grande tradizione due-trecentesca, ma insieme sottoposto
a uno straniamento ludico-trasversale e sperimentale di marca assolutamente
contemporanea. Come scrive Mario Lunetta nella sua peritissima
prefazione: “L’artificio a scherno reca in sé, nel suo scombiccherato corpo
reiteratamente oltraggioso nei confronti del senso comune, un tasso tragico mai
esibito, e invece tutto distillato lungo gli spostamenti e le alterazioni delle
sillabe, le percussioni insistite, i fraseggi assurdi, i neologismi in fuga da
se stessi, come in un neomarinismo non metaforico ma ipersillabico o capricciosamente consonantico praticato con
intrattabile rigore”.
Il librino, peraltro, si apre con un dittico testuale 1° mo(vi)mento di
rosa / 1° mo(vi)mento di rosa a cui nel 2008 fu
attribuito il 1° Premio di Poesia On-Line “Le Reti di Dedalus”:
insomma già sei anni fa avvistammo il talento assolutamente inedito e insolito
di questo poeta, ravvisando in lui anche “… una viva e sorprendente
musicalità prosodica che rinvia necessariamente al gesto performativo,
all’interpretazione in forma di ‘oratura’ come
plusvalore ed esaltazione della scrittura”. Questa dimensione
sonoro-performativa del testo emerge prepotente anche nei testi successivi.
Basti citare questo attacco: “ ’gn’ha
ogn’ha ogn’ha ogn’ha oh’ gn’ha o / ’gn’ha ’gnuno ha il proprio verso
di traverso / et esso stesso – inflautato – ha spesso
/ d’un attimo incantato…”, in cui la perversa frantumazione sillabica iniziale
poi si distende sino a farsi eco di flauteggiamenti e
incanti poetici e stilistici che nondimeno, infine, declinano in un “… diverso
/ il Fiore il Fiore il Fiore il Fiore il fió’ ”.
Sembrerebbe potentemente autotelica
la poesia di Succhiarelli, perfettamente autocompiuta nel proprio gioco inter e endolinguistico,
ma non è proprio così. Talora ‘strappa’ sulla realtà anche più dolorosa, come
ad esempio in Amoralchemio:
“Quale e que’ / à cquà à cquà / e que’ è ’sto / e questo e
questo / e il rinculo sotto la lingua / col cazzo che arringa / il cancro ch’è
sperò / o stringa al gozzo lo stronzo / e il puzzo e il riflusso / e d’il puzzo
e d’il puzzo / ch’è il vostr’ecodor…”.
Questo sottofondo patologico e di tragedia del corpo
malato erompe macroscopicamente nel prosimetro
terminale Tre prefiche tra i denti
che si dispone quasi come un monologo teatrale di ascendenza beckettiana, con
interiezioni e ripetizioni che cadenzano e frastornano l’odissea clinica: “Sarà
bah, sarà beh per non sbagliare, sarà un’altra goccia sì e no, sì e boh bofonchia
il letto, Chiara e l’amore siculo… Una goccia: io sono tanti tubicini colorati
e accesi, una personalità ascellare, sono tanti tubicini colorati e accesi e
intrecciati e posati sul materasso che seguo boiamien
del portamento mio, sconquasso capillare ed epidermico… Una goccia, poi ancora
miasma da inalare dal cesso lo esalerei con un bacio «Ma apri la vena amoroso»
lo faccio: ho un rapporto che definirei endovenoso, fors’anche
ascellare, poi la mia vena si chiude con un morso e non è più vero”.
Il testo qui si avviluppa in un movimento
autoptico-poetico che cerca, in fondo e da ultimo, di fermare la memoria del
corpo ferito e sanato: “… tra il grembo e il membro, tra il naso e il vaso, col
mento sul naso col mento sul collo, troio sulla mia
troica disteso con tutto il peso, e ricordo tutto”.
Illuminanti mi sembrano, in explicit,
i due esergo che Succhiarelli ha voluto anteporre ai
suoi testi: una citazione da Le avventure
di Pinocchio di Carlo Collodi e una frase di Dante Serra da L’avventurosa vita del Marchese de Sade.
Il ‘divino’ burattino e il Divin Marchese accomunati
in una visione avventurosa dell’esistenza dove la giocosità e la leggerezza
spensierata si possono rovesciare in alea estrema e pericolosa, e dove l’amore
per il bello e per il piacere non riesce a dissimulare la coscienza del male
profondo che alligna in tutte le latitudini dell’essere.
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