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di Sergio D’Amaro
L’epopea
controcorrente del barone di San Chirico
Quando Carlo
Levi si fermò ad Eboli (cioè a Grassano, poi ad Aliano), erano passati settant’anni
dall’Unità d’Italia. Lo sfacelo materiale e morale stava stampato in quei
tuguri contadini e in quelle terre squallide come un formidabile memento.
Paradossalmente era stato proprio un torinese come Levi a riscoprire il
Mezzogiorno e a fornirgli una diagnosi e una prospettiva di resurrezione, quasi
a risarcire in quella sua anche simbolica catabasi una lunga incomprensione e
un feroce scetticismo. Il Sud era stato, in realtà, violentato e sottomesso
alla logica delle armi più forti, spogliato e defraudato delle sue ricchezze.
Si dimenticavano così i passaggi storici e si formava la scuola dei Lombroso
(anche lui torinese), addetti a stereotipare il modello meridionale sotto
l’etichetta di primitivo e di delinquente.
Il nuovo romanzo
di Raffaele Vescera, Il barone contro, contiene molti materiali incandescenti
per una riflessione sulle ragioni che fecero fermare il Cristo leviano,
ritrovando i decenni cruciali che precedettero l’Unità con lo sguardo di don
Felice Lombardo, nobile di idee liberali e di vita contraddittoria. Vescera
costruisce un intreccio robusto, fondendo storia e invenzione in una lingua
capace di cogliere le pieghe più riposte dei personaggi, così come le
suggestioni dei paesaggi e degli ambienti. La mano sembra quella dell’autore
onnisciente che tutto scruta, guarda, analizza, rivela, ma subito dietro di
essa si indovina quella del saggista e del polemista che fermamente accampa le
sue interpretazioni e argomenta il suo dissenso.
Del resto, chi
conosce Vescera (per la sua attività giornalistica e per precedenti opere
incentrate sul suo amato Ottocento) non se ne meraviglia più di tanto, anche se
nota una più distesa e precisa volontà descrittiva. La narrazione così fluisce
densa attraversando la vita del signore di San Chirico e di altri feudi tra
Tavoliere e Gargano e incontrando molteplici personaggi che hanno animato la
scena politica e sociale tra 1820 e 1860. Il nodo cruciale, come spesso succede,
riguarda una questione di eredità e la difesa di un prestigio che hanno
permesso al protagonista i gradi di colonnello e una vita alla grande tra le
varie attrazioni della Napoli capitale borbonica. C’è molta Foggia e Capitanata
nelle pagine del romanzo, e ci sono soprattutto quelle panoramiche struggenti su
una terra molto amata e accolta anche nel suo aspetto più stremato e arso con
piante e animali assetati di vita e già pregni di morte.
L’Unità avrebbe
potuto migliorare gli Italiani, farli uscire da quel loro particolarismo, da
quella tendenza alla corruzione, da quella peculiare convinzione che identifica
l’intelligenza e la competenza con la furbizia, l’inganno, l’istinto
manovriero? Non certo l’Unità come fu realizzata, soffocando piuttosto che
integrare e accogliere, reprimendo piuttosto che dialogare. Una pagina sembra
più eloquente delle altre, allorché Vescera mette in bocca a Ferdinando II di
Borbone alcune considerazioni che sembrano sintetizzare una sorta di bilancio
consuntivo: flotta mercantile, treno, illuminazione stradale a gas, industrie
più grandi d’Italia, i migliori scienziati ecc. erano appannaggio del regno
napoletano e sono stati scippati a favore del Nord che s’è impossessato anche
del tesoro finanziario detenuto dalla capitale del Sud.
La serietà di
documentazione e l’accuratezza di scrittura che Vescera ha messo in atto fanno
di quest’opera un degno erede dei più accreditati romanzi storici. Don Felice
Lombardo, con tutte le sue contraddizioni, diventa il simbolo di un processo
storico che avrebbe potuto prendere un’altra direzione. C’è alla fine una sorta
di riscatto, se il nipote Carlo sarà accolto proprio a Torino come musicista.
Ci sarà, da parte dell’antica capitale sabauda, l’apprezzamento di un talento,
di una bravura che i ‘piemontesi’ arrivati qualche decennio prima non avrebbero
mai riconosciuto ai ‘terroni’, capaci solo di brigantaggio e di altre braverie.
Forse è poco per compensare la fine drammatica di un altro rappresentante della
famiglia Lombardo, finito nell’orrenda prigione di Fenestrelle, ma la bilancia
dei destini è quasi sempre fortemente asimmetrica.
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