CHECKPOINT POETRY
MARIANO MENNA
 

 

 

 

Dopo la battaglia

 

Ispirata all’opera Pulsante, della mostra “Dopo la battaglia” dell’artista Pina Della Rossa,

esposta nel 2013 al Museo Pan

 

Gocce di sangue scrosciano sulla nuda terra,

come un fiume rosso in piena.

I vinti depongono i sogni assieme alle armi,

strisciano fino a rovi intricati,

aculei imbevuti della sconfitta, come frecce.

L'alba inneggia alla quiete e al silenzio.

Dopo la battaglia, il vento soffia sui cadaveri,

corpi scarniti dalla notte ingorda e dai vermi,

un cimitero abusivo sotto le stelle lucenti.

La mente va in letargo, dopo giorni di guerra,

lascia alla carne le urla nel fango.

Ritorna il sereno, crescono germogli,

il nudo si veste di verde e di frutti,

l’uomo si sveste degli inquieti tremori

e dei sospiri affannosi.

 

 

 

Le piogge su Belgrado

 

Piove sulle mie speranze di libertà,

su ciò che rimane della mia felicità,

su questo fallito con in testa un tirolese

che sembra leggero per il freddo di ogni mese.

 

Piove su una Belgrado devastata dalla guerra,

la mia città crolla per il dominio di una terra,

che non porterà niente nelle tasche dei signori,

semmai rovinerà un uomo e fin troppi straccioni.

 

Odo una melodia che quasi combatte con le urla:

è lieve e ben nascosta, ma riesco ad ascoltarla.

Rinnega il senno dell’uomo che lo sfrutta con l’istinto,

perché una bomba a mano non basterà a salvarlo.

 

Uno zingaro è il signore di queste soavi note:

almeno per un giorno curerà le altrui ferite.

Una rossa fisarmonica asseconda le sue dita,

rinnovando nella morte le sue speranze di vita.

 

 

 

Faustus

 

La conoscenza ammalia le menti innamorate

‒ le coscienze che nel disio restano intrappolate ‒

come oppio ti annienta col sollievo dell’istante:

un glossario al posto di un’ anima già assente.

 

Feretro dell’uomo che si spinse all’avarizia,

giacché al di fuori di quel libro non vi fu delizia.

Il Flegetonte s’incanalò nel sangue delle vene:

bastò una firma rossa per dar vita alle sue pene.

 

L’errore non si lava come la più bianca scogliera,

la macchia anzi si estende, mentre inizia la bufera:

nell’animo, la morale non perdonerà mai l’affronto

dell’ingordigia che ha spolpato, senza pensare al conto.

 

Conto che si presenterà puntuale come la morte:

dáimōn non accetta proroghe, sicché si fa forte,

l’anima accarezza, poi maltratta con violenza,

la stupra, la rapisce e ride della conoscenza.

 

 

 

Tra angeli e demoni

 

Dedicata ai poeti simbolisti francesi: i “Poeti Maledetti”

 

Cade la pioggia sull’inquietudine,

coprendo le ombre di uomini gloriosi,

morti in quei versi fin troppo impetuosi;

la loro penna scrisse con forza d’incudine.

 

Flashback di peccato ed estrema lussuria,

uomini e specchi che mostrano dolore,

poetato da sudice parole d’amore,

che al giorno d’oggi emanano goduria.

 

Rumori di passi nelle vie permanenti,

Parigi stereotipo d’età vittoriana,

tra angeli e demoni sotto ogni sottana,

poeti e parole come mani e fendenti.

 

Spiriti infestano libri impolverati,

entrando in artisti sempre ispirati,

donano testamenti dei sogni passati,

chiedono vendetta per i libri bruciati.

 

La loro speranza riecheggia negli anni,

trova ristoro in locande deserte,

lascia che altre penne vengano offerte

per smascherare la vita e i suoi inganni…

 

 

 

Spleen nouveau

 

Ispirata alla poetica di Charles Baudelaire

 

Estraneo tra la gente, nei boulevard chiassosi,

mimesi del nulla mescolato all’indecenza,

riverso la mia bile in questi versi rabbiosi:

saranno cancellati presto dall’indifferenza.

 

L’alloro e la corona per vivande e sovrani,

morta è la gloria dell’inchiostro eterno,

in questi cieli cupi svolazzano i gabbiani:

per l’albatro non c’è più spazio nel moderno.

Non potrà aprir le ali e cadrà sul fondale,

non si potrà rialzare e perciò verrà sepolto,

la vera poesia è finita con Montale,

stracciate queste nere lacrime di uno stolto.

 

Ritorna il mio pensiero all’uomo che Carjat

immortalò irrequieto come un diavolo afflitto.

Egli mise su carta la sua infelicità:

io scriverò già conscio di essere sconfitto.

 

 

 

L’equilibrista

 

Cammino schivando pozzanghere e fossi

posti sulla strada e nella vita senza pause.

Il mondo non perdona e non ti spiega mai le cause.

Questa sofferenza? Lascia che col tempo passi.

 

Mi reggo in equilibrio su una corda sfilacciata,

che forse cederà, rendendo me amico del vuoto,

compagno di avventure di un silenzio poco muto,

quasi un urlo misto a una diabolica risata.

 

La pioggia mi accompagna sul viale del ritorno:

schivo le mille gocce che cadono dall’alto,

ma non eviterò mai la paura di quel salto

che distanzia il genio dal fallito senza eterno.

 

Rieccomi a lottare con la gravità e col cuore,

con le mani che tremano per la paura e l’emozione.

Sarà che, così in alto, vedo piccole le persone,

ma aumenta la mia forza e la mia voglia di volare.

 

Buffone sopra un mondo che da sempre mi sta stretto,

miglioro, come l’albatro, in sembianze e in leggerezza,

stringo la mano al vento, che leggero mi accarezza:

presto scopriremo se son grande oppure inetto!

 

 

 

Fotografie

 

Ricordi della vita che corre e mai rallenta,

visi ormai cambiati dagli anni e dagli eventi;

immobili, ma eternano sorrisi ora già spenti:

maceria è un grattacielo senza fondamenta.

Amanti divisi, su carta ancora uniti;

due mani senza anni si stringono sincere,

perché non finiscono le promesse vere,

perché i suoi occhi non sono mai sbiaditi.

Bambini ora già uomini di un’altra società,

emblemi di un tempo che resta nel passato,

tutto in bianco e nero, ma mai dimenticato:

senza memoria, non c’è felicità.

 

 

 

Il crepuscolo

 

Muore lentamente tra le acque un bagliore:

è fuoco che si spegne all’imbrunire.

La luce indietreggia al cospetto del tempo, 

s’inchina alla notte, elegante signora,

lasciando nel buio le sue lacrime lucenti:

lucciole cosmiche che danzano nel cielo.

Nell’immensa quiete crepuscolare

prendono vita i melanconici pensieri,

infinite tracce dell’umana ragione:

la loro notte calerà col nuovo giorno,

con il risveglio di spaventosi automi,

con i rumori del quotidiano incedere.

 

 

 

 

*  Mariano Menna è nato a Benevento nel 1994. Ha conseguito la maturità scientifica presso l’istituto Polispecialistico Gandhi di Casoria. È iscritto al primo anno del corso di laurea in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. È risultato vincitore del Concorso Nazionale “Scrittura attiva” di Tricarico, nella sezione giovani, con la poesia “La ballata del vagabondo” nel 2012.
È membro cofondatore della corrente  artistico-letteraria del Labirintismo, il più grande movimento d’avanguardia del 2000 con più di 200 iscritti. Ha pubblicato due raccolte di poesie, La grande legge e La pagina bruciata, edite entrambe da Marco Del Bucchia editore. Nel 2013 è risultato secondo classificato nella sezione “Giovani” del concorso Nazionale “Città di San Giorgio a Cremano”. È stato inserito nell’antologia  Poesia per Dio  curata dalla casa editrice “La Ziza” con la poesia inedita “La scelta”.  Nei primi mesi del 2014 si è classificato secondo al Premio Internazionale Napoli Cultural Classic, sezione giovani, ed è risultato terzo classificato al Premio letterario Internazionale “Le parole dell’anima” col libro La pagina bruciata.




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