LETTURE
LUCA SUCCHIARELLI
      

Quaderno di Pandora

 

Prefazione di Mario Lunetta

 

Amelia 2014, pp. 26, s.i.p.

    

      


di Marco Palladini

 

 

Questa piccola, preziosa plaquette di Luca Succhiarelli, autoprodotta e contenente dieci poesie e due prose poetiche è la patente dimostrazione che un autore non lo si può valutare per la quantità di testi che ha pubblicato, o per le sigle editoriali che inalbera, ma innanzitutto per la qualità e per la forte autocoscienza letteraria che traluce dai lavori anche rarefatti che pubblica.

Trentaduenne, umbro di Amelia, Succhiarelli viene da una provincia del centro Italia dove ci si può formare soltanto per differenza dal contesto, operando in regale solitudine e guardando ad alti (e altri) modelli di ispirazione eterodossa che nel suo caso vanno dal Futurismo poetico ad Emilio Villa, a Carmelo Bene ‒ non soltanto l’attore di genio, ma anche l’autore di una meraviglia letteraria, il poema ’l mal de’ fiori (Bompiani, 2000), semplicemente ignorato dalla scena ufficiale italiota delle lettere.

    

Dal ‘vaso di Pandora’ di Succhiarelli saltano fuori manufatti di un raffinato artigianato poetico, mi pare senza riferimenti possibili nel panorama letterario della sua generazione. Soprattutto perché (de)costruiti tramite un linguaggio personalissimo, franto e inventivo, ricco di echi della grande tradizione due-trecentesca, ma insieme sottoposto a uno straniamento ludico-trasversale e sperimentale di marca assolutamente contemporanea. Come scrive Mario Lunetta nella sua peritissima prefazione: “L’artificio a scherno reca in sé, nel suo scombiccherato corpo reiteratamente oltraggioso nei confronti del senso comune, un tasso tragico mai esibito, e invece tutto distillato lungo gli spostamenti e le alterazioni delle sillabe, le percussioni insistite, i fraseggi assurdi, i neologismi in fuga da se stessi, come in un neomarinismo non metaforico ma ipersillabico o capricciosamente consonantico praticato con intrattabile rigore”.

 

Il librino, peraltro, si apre con un dittico testuale mo(vi)mento di rosa / mo(vi)mento di rosa a cui nel 2008 fu attribuito il 1° Premio di Poesia On-Line “Le Reti di Dedalus”: insomma già sei anni fa avvistammo il talento assolutamente inedito e insolito di questo poeta, ravvisando in lui  anche “… una viva e sorprendente musicalità prosodica che rinvia necessariamente al gesto performativo, all’interpretazione in forma di ‘oratura’ come plusvalore ed esaltazione della scrittura”. Questa dimensione sonoro-performativa del testo emerge prepotente anche nei testi successivi. Basti citare questo attacco: “ ’gn’ha ogn’ha ogn’ha ogn’ha oh’ gn’ha o / ’gn’hagnuno ha il proprio verso di traverso / et esso stesso – inflautato – ha spesso / d’un attimo incantato…”, in cui la perversa frantumazione sillabica iniziale poi si distende sino a farsi eco di flauteggiamenti e incanti poetici e stilistici che nondimeno, infine, declinano in un “… diverso / il Fiore il Fiore il Fiore il Fiore il fió’ ”. 

   

Sembrerebbe potentemente autotelica la poesia di Succhiarelli, perfettamente autocompiuta nel proprio gioco inter e endolinguistico, ma non è proprio così. Talora ‘strappa’ sulla realtà anche più dolorosa, come ad esempio in Amoralchemio: “Quale e que’ / à cquà à cquà / e que’ è ’sto / e questo e questo / e il rinculo sotto la lingua / col cazzo che arringa / il cancro ch’è sperò / o stringa al gozzo lo stronzo / e il puzzo e il riflusso / e d’il puzzo e d’il puzzo / ch’è il vostr’ecodor…”.

Questo sottofondo patologico e di tragedia del corpo malato erompe macroscopicamente nel prosimetro terminale Tre prefiche tra i denti che si dispone quasi come un monologo teatrale di ascendenza beckettiana, con interiezioni e ripetizioni che cadenzano e frastornano l’odissea clinica: “Sarà bah, sarà beh per non sbagliare, sarà un’altra goccia sì e no, sì e boh bofonchia il letto, Chiara e l’amore siculo… Una goccia: io sono tanti tubicini colorati e accesi, una personalità ascellare, sono tanti tubicini colorati e accesi e intrecciati e posati sul materasso che seguo boiamien del portamento mio, sconquasso capillare ed epidermico… Una goccia, poi ancora miasma da inalare dal cesso lo esalerei con un bacio «Ma apri la vena amoroso» lo faccio: ho un rapporto che definirei endovenoso, fors’anche ascellare, poi la mia vena si chiude con un morso e non è più vero”.

Il testo qui si avviluppa in un movimento autoptico-poetico che cerca, in fondo e da ultimo, di fermare la memoria del corpo ferito e sanato: “… tra il grembo e il membro, tra il naso e il vaso, col mento sul naso col mento sul collo, troio sulla mia troica disteso con tutto il peso, e ricordo tutto”.

 

Illuminanti mi sembrano, in explicit, i due esergo che Succhiarelli ha voluto anteporre ai suoi testi: una citazione da Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi e una frase di Dante Serra da L’avventurosa vita del Marchese de Sade. Il ‘divino’ burattino e il Divin Marchese accomunati in una visione avventurosa dell’esistenza dove la giocosità e la leggerezza spensierata si possono rovesciare in alea estrema e pericolosa, e dove l’amore per il bello e per il piacere non riesce a dissimulare la coscienza del male profondo che alligna in tutte le latitudini dell’essere.

      

 

 




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